Sic transit gloria mundi
Vannacci contro Papa Francesco: quando l’autostima diventa una battaglia politica
L’ex militare se la prende con il Pontefice, accusandolo di incoerenza e lanciando un attacco che sa di provocazione a vuoto. Quando l’autopromozione passa per il pulpito altrui.
Roberto Vannacci, noto più per le sue polemiche che per le sue imprese, ha deciso di alzare il tiro e colpire uno dei simboli più universali del dialogo e della speranza: Papa Francesco. In un’uscita sui social, Vannacci ha criticato le posizioni del Pontefice sull’accoglienza dei migranti, sottolineando con un tono sprezzante quella che lui definisce un’ipocrisia del Vaticano.
Secondo il generale, infatti, il Vaticano applica pene severe contro chi entra illegalmente nei suoi confini, in contrasto con i messaggi di apertura e accoglienza che Francesco continua a promuovere. Una “scoperta” che appare più come una strumentalizzazione piuttosto che una vera critica.
Non contento, Vannacci ha attaccato anche il messaggio che il Papa ha rivolto ai detenuti del carcere di Rebibbia durante l’apertura della Porta Santa. Con un tono di sdegno, ha insinuato che le vittime dei crimini siano ignorate dal Pontefice, come se fosse dovere del Papa stilare una lista di priorità secondo il gusto di un militare in cerca di visibilità.
È evidente che dietro a questi attacchi non ci sia altro che l’ennesimo tentativo di Vannacci di costruirsi una piattaforma politica su temi divisivi. Ma attaccare il Papa, figura riconosciuta in tutto il mondo per il suo messaggio di inclusione e speranza, non è solo fuori luogo: è una manovra cinica e destinata a fallire.
Papa Francesco, con il suo invito all’accoglienza e alla misericordia, rappresenta una voce che tenta di unire in un mondo sempre più frammentato. Vannacci, invece, con le sue uscite urlate e aggressive, sembra impegnato solo a scavare fossati, colpendo chi rappresenta valori che evidentemente non riesce a comprendere.
Un attacco al Papa è un atto che avrebbe richiesto almeno una riflessione, ma Vannacci sembra aver deciso di sacrificare la ragione sull’altare della provocazione. Un altare che, ironia della sorte, non troverà mai posto nel Vaticano che tanto si affanna a criticare.
INSTAGRAM.COM/LACITYMAG
Sic transit gloria mundi
Zuckerberg si toglie la maschera: Meta abbandona inclusione e diversità per superare (a destra) Elon Musk nei favori di Trump
Con la chiusura dei programmi di diversità e l’allineamento alla nuova amministrazione americana,
Meta abbandona la sua storica bandiera di pari opportunità e inclusione. Zuckerberg rinnega i valori che
aveva dichiarato di voler difendere e si posiziona persino più a destra di Musk, mettendo Facebook e
Instagram al servizio del potere politico.
Mark Zuckerberg, quello che un tempo si dipingeva come il profeta dell’inclusione e del progresso, ha deciso di gettare la maschera. Dopo anni passati a vendere l’immagine di un visionario illuminato, il bravo ragazzo di Silicon Valley ha sacrificato ogni principio dichiarato per saltare sul carro di Donald Trump superando a destra persino l’eterno rivale Elon Musk. Dopo l’eliminazione del fact-checking negli Stati Uniti, un regalo confezionato su misura per il ritorno del tycoon alla Casa Bianca, Meta ha annunciato la cancellazione dei programmi di diversità, equità e inclusione (Dei), dimostrando che tutti i discorsi sulla responsabilità sociale erano, in fondo, solo marketing. Insomma, Zuckerberg ora mostra il suo vero volto: quello di un manager interessato solo a consolidare il potere, compiacendo chi detiene le leve del comando.
Questa svolta è arrivata senza preavviso. Non ci saranno più squadre per garantire pari opportunità nell’assunzione, formazione o scelta dei fornitori. Il messaggio è chiaro: il futuro di Meta non è inclusivo, è esclusivo. Ed esclusivo di chi? Di chi decide cosa si può dire e chi può avere un posto al tavolo.
Le giustificazioni ufficiali, ovviamente, non mancano. La vicepresidente delle risorse umane, Janelle Gale, ha dichiarato: «Il panorama legale e politico intorno agli sforzi per la diversità, l’equità e l’inclusione negli Usa sta cambiando». Ha aggiunto: «La Corte Suprema degli Stati Uniti ha recentemente preso decisioni che indicano un cambiamento nel modo in cui i tribunali tratteranno i programmi Dei». L’azienda afferma ora di voler «applicare pratiche eque e coerenti che mitigano i pregiudizi per tutti, indipendentemente dal background». In altre parole, si nega la necessità di corsie preferenziali per «supportare meglio le persone sottorappresentate», un obiettivo fino a poco tempo fa centrale nella strategia inclusiva dell’azienda.
