Sonar: tra suoni e visioni
AC/DC: i nonnetti dell’hard rock non mollano!

Gli australiani AC/DC sono pronti il loro primo tour in otto anni, meglio tardi che mai… E poi, vista l’età, un certo rilassamento nei tempi è più che opportuno. Il prossimo 17 maggio la band, che ha tenuto il suo primo concerto in sette anni al festival Power Trip di Indio lo scorso ottobre, inaugurerà la nuova tournée intitolata Power Up European Tour , naturalmente riferita all’ultimo album Power Up. E’ previsto anche un appuntamento con i fan italiani il prossimo 25 maggio alla RCF Arena di Reggio Emilia, meglio conosciuto come Campovolo.
Anche se Sting non condivide…
Nonostante quello che sostiene il loro “collega” Sting (leggi qui il mio articolo in merito di qualche giorno fa), gli AC/DC rappresentano sempre un marchio tutelare di un suono potente e, cosa più importante, assolutamente inconfondibile, basato su riffoni semplici ma di grande incisività di ispirazione blues, doppia chitarra distorta (ritmica e solista) in primo piano, cantato stridente e aggressivo. Considerati da più parti come i padrini dell’heavy metal… a ben guardare sono solo (solo?) una fragorosa band di rock’n’roll!
Una foto per i social
La band di Back in black ha condiviso sui social una foto dalle prove con la nuova formazione. Oltre ai due componenti storici Brian Johnson e Angus Young – rispettivamente alla voce e alla chitarra solista… ma c’è bisogno di sottolinearlo?!? – nell’immagine si vedono il chitarrista ritmico Stevie Young (nipote di Angus), il batterista Matt Laug e il bassista Chris Chaney.

Membri vecchi e nuovi
Laug – già con Vasco Rossi – ha debuttato al Power Trip lo scorso ottobre, dopo che il batterista Phil Rudd aveva rivelato che non si sarebbe esibito nel primo spettacolo dal vivo della band dopo sette anni. Chaney, invece, è conosciuto per la sua militanza nei Jane’s Addiction e ha recentemente sostituito il ritirato Cliff Williams. Il cantante Johnson ritorna dopo aver lasciato nel 2016 per problemi di udito, temporaneamente sostituito da Axl Rose.
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In primo piano
Papa Francesco e la musica: arte, preghiera e incontro di anime

