Sonar: tra suoni e visioni
Contro il logorio del Sanremo moderno – Diario festivaliero, meno due…
Appunti sparsi in modalità blog per sopravvivere al meglio alla “settimana santa” della canzonetta italiana, a due giorni dall’inizio ufficiale della kermesse.
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Due giorni a Sanremo, oggi è in pratica l’antivigilia. Premessa: mi considero un giornalista musicale profondamente”musicofilo”. Forse sarà l’età, non più “adolescenziale” o forse l’essere cresciuto con un padre dai gusti eruditi… se date un’occhiata alla mia collezione di dischi vi trovate da Erik Satie ai Sex Pistols, da Piero Ciampi ai Popol Vuh, da David Sylvian ai Beach Boys, da Jimi Hendrix agli Stranglers. Passando per John Cale, il suo quasi omonino J.J. Cale, Frank Zappa, Genesis, Luigi Tenco, Gentle Giant, Franco Battiato, Love, Grateful Dead, Sufjan Stevens, David Crosby, Elvis Costello, Lucio Dalla, The Band, Ivano Fossati, Joni Mitchell, Marillion, Chet Baker, Kate Bush e innumerevoli altri. Un raro esemplare di “varano” omnivoro.
Anche se io, a differenza di tanti detrattori, il festival l’ho sempre frequentato con curiosità ed interesse, visto dapprima in televisione da ragazzino e poi in sala stampa da “addetto ai lavori”. Anzi… quando finiva per qualche giorno avevo pure il “magone”, avvertendo la mancanza di quel variopinto carrozzone, spesso kitsch, che riempiva le giornate di colore, gossip e – ogni tanto – pure di belle canzoni.
Aspettando l’Italia del pallone
D’altronde, che piaccia o meno, in attesa di una Nazionale di calcio che torni davvero ad emozionarci, l’ultimo rito collettivo che ci è rimasto – l’unico – è proprio Sanremo, “la settima santa” della canzonetta. Mentre preparo la mia valigia per la trasferta sanremese (si parte domani, di buon mattino), rifletto che non è sempre stato così: mi ricordo nitidamente alcune edizioni seguite dal pubblico più per abitudine che per passione.
Gli anni della crisi profonda
Quella tra fine anni ’90 e primi del 2000 fu davvero una crisi profonda, riassunta nel ’98 dalla stroncatura di un inviato del Finacial Times: “una sagra del cattivo gusto con canzoni terribili”. La crisi non riguardò solo l’aspetto artistico ma anche gli ascolti: nel 2004 battuto dal Grande Fratello, nel 2008 addirittura surclassato da una puntata dei Cesaroni. Va sottolineato che quella specifica edizione viene ricordata come la più disastrosa in materia di numeri, con una media del 35,64% di share e 6.811.000 spettatori. Le canzoni sanremesi latitavano in radio e il pubblico si era ormai disaffezionato a quello che era, se non più la manifestazione canora per eccellenza, quantomeno l’evento televisivo dell’anno.
Poi la musica cambiò
Ma ad un certo punto, avviene qualcosa di di magico nel sentire collettivo: il pubblico si riaffeziona al Festival! Oggi ascolta le sue canzoni, lo commenta via social e nelle chat WhatsApp con gli amici, gioca con grande divertimento al FantaSanremo. E come in ogni fandom che si rispetti, ha i suoi inside jokes: il tormentone dei Jalisse che, ostinatamente, ci riprovano ogni anno, l’ormai iconico “dov’è Bugo” e i meme con Amadeus ballerino.
Coniugando radio e tv
Un’inversione di rotta che, in definitiva, si potrebbe riassumere in questo modo: sono arrivati “quelli delle radio”. In rapida successione: tre anni Carlo Conti, due anni di parentesi con Claudio Baglioni, poi ben cinque di Amadeus. Conti e Amadeus, nati professionalmente nell’ambiente radiofonico, hanno saputo coniugare – ognuno col suo stile – la loro formazione con l’esperienza televisiva. Prima ancora però, l’intuizione di Fabio Fazio: aprire il Festival alla musica meno sanremese, inserendo proposte cantautorali e pescando pure dal mondo indie. Al punto che nell’edizione 2013, un’esclusa Anna Oxa lo accusò di aver organizzato un Festival che sembrava un “sottoprodotto del Concertone del Primo Maggio”: hasta la victoria, fazio!
