Sonar: tra suoni e visioni

Gli amici se ne vanno, la musica è finita… almeno quella dei Bon Jovi

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    Risale allo scorso mese l’uscita del nuovo album, il sedicesimo in carriera, della band americana dei Bon Jovi, il cui titolo faceva presumenre – almeno sulla carta – a qualcosa di estremamente duraturo e resistente agli agenti del tempo: Forever. Peccato che, a meno di sorprese nelle prossime settimane – personalmente ne dubito – l’album avrà maturato un record tutt’altro che lusinghiero per la band del New Jersey.

    Solo una misera settimana in evidenza

    Dopo il suo debutto al numero cinque della classifica nella settimana dell’uscita, il disco è svanito dalle prime duecento posizioni della classifica di Billboard la settimana successiva. Volatilizzato, scomparso, smaterializzato. Un disco che rappresenterà quindi il primo album in studio dei Bon Jovi a resistere soltanto una misera settimana nella Top 200 della chart statunitense. Roba che al confronto album insignificanti come quelli di Olivia Rodrigo, Ariana Grande e Doja Cat appaiono dei capisaldi delle 7 note.

    Anche il disco precedente è stato un mezzo flop

    Da qualche decennio ormai la stella dei Bon Jovi non brilla più. Non a caso anche il lavoro precedente 2020 resistette soltanto due settimane in classifica. Nella prima settimana salì fino alla posizione numero 19, sprofondando poi alla 145 la settimana successiva, uscendo in seguito definitivamente dalle prime 200 posizioni e finendo nell’oblio.

    Nessuna data live in vita

    Oltretutto, Forever non potrà neanche godere dell’opportuno booster di un tour – che avrebbe potuto risollevare un poco la situazione. La recente operazione alle corde vocali subita da Jon Bon Jovi non gli permette di essere ancora in grado di affrontare lo stress del cantare dal vivo.

    Cafonissimo

    Forever è rumoroso, appariscente, pomposo, cafone: un reflusso gastrico dell’insostenibile tamarraggine eighties, che si perde nell’eternità del titolo. Non a caso il primo singolo estratto si intitola Legendary. A roprova dell’estrema umiltà che li contraddistingue. C’era davvero bisogno di ribadirlo?

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