Ma questa spiegazione suona vuota: Meta non si sta adattando, sta scegliendo di allinearsi (a destra). Anzi, sembra quasi entusiasta di cavalcare questa nuova direzione. Con Trump pronto a tornare alla Casa Bianca, Zuckerberg sa benissimo da che parte stare. Il ceo di Meta, che ora parla con orgoglio di avere “maggiore controllo” sulle policy aziendali, non sta solo voltando le spalle ai valori che diceva di sostenere: sta mettendo la sua azienda al servizio di una narrazione politica ben precisa. Non è più un arbitro, ma un giocatore. E come tale ha deciso di muoversi senza più guardare in faccia nessuno.
La cancellazione dei programmi di diversità non è solo un atto simbolico, è una dichiarazione d’intenti. Nonostante i progressi dichiarati nel 2022, con il 37% della forza lavoro composto da donne e percentuali irrisorie di dipendenti neri (4,9%) e ispanici (6,7%), Meta ha deciso di abbandonare ogni sforzo per migliorare. Invece di affrontare le sue lacune, Meta le nasconde sotto il tappeto. Non c’è più traccia dell’azienda che prometteva di costruire un ambiente sicuro per tutti.
Il clima dentro Meta è ormai incandescente. Sulla piattaforma interna Workplace, un dipendente ha scritto: “È folle. Tutto questo sta succedendo solo perché il potere è cambiato?”. Roy Austin, vicepresidente dei Diritti Civili, si è dimesso, denunciando un contesto che rende impossibile qualsiasi azione concreta. Le proteste interne crescono, ma sembra che Zuckerberg abbia già deciso di ignorarle.
E poi ci sono le parole di Biden, che ha definito “vergognosa” l’abolizione del fact-checking, ricordando quanto sia importante combattere la disinformazione. Ma Zuckerberg non sembra minimamente toccato. Anzi, accusa l’amministrazione Biden di averlo costretto a “censurare” contenuti durante la pandemia. È una narrazione comoda, ma suona vuota considerando quante vite sono state salvate evitando che le fake news sui vaccini si diffondessero incontrollate.
Meta non è più un’azienda tecnologica, è una macchina politica al servizio di chi può garantirne il potere. Zuckerberg non vuole più nascondersi dietro ai principi, perché sa che non ne ha più bisogno. E mentre celebra la sua “libertà” ritrovata, il mondo osserva con preoccupazione il tracollo dei valori che avrebbero dovuto definire il futuro delle piattaforme digitali. Non c’è più traccia dell’azienda “liberal” all’avanguardia nell’integrazione e nei diritti civili. Ora c’è solo Meta, pronta a fare qualsiasi cosa per restare in cima. E c’è Zuckerberg, sempre più simile a un imperatore senza regole, guidato da un solo principio: il suo interesse personale.
Sic transit gloria mundi
Il comico e il pontefice: quando l’Elevato sfida il Vaticano. Una senzatetto muore vicino alla Porta Santa, Grillo punta il dito contro Papa Francesco
Il blog di Beppe Grillo torna a far parlare di sé, e questa volta il bersaglio è niente meno che Papa Francesco. Sotto accusa, il tema della povertà e dell’accoglienza. Ma dietro i numeri e le provocazioni, il messaggio del comico genovese sembra più volto a cercare visibilità che a proporre un dibattito serio.
Inizia il nuovo anno, e con l’uscita dalla scena politica attiva, Grillo sembra deciso a riposizionarsi come critico sociale. Archiviato Giuseppe Conte come bersaglio preferito, l’Elevato alza il tiro e si scaglia contro il Vaticano, scegliendo una tragica coincidenza per dare forza alle sue parole: mentre a Roma si apriva la Porta Santa per il Giubileo, una donna senza dimora moriva di freddo nei pressi di San Pietro.
Sul suo blog, Grillo lancia un post carico di indignazione, domandandosi come sia possibile che, in una città come Roma, “una delle maggiori potenze economiche mondiali”, si possa ancora morire semplicemente perché si è poveri. Il tema è indubbiamente importante, e il comico tocca un nervo scoperto della società contemporanea. Ma c’è qualcosa che stona. Grillo collega direttamente la morte della senzatetto a Papa Francesco, un accostamento che suona più come un attacco gratuito che come una riflessione sensata.
La domanda sorge spontanea: con quale credibilità un comico dalla sua villa a San Ilario, la collina più esclusiva di Genova, può ergersi a giudice morale del Papa?