Il compianto Jorge Maria Bergoglio è senza dubbio il pontefice che ha saputo portare la musica nel cuore del messaggio spirituale. Amava il tango, apprezzava Claudio Baglioni, suggeriva Arvo Pärt per la meditazione e – unico nella storia recente – ha persino citato il grande musicista brasiliano Antonio Carlos Jobim in un documento ufficiale. La fede, per lui, aveva un ritmo tutto suo: profondo, inclusivo e – per certi versi sorprendentemente “rock”. Capace di riportare la Chiesa ai valori fondamentali di misericordia e accoglienza, in grado di fare sentire tutti accettati, ognuno coi propri difetti. Un potente che rinuncia alla sua potenza e si mostra al mondo con la sua sofferenza: soprattutto di questi tempi si tratta di un messaggio potentissimo, la straordinarietà della normalità Un uomo che arriva dalla fine del mondo che crede in un mondo migliore… non lo puoi facilmente fermare, proprio come il rock.
Un papa con la musica nel cuore (e nella mente)
Che Papa Francesco avesse un’anima musicale si era capito fin dall’inizio del suo pontificato. Cresciuto nei quartieri popolari di Buenos Aires, dove il tango era parte della quotidianità, ha sempre riconosciuto alla musica un potere unico: quello di unire le anime, parlare senza parole e guarire il cuore. Ma il suo rapporto con la musica non si fermava alla tradizione argentina.
L’arte che unisce
Fra gli artisti italiani più vicini a Papa Francesco c’è senza dubbio Claudio Baglioni, più volte ospite in Vaticano per eventi benefici. Il pontefice ha elogiato pubblicamente i testi del cantautore romano, capaci di raccontare le sfumature dell’umanità con delicatezza e profondità. Baglioni, da parte sua, ha ricambiato con affetto, definendo Francesco “una voce fuori dal coro” in grado di toccare corde profonde come solo un vero artista sa fare.
Consigli per la meditazione
Nei momenti di dolore o riflessione – come i giorni di lutto personale o collettivo – Papa Francesco ha invitato i fedeli a trovare nella musica una forma di preghiera. Una delle opere più adatte a questo scopo è senza dubbio il Te Deum del grande compositore estone Arvo Pärt, un capolavoro di spiritualità sonora: sospeso, essenziale, capace di trasportare l’anima in uno spazio sacro senza tempo. Perfetto per chi cerca raccoglimento, questo brano si trasforma in un ponte tra la terra e il cielo, tra il dolore e la speranza.
Jobim e l’arte dell’incontro: la musica come linguaggio di pace
In un gesto che ha sorpreso molti, Papa Francesco ha citato Antonio Carlos Jobim, uno dei padri della bossa nova, in un documento ufficiale. Nella sua visione pastorale, l’“arte dell’incontro” – espressione resa celebre da Jobim – è centrale: significa accogliere l’altro, costruire ponti, abbattere muri. Anche attraverso la musica. Una citazione che racchiude tutta la modernità di questo pontefice: capace di usare riferimenti colti e popolari per lanciare messaggi di unità, dialogo e misericordia.
La fede può suonare come una sinfonia
Papa Francesco è stato un uomo che parlava dritto al cuore della gente, anche con la musica. Con un’attitudine speciale per l’ascolta, citava i grandi della musica mondiale, consigliava brani per l’anima. Impossibile non ricordare il suo videomessaggio andato in onda durante l’ultimo festival di Sanremo, che conteneva un messaggio:
La musica è bellezza, la musica è strumento di pace. È una lingua che tutti i popoli, in diversi modi, parlano e raggiunge il cuore di tutti. La musica può aiutare la convivenza dei popoli.
Penso, in questo momento, a mia mamma che mi raccontava e mi spiegava alcuni brani di opere liriche facendomi conoscere il senso di armonia e i messaggi che la musica può donare. Penso direttamente a tanti bambini che non possono cantare, non possono cantare la vita, e piangono e soffrono per le tante ingiustizie del mondo, per le tante guerre, le situazioni di conflitto. Le guerre distruggono i bambini. Non dimentichiamo mai che la guerra è sempre una sconfitta.
in uno fra i tanti episodi informali che l’hanno visto protagonista nel quale, liberandosi dalle briglie del protocollo, si fece portare in un negozio di dischi a Roma per acquistare un vinile di musica classica. Un negozio che Papa Francesco conosceva bene, fin dai tempi in cui si recava a Roma in veste di sacerdote e poi come cardinale di Buenos Aires, nel periodo in cui aveva preso alloggio nella vicina Casa del Clero di via della Scrofa.
In copertina su Rolling Stone
Più volte in copertina su riviste come Rolling Stone, sia nella sua edizione americana che italiana, nel 2015 uscì Pope Francis – Wake Up!, l’album musicale con parole e preghiere dello stesso Bergoglio la cui uscita era stata annunciata, con gran fanfara mediatica, come il “disco prog” del Santo Padre. In un tempo di rumore stridente e distrazioni di ogni tipo, quasi sempre malsane, il Santo Padre ci ha insegna che anche una nota può diventare preghiera. Soprattutto da oggi dove, senza di lui, in molti si sentiranno un po’ più soli.
Sonar: tra suoni e visioni
Linus, profeta del nulla musicale: un orecchio smarrito tra Sanremo e il Live Aid