Gabbani, Mahmood e i Maneskin
Adesso voi leggete tutto in poche righe… ma il processo, in realtà, è stato lungo. Correva l’anno 2015 quando Conti annunciava la vittoria de Il Volo e fra colleghi in sala stampa ci guardavamo l’un l’altro perplessi, chiedendoci: “Ma che l’hanno fatto a fare ‘sto Festival?” Dati per favoriti già dalla vigilia infatti, il loro si trattava di un trionfo annunciatissimo. Il triennio contiano cominciava quindi con la vittoria dei tre giovani tenoretti, concludendosi però con l’affermazione di un artista un po’ meno giovane dal punto di vista dell’anagrafe ma molto dal punto di vista del Festival: Francesco Gabbani e la sua scimmia nuda ballerina di Occidentali’s Karma. Una divertente critica all’uomo occidentale schiavo delle apparenze: tutto un altro andazzo rispetto al “grande amore” col DO in petto!
Un palco dal quale lanciare nuovi talenti nel mondo
Con la conduzione Baglioni è poi arrivato il primo posto di Ermal Meta e Fabrizio Moro ma, soprattutto, quello di Mahmood: un bel cocktail culturale, urban, contemporaneo, nuovissimo anche lui, rispetto ai brani considerati “sanremesi”. Un traghettamento verso altri lidi con il quinquennio di Amadeus, vincitori Diodato, Maneskin, la coppia Mahmood-Blanco, Marco Mengoni e Angelina Mango. Coi Meneskin poi, che hanno riportato l’Eurovision Song Contest in Italia, conquistando successivamente l’America, Sanremo nell’ ultimo decennio è tornato ad essere un palco da cui si lanciano carriere. Perfino a respiro internazionale, che volete di più?
Nuova audience, nuovi linguaggi
Come avrà fatto? la risposta è nei giovani, il festival ha capito che – per sopravvivere – avrebbe dovuto ampliare necessariamente il suo target ai giovani. Con una massiccia presenza social, sicuramente: collaborazioni con gli influencer, contenuti per il web, interazione costante con gli spettatori, coinvolgimento delle fanbase dei vari cantanti. Ma siccome, nel frattempo, sono anche arrivati – come dicevo – “quelli delle radio”, è cambiata pure la selezione dei pezzi: non più la canzone melodica mamma-cuore- amore… o almeno non solo. I direttori artistici, con un occhio sempre alle tendenze Spotify, hanno inserito i generi, amati dai più giovani, aprendosi in primis ai rapper, agli artisti meno conosciuti dal grande pubblico, alle performance non solo canore.
Il FantaSanremo e la pace televisiva con Cologno Monzese
Ulteriore elemento di svolta il FantaSanremo: da elemento che iniziamente rompeva la sacralità della liturgia sanremese, è stato pian piano fagocitato del Festival stesso. Un gioco per il pubblico da casa che ha finito per coinvolgere anche i cantanti stessi -, in una caccia collettiva all’imprevisto di turno per accumulare la moneta ufficiale. il Baudo. L’accordo di “non belligeranza” con Mediaset (che in questa settimana rinuncia alla concorrenza) e i vari annunci al TG1 dei conduttori, capaci ci creare attesa per l’evento, dando vita a un continuo circolare di notizie e commenti, hanno fatto il resto.
Un affare complicato
Il confronto con i risultati targati Amadeus, la vicenda legata al futuro della manifestazione con la sentenza del Tar ligure, la questione della raccolta pubblicitaria: mio amatissimo Edoardo Bennato: NON sono solo canzonette… anche se tu, in effetti, l’hai sempre saputo. Questo Sanremo è un affare davvero complicato. Ne parleremo qui su Sonar che, per la settimana che va ad incominciare, cercherà di rappresentare una – si spera – valida alternativa al logorio della vita moderna sulla riviera di Ponente.
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Sonar: tra suoni e visioni
A Roma va in scena Noi non ci Sanremo
L’appuntamento romano dedicato alla canzone d’autore che propone un’alternativa alla prima serata del Festival di Sanremo
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Martedì 11 febbraio, alle ore 21.00 presso lo storico club romano L’Asino che vola (in Via Antonio Coppi, 12), si terrà la terza edizione di Noi non ci Sanremo, organizzata dall’associazione culturale Giovani del Folkstudio, con la direzione artistica di Luigi “Grechi” De Gregori. Una serata dedicata alla canzone d’autore che propone un’alternativa agli schermi televisivi che trasmetteranno la prima serata del Festival di Sanremo.