Non è la prima volta che Grillo affronta temi di rilevanza sociale, ma stavolta il bersaglio è chiaramente la Chiesa. Francesco, secondo Grillo, predica bene e razzola male, un’accusa che, pur facendo rumore, sembra ignorare i molteplici sforzi del pontefice per aiutare i più poveri. Grillo rincara la dose con un’affermazione pungente: “Nel 2025, la vera sfida non sarà accogliere chi arriva da lontano, ma tendere la mano a chi è già qui, dimenticato e invisibile”.
Il comico porta numeri drammatici a supporto delle sue parole. Secondo la Federazione Italiana Organismi per le Persone Senza Dimora, ogni mese oltre 30 persone muoiono per strada. Solo a Roma, i senzatetto superano le 20.000 unità, un dato che fa riflettere. Nel suo post, Grillo si chiede se il Giubileo, con la sua promessa di rinnovamento spirituale, possa davvero rappresentare un impegno concreto verso i più vulnerabili.
Ma davvero il Papa è il destinatario giusto di queste accuse? Francesco ha più volte dimostrato un’attenzione sincera verso i poveri, con iniziative come dormitori e strutture di accoglienza a pochi passi dal Vaticano. E se Roma è una città che fatica a prendersi cura dei più deboli, la responsabilità sembra ricadere più sulle istituzioni italiane che sul pontefice.
L’argomentazione di Grillo rischia quindi di apparire superficiale, una provocazione più che una critica costruttiva. È vero che il comico sa come attirare l’attenzione, ma il suo approccio semplifica questioni complesse. Accusare il Papa di indifferenza, poi, sembra un azzardo. Francesco ha fatto dell’attenzione verso gli ultimi uno dei pilastri del suo pontificato, e i suoi gesti concreti parlano da soli.
Il comico genovese, tuttavia, coglie un punto importante: la società italiana fatica a rispondere ai bisogni dei suoi membri più deboli. Ma ridurre il tutto a uno slogan – “Il Papa pensa ai migranti e dimentica i senzatetto” – non aiuta certo a risolvere il problema. La solidarietà non è una risorsa a somma zero. Non si tratta di scegliere chi aiutare, ma di includere tutti. E non spetta al Papa, ma allo Stato, farsi carico di questa responsabilità.
Dal pulpito digitale, Grillo lancia le sue invettive, trovando l’eco di cui sembra aver bisogno per rimanere sotto i riflettori. Francesco, invece, continua il suo cammino fatto di piccoli, costanti passi verso un mondo più giusto. Tra i due approcci, la differenza è evidente: mentre uno si nutre di clamore, l’altro si basa sull’azione concreta.
Alla fine, rimane una domanda: quale delle due strade lascerà un segno più duraturo?
Sic transit gloria mundi
Musk cambia nome e si trasforma in una rana gladiatore: “Kekius Maximus” scuote X con riferimenti a destra, videogiochi e una criptovaluta misteriosa
Elon Musk, maestro del caos digitale, chiude il 2024 con un colpo di scena: su X diventa “Kekius Maximus”, accompagnato da un avatar di Pepe the Frog in armatura da gladiatore. Tra richiami a videogiochi, meme controversi e criptovalute misteriose, il miliardario più imprevedibile del pianeta scatena il web, alimenta teorie complottiste e incassa nuove polemiche politiche. È marketing, satira o pura eccentricità? Come sempre, il confine è sottilissimo.
Elon Musk si trasforma in un incrocio grottesco tra una rana e un gladiatore e cambia nome su X: benvenuti nell’ennesimo capitolo dell’epopea surreale del miliardario più chiacchierato del pianeta. A chiudere il 2024, Musk ha deciso di stupire tutti – di nuovo – cambiando il proprio nome in “Kekius Maximus” e scegliendo come avatar una versione armata di Pepe the Frog, il personaggio meme più controverso di Internet. Armatura scintillante, controller da videogame in mano, e via: il nuovo alter ego digitale di Musk è un mix di cultura nerd, latinismi improbabili e sottili provocazioni che, prevedibilmente, hanno scatenato il caos sul web.
Tra risate, polemiche e teorie complottiste, la domanda è sempre la stessa: cosa passa per la testa di Musk? È un omaggio a “Il Gladiatore”? Una trovata pubblicitaria? Un endorsement non richiesto all’alt-right? O forse, semplicemente, il capriccio di fine anno di un uomo che non conosce limiti, nemmeno nel confondere i suoi follower?