A due mesi da Sanremo, il direttore di Radio Deejay Linus dichiara il vuoto musicale assoluto. Ma sarà davvero così? L’icona radiofonica punta il dito contro un festival che non avrebbe lasciato traccia, tranne Cuoricini dei Coma Cose. Eppure, mentre il grande conoscitore musicale dispensa giudizi definitivi, riemergono clamorose gaffe musicali del passato, dal Live Aid ai nomi leggendari scambiati per comparse. Un’analisi ironica su chi dovrebbe raccontarci la musica… e forse dovrebbe ascoltarla un po’ meglio.
Sanremo? Tutto da dimenticare… o, al massimo, da fischiettare sotto la doccia)
Linus — al secolo Pasquale Di Molfetta — lancia il verdetto definitivo: “Non resterà nulla”. Un’apocalisse musicale secondo il decano di Radio Deejay. Con una sola eccezione: Cuoricini dei Coma Cose, che secondo lui sarà l’unico brano ricordato fra dieci anni. Olly? “Un bel personaggio, ma carino e basta.” Lucio Corsi e Brunori? “Hanno fatto di meglio”. Strano però… perchè quando andavo ai primi concerti di Corsi o di Brunori io Linus non l’ho mai notato fra lo sparuto pubblico che li animava…
Me contro te
Giudizi secchi, senza appello, quelli di Pasquale Di Molfetta. Ma siamo sicuri che Linus rappresenti il termometro musicale del paese? Ne avrei di aneddoti da riferire… come la sua precisa avversione per i Marillion con Steve Hogarth alla voce. Ma servirebbe a qualcosa? Lui rimane sempre e comunque un celebrato operatore musicale ed io un normalissimo giornalista, oltretutto affetto da periodici attacchi di nostalgia per la buona musica. Non certo quella che popola il palinsesto medio di Radio Deejay.
Quando Linus commentava il Live Aid… senza riconoscere David Gilmour
Sarà anche un’autorità radiofonica, ma il suo orecchio, in passato, ha preso sonore cantonate. Memorabile il disastro durante la diretta italiana del Live Aid, quando Linus non riconobbe l’imprescindibile David Gilmour sul palco con la band di Bryan Ferry.

Un momento del set di Brian Ferry con, al suo fianco, David Gilmour
Poi fece, se possibile, anche di peggio: scambiò il seminale Bo Diddley – special guest durante il set di George Thorogood e dei suoi “distruttori” – per un “anonimo musicista” e corresse in diretta Kay Rush, che aveva giustamente identificato la chitarra di Gilmour come “Fender”. Lui, con il fare da saputello, la corresse in diretta: “Eh no, cara Kay… quella non è una Fender, è una Stratocaster!”. Come dire… quella non è una Fiat, è una 127! Una figuraccia epocale, soprattutto per uno che oggi si erge a custode della memoria musicale.

Ho chiesto all’AI di creare un’immagine che mi vedeva in compagnia di Linus, in un ipotetico “duello radiofonico”, mai avvenuto in realtà. L’intelligenza artificiale mi ha fatto più grasso di quello che sono… mentre lui assomiglia all’inflessibile e spietato maestro di musica del film Whiplash, interpretato dall’ottimo Jonathan Kimble Simmons. Se non l’avete visto… recuperatelo!
Il Festival della memoria corta
È vero: Sanremo 2025 non ha forse prodotto tormentoni come in passato. Ma dichiarare “il nulla musicale” quando il pubblico canticchia a piè sospinto Volevo essere un duro di Lucio Corsi o La cura per me di Giorgia (in questo caso… ci prova senza riuscirvi dignitosamente), fa pensare più a una crisi d’ascolto personale che a un’emergenza collettiva. Forse Linus, che viene dal mondo nel quale le canzoni si ascoltavano con la moneta da 100 lire, faccia fatica a digerire TikTok e i trend digitali? Beh, almeno su questo aspetto generazionale siamo abbastanza allineati.
Serie B o Serie Vintage?
Nel suo sfogo, Linus ammette: “Ho sempre avuto la sensazione di essere il primo della Serie B.” Un cruccio che sembra più dettato dalla tv che dalla radio. Ma la verità è che la “Serie A” dello spettacolo (Fiorello, Bonolis, Amadeus) ha saputo reinventarsi nel tempo. Lui no. Lui è rimasto lì, saldo in cabina, a dire che “una volta era meglio”, mentre i podcast lo superano a destra e Spotify ruba ascolti a Radio Deejay.
La pensione? Magari con un po’ di musica in cuffia
A 67 anni, Linus confessa di pensare alla pensione. “Non voglio che la gente dica: ‘Ma è ancora lì?’” Forse il momento giusto per lasciare davvero, prima che l’eco del passato diventi più rumorosa delle sue playlist. Magari, nel tempo libero, potrà finalmente imparare a riconoscere David Gilmour in un solo dei Floyd… senza l’ansia della diretta.
Sonar: tra suoni e visioni
Il nastro perduto – e ritrovato – dei Beatles: il più grande errore della Decca
Un incredibile ritrovamento scuote il mondo della musica: un nastro del 1962 con 15 brani registrati dai Beatles per un’audizione alla Decca è stato scoperto per caso in un negozio di dischi a Vancouver. La storia di un rifiuto epocale e di un demo che, dopo oltre sessant’anni, riemerge dal passato.