Due mondi che possno coesistere
«“Noi non ci Sanremo” è una manifestazione garbatamente alternativa al Festival di Sanremo – dichiara Luigi “Grechi” De Gregori – Pochi mesi fa abbiamo ospitato Lucio Corsi a una serata organizzata dai Giovani del Folkstudio, e vederlo quest’anno in gara al Festival è la dimostrazione che questi due mondi apparentemente così lontani possono in realtà coesistere».
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Un momento dell’edizione 2024
Il cast della serata
A presentare la serata sarà lo stesso Luigi Grechi, fratello di Francesco De Gregori, che chiamerà sul palco una selezione di cantautori composta da Leo Folgori, Paolo Capodacqua, Nint, Lorenzo Lepore, Gianluca Bernardo, Leo Petrucci, Lucio Bardi, Daniele De Gregori, Fabrizio Emigli, Emilio Stella, Emanuele Colandrea, Carlo Valente, Gaia Clarizia, Giovanni Block e altri ospiti a sorpresa.
E’ l’autore de Il bandito e il Campione
Luigi “Grechi” De Gregori nasce musicalmente alla fine degli anni sessanta al Folkstudio di Roma, il mitico locale di Trastevere, che fu in quel periodo l’approdo di tutta una generazione musicale d’avanguardia (ci capitarono, fra gli altri, Odetta e Bob Dylan). Del tutto disinteressato alle mode e inguaribilmente attratto dalla musica dal vivo più che dalle sale di registrazione, pubblica dopo qualche anno il suo primo album “Accusato di libertà” (PDU 1975). Negli anni Novanta scrive Il Bandito e il Campione, brano portato al successo dal fratello Francesco, grazie al quale Luigi Grechi si aggiudica a Sanremo la Targa Tenco nel 1993 come miglior canzone dell’anno. S
Sonar: tra suoni e visioni
Whamageddon: hai perso anche tu?
Da un’idea di quattro amici danesi nasce il Whamageddon, il gioco natalizio più spietato e impossibile da vincere, che da quasi vent’anni mette alla prova milioni di persone: evitare a tutti i costi Last Christmas degli Wham! fino alla mezzanotte del 24 dicembre. Tra “stragi” musicali, perdite improvvise e persino una mappa interattiva per le “vittime”, la sfida continua a crescere di popolarità, mentre il brano raggiunge finalmente la vetta delle classifiche, consacrandosi come un vero tormentone delle feste.
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Si fa un gran parlare di Whamageddon (alcune sere fa anche al Tg1), i social si riempioni di contenuti in tema e c’è persino chi arriva a litigare per colpa sua. Trattasi di un gioco di Natale (difficilissimo da vincere) che da 20 anni coinvolge ogni anno sempre più persone in tutto il mondo. Le regole? Poche e semplici, anche se poche sono le persone che riescono a rispettarle, a cominciare dalla prima: evitare di ascoltare la canzone degli Wham! Last Christmas, per tutto dicembre.
Un nome apocalittico per un passatempo natalizio
Il titolo del gioco ricorda la parola “Armageddon”, l’epica battaglia tra bene e male nel giorno del Giudizio. E, pur essendo lontanissime da conflitti nucleari o dalla fine del mondo, il gioco è talmente difficile da vincere che in effetti il numero di “vittime” finisce per essere pari a quello dei racconti distopici di mondi post apocalittici.
Sopravvivono e vincono in pochi
Perché è così difficile “sopravvivere” al Whamageddon? Perché non dipende solo dai giocatori e dalle giocatrici. La prima e più importante regola è “resistere il più a lungo possibile senza sentire la canzone degli Wham!, Last Christmas“. Tutto questo dal primo dicembre fino alla mezzanotte del 24 dicembre.