“Kekius Maximus” non è solo un nome stravagante, ma un concentrato di riferimenti che vanno dalla cultura pop all’estrema destra, passando per la mitologia egizia e i videogiochi. “Kek” – il termine alla base di tutto – è nato come slang per “ridere a crepapelle” nelle community dei gamer, diventando poi un simbolo amato (e odiato) dagli angoli più oscuri della rete. Nel frattempo, Pepe the Frog, il meme da cui Musk ha preso l’avatar, ha avuto una storia altrettanto rocambolesca: da innocuo fumetto è diventato icona involontaria dell’alt-right, termine che indica un movimento politico e culturale di estrema destra nato negli Stati Uniti, caratterizzato da ideologie nazionaliste, populiste e spesso legate a teorie del complotto e suprematismo bianco. Al punto che l’Anti-Defamation League lo ha inserito nella lista dei simboli di odio.
Ora Musk si mette al centro di tutto, come sempre. Ma perché? «Forse vuole solo far parlare di sé», suggerisce un utente, mentre altri ipotizzano che sia una sottile critica a chi lo accusa di flirtare con l’estrema destra. Musk, come suo solito, lascia che siano gli altri a riempire i vuoti di significato, limitandosi a postare messaggi criptici come: “Kekius Maximus raggiungerà presto il livello 80 in hardcore PoE”. Per chi non fosse del mestiere, PoE sta per Path of Exile, un videogioco di ruolo a cui Musk è notoriamente appassionato. La battuta potrebbe sembrare innocua, ma in mano a lui tutto diventa un enigma.
Ma non è finita qui. Kekius Maximus è anche il nome di una criptovaluta, un cosiddetto “memecoin” che, guarda caso, ha registrato un’impennata di valore del 900% subito dopo il cambio di nome del miliardario. Coincidenza? Forse sì, forse no. Musk ha già dimostrato di saper manipolare i mercati finanziari con un semplice tweet, come quando ha fatto schizzare alle stelle il valore del Dogecoin con un paio di battute su “Saturday Night Live”. Questa volta, però, il gioco sembra più ambiguo: nessun tweet diretto che promuova la valuta, solo il nome. Una strategia deliberata per non sollevare sospetti di manipolazione? Oppure, semplicemente, l’ennesima stravaganza senza scopo?
La scelta del nome e dell’avatar non poteva passare inosservata neppure nel dibattito politico. Solo pochi giorni prima, Musk aveva scatenato una tempesta mediatica con i suoi commenti su X, definendo il presidente tedesco Steinmeier “un tiranno” e il cancelliere Scholz “un idiota incompetente”. A peggiorare le cose, aveva espresso simpatia per l’AfD, il partito di estrema destra tedesco, attirandosi critiche bipartisan. Nel discorso di Capodanno, Scholz non ha perso occasione per rispondere, pur senza nominarlo: «Non è chi grida più forte a decidere il futuro della Germania, ma la maggioranza delle persone oneste e ragionevoli». Una stoccata che Musk ha ignorato con nonchalance, concentrandosi invece su “Kekius Maximus” e le sue avventure digitali.
Mentre il mondo discute, Musk gioca. È impossibile sapere se il miliardario stia progettando qualcosa di epocale o se stia solo ridendo di tutti noi, come Pepe the Frog nel suo avatar. Quello che è certo è che sa come mantenere alta l’attenzione su di sé. La trasformazione in “Kekius Maximus” potrebbe essere solo una burla di fine anno, o l’inizio di un nuovo capitolo in cui Musk, armato di meme e ironia, continuerà a confondere i confini tra imprenditoria, intrattenimento e provocazione. Ma una cosa è chiara: finché ci saranno Internet e social media, il regno del “Re Rana” continuerà a espandersi. Con o senza armatura.
-
Gossip10 mesi fa
Elisabetta Canalis, che Sex bomb! è suo il primo topless del 2024 (GALLERY SENZA CENSURA!)
-
Cronaca Nera6 mesi fa
Bossetti è innocente? Ecco tutti i lati deboli dell’accusa
-
Speciale Olimpiadi 20246 mesi fa
Fact checking su Imane Khelif, la pugile al centro delle polemiche. Davvero è trans?
-
Speciale Grande Fratello4 mesi fa
Shaila del Grande Fratello: balzi da “Gatta” nei programmi Mediaset
-
Moda e modi5 mesi fa
L’estate senza trucco di Belén Rodriguez
-
Gossip7 mesi fa
È crisi tra Stefano Rosso e Francesca Chillemi? Colpa di Can?
-
Sport6 mesi fa
Tra le medaglie di Tokyo e quelle che verranno
-
Sex and La City8 mesi fa
Dick Rating: che voto mi dai se te lo posto?