L’audizione che avrebbe potuto cambiare la storia: il 1° gennaio 1962, quattro giovani musicisti di Liverpool arrivano negli studi della Decca Records a Londra per una delle audizioni più celebri della storia. Paul McCartney, John Lennon, George Harrison e il batterista Pete Best, ancora ignari del destino che li attende, suonano quindici brani selezionati dal loro manager Brian Epstein. Tra classici del rock’n’roll e le prime composizioni originali, il gruppo offre un assaggio del futuro che li renderà immortali. Ma il responso della Decca è un sonoro “No”.
“Le band con la chitarra sono finite”: il più grande abbaglio della musica
Dick Rowe, il produttore a cui viene attribuito (forse ingiustamente) il rifiuto, decreta la sentenza: “Le band che suonano la chitarra sono ormai finite”. Un’affermazione che, col senno di poi, suona come un’eresia musicale. Mentre i Beatles continuano la loro ricerca di un contratto, la Decca si rifà in parte firmando i Rolling Stones l’anno successivo. Ma ormai il danno è fatto: Epstein porta il demo rifiutato alla EMI, dove il produttore George Martin riconosce il talento della band e scrive la storia.
Un viaggio dal Regno Unito al Canada
Sessantatré anni dopo, la vicenda si arricchisce di un nuovo capitolo. Rob Frith, proprietario del negozio di dischi Neptoon Records di Vancouver, trova casualmente una bobina con l’etichetta “Beatles 60s Demos”. All’inizio pensa sia un bootleg, ma dopo averlo ascoltato in uno studio professionale si accorge che la qualità è incredibile: è un master! Ma come è finito un nastro storico dall’Inghilterra al Canada?
Una storia degna di un film
Entra in scena Jack Herschorn, ex proprietario del negozio Mushroom Records. A quanto pare, il nastro gli è stato dato da un produttore inglese negli anni ’70. “L’ho portato a casa e non l’ho mai venduto. Non mi sembrava giusto”, ha raccontato. Ed è così che, tra scatole impolverate e registrazioni dimenticate, un pezzo della storia dei Beatles è rimasto nascosto per decenni, aspettando il momento giusto per riemergere.
Che fine farà il nastro?
Rob Frith ha dichiarato di volerlo conservare, ma è disposto a darne una copia alla Decca se l’etichetta fosse interessata a pubblicarlo. Tuttavia, ha anche aggiunto con ironia: “Se Paul McCartney passasse di qui, sarei molto felice di darlo a lui di persona”. E chi può biasimarlo? In fondo, dopo aver subito il più grande rifiuto della storia della musica, sarebbe un colpo di scena perfetto se fosse proprio Paul a chiudere il cerchio.
Il rifiuto che ha creato una leggenda
Se la Decca avesse detto “sì”, i Beatles sarebbero diventati ciò che conosciamo oggi? Forse. O forse no. Il loro percorso ha preso la strada giusta solo dopo quell’iniziale insuccesso, dimostrando che il talento, unito alla determinazione e a una buona dose di fortuna, trova sempre la sua via. Oggi, mentre il mondo della musica si interroga sul destino di questo nastro, una cosa è certa: anche dagli errori più clamorosi possono nascere leggende.
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