Mannaggia al Tg1…
Ad essere applicata è solo la versione originale del brano, quindi è consentito ascoltare remix e cover. Diversamente, se viene riprodotta la versione classica del 1984 in qualche negozio, ristorante, festa o cena, giocatori e giocatrici devono immediatamente abbandonare lo spazio. In caso di perdita, si può postare l’hashtag #Whamageddon sui social media. A quel punto, con un pizzico di sana perfidia, anche inviare il link alla canzone a chi è ancora in gara o metterla nelle stories per provare a far perdere anche altre persone. Per esempio, durante il Whamageddon del 2023, un DJ che stava suonando davanti a 7mila persone al Sixfields Stadium di Northampton, in Inghilterra, ha messo la versione originale di Last Christmas con la precisa intenzione di compiere una vera e propria strage! Oppure come l’altra sera al Tg1 – quella che ho citato all’inizio di questo pezzo – che, mannaggia a loro, ha decretato la mia eliminazione! E non credo di essere stato l’unico…
Dalla fantasia bizzarra di quattro ragazzi danesi
Ad inventare questa challenge 18 anni fa sono stati quattro ragazzi danesi: Thomas Mertz, Rasmus Leth Bjerre, Oliver Nøglebæk e Søren Gelineck. Mertz, intervistato dalla CBS, ha raccontato che il gioco di riuscire a evitare Last Christmas è venuto in mente a lui e gli altri amici quando per l’ennesimo anno di fila si sono resi conto che la canzone degli Wham! veniva riprodotta costantemente durante il periodo natalizio.
Esiste anche il suo esatto opposto
I quattro Hanno creato anche un sito (in inglese) nel quale tra merchandising e regole c’è anche la mappa di “Whamhalla”, la terra dei perdenti: non è altro che una mappa interattiva del pianeta terra che indica la posizione e la condizione di tutti i giocatori. L’avatar di chi perde viene spedito qui, in questo aldilà virtuale (il termine Whamhalla è la crasi di “Valhalla”, aldilà dei guerrieri valorosi nella mitologia nordica, e “Wham!”, il nome del duo britannico composto da George Michael e Andrew Ridgeley). Esistono anche le varianti di Whamageddon: una, chiamata Wham!Hunter, prevede che giocatori e giocatrici ottengano un punto ogni volta che ascoltano la canzone Last Christmas.
Il brano col Natale c’entra poco o nulla
Last Christmas rappresenta è un punto fermo delle playlist natalizie di persone comuni, stazioni radio, negozi, pub e ristoranti. Ma l’unico riferimento al Natale è nella parola Christmas del ritornello, il testo parla prevalentemente di un incontro casuale tra due persone che “lo scorso natale” erano state insieme. Parla quindi di una relazione fallita e della sensazione provata nel ritrovarsi faccia a faccia con l’ex, un anno dopo. Solo la frase “Last Christmas” si riferisce effettivamente al periodo delle feste.
Fino a pochi anni fa mai al primo posto
Per 36 anni è stato il singolo più venduto nel Regno Unito (oltre due milioni di copie) senza aver mai raggiunto la vetta della classifica. Solo nel 2017 ha raggiunto il numero 2 (eguagliando il suo picco più alto): dopo la morte di George Michael nel Natale 2016, i fan hanno iniziato una campagna affinché raggiungesse il numero 1. Sembrava che non sarebbe mai successo ma gli Wham! hanno finalmente raggiunto il primo posto nella prima settimana del 2021. grazie agli streaming e ai download massicci nell’ultima settimana del 2020, superando perfino All I want for Christmas di Mariah Carey.
Ora che è passato il termine… puoi pure cliccare!
Sonar: tra suoni e visioni
Tony Effe: Sanremo SI, Veglione NO… se famo du’ spaghi
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All’annuncio della partecipazione alla festa romana di Capodanno della Capitale da parte di Tony Effe è seguita una levata di scudi. Perché questo individuo nel suo repertorio “vanta” alcune canzoni sessiste, ergo… non è moralmente accettabile che venga pagato con soldi pubblici. Va segnalato che tra in prima linea nelle proteste erano presenti molte donne attive nel contrasto alla violenza maschile.
Non prenderà parte al concerto romano del Circo Massimo
La pressione è successivamente montata e l’artista è stato rimosso dalla line-up dell’evento che si svolgerà a Roma. Premettendo che ho una stima artistica pari allo zero per questo personaggio, mi permetto di non essere d’accordo sull’epurazione… e ve lo spiego per punti.
Punto 1
L’arte deve essere libera, soprattutto da ogni considerazione di carattere morale. La musica è arte. Un presupposto che può piacere o meno… ma rappresenta l’espressione creativa dell’animo umano, compresi tutti i limiti e le perversioni possibili. Chi si ricorda del fumetto Fritz the Cat di Robert Crumb? Un classico trasgressivo degli anni ’70 che esprime una misoginia violenta, peraltro riconosciuta anche dal suo stesso creatore…
Dal mio personale punto di vista, l’arte dell’ex Dark Polo Gag (ai tempi della sua militanza nella band il nostro era poco più che implume…) risulta desolatamente povera e per nulla comunicativa, tristissimo esempio di una maschilità insicura che si illude di apparire dominante. Lo storytelling personale di molti trapper, soprattutto in età giovanile, è sempre lo stesso: il macho insaziabile che se le fa tutte, imperando sulle donne con un atteggiamento di consapevole disprezzo. Ma è arte… e il principio per cui l’arte deve essere completamente libera (anche di disgustare, di risultare noiosa, ripetitiva e poco originale) dovrebbe essere sempre tutelato.
Se poi vogliamo aprire un dibattito serio su cosa rappresentano i testi dei rapper in rapporto alla fragilità maschilista di uomini e ragazzi, facciamolo pure, che diamine! Ma qui stiamo solo oscurando il problema perché non abbiamo gli strumenti per affrontarlo. La censura di Tony Effe, in quest’ottica, rappresenta una sconfitta, una resa. Si alza bandiera bianca di fronte alla lettura di un significante – i testi giudicati disdicevoli perché non si sa affrontare il significato: il bisogno di dominanza che rappresenta il nucleo centrale dell’identità maschile.
Punto 2
La censura è quindi la risposta più sbagliata. Sarebbe comprensibile la rimozione dell’artista se su di lui pendessero accuse di violenza domestica o, addirittura, una condanna. Quando a settembre 2020 la Fondazione Pinault decise di rimuovere l’opera di Saul Fletcher Untitled 2020 da una rassegna in corso a Venezia, lo fece perché Fletcher aveva ucciso la compagna, la curatrice e storica dell’arte Rebeccah Blum, per poi suicidarsi. Un gesto significativo, come a dire: tu hai tolto una donna dalla vita e dallo spazio condiviso, noi ti togliamo dallo spazio condiviso per sottolineare il vuoto che hai creato.
Punto 3
La censura degli artisti aiuta loro a trovare visibilità. Come non ricordare, in tal senso, la partecipazione mascherata di Junior Cally al Festival di Sanremo 2020? Anche se con grandi polemiche lui non venne escluso. Sono passati quattro anni e la violenza contro le donne (nei testi delle canzoni e anche nella vita reale) è sempre presente. Attenzione perchè gli attacchi rivolti agli artisti amati dai giovanissimi… finisco solo per aiutano gli artisti! Nel 1985 Mary Elizabeth “Tipper” Gore, moglie dell’allora vicepresidente degli USA Al Gore, scandalizzata per i contenuti erotici di un brano di Prince (Darling Nikki), creò il Parents Music Resource Center che portò all’applicazione del celebre adesivo “Parental Consent: Explicit Lyrics” sulle copertine degli album. Un’iniziativa che, a conti patti, aiutò gli adolescenti a identificare con più facilità gli artisti e i dischi da ascoltare… nulla di più. Perchè l’adolescente è per sua natura attratto dalla sfida: cosa c’è di più seducente, di più eccitante di ascoltare musica che fa schifo ai tuoi genitori? Cambiare le dinamiche dell’adolescenza è un’utopia: è un periodo dell’esistenza che deve essere necessariamente oppositiva. Ma agire sui meccanismi di definizione della maschilità, quello sì che si può… e si deve fare.
E comunque a Sanremo canterà
Come al solito, in questo Paese siamo maestri nelle cose incompiute o realizzate solo a metà. Via Tony Effe dal Circo Massimo ma benvenuto allo stesso sul palco di Sanremo. Con il presentatore-direttore artistico Carlo Conti, cerchiobottista provetto, che si preoccupa di dichiarare che la sua sarà una canzone sorprendente in fatto di qualità.
La polemica infuria, il pan ci manca… qualcuno – per favore – sventoli bandiera bianca.
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