Sonar: tra suoni e visioni
Quella strana triangolazione Del Santo-Clapton-Harrison
Qualche Sanremo fa ebbi modo di parlare con i Pinguini Tattici Nucleari circa la loro splendida metafora che coinvolgeva Ringo Starr ed anche del loro essere arrivati terzi in classifica finale, omaggiando involontariamente in questo modo il terzo Beatles, il quieto George, the quiet one. In questi giorni leggo alcune dichiarazioni di Lory Del Santo che afferma di avere avuto una breve storia di passione proprio con Harrison. Lo avrebbe fatto in parte per vendicarsi dei continui tradimenti di Eric Clapton che, come i beatlesiani sanno bene, aveva portato via a George la moglie Pattie Boyd.
3 giorni di follie in hotel
L’attrice e regista italiana ha raccontato come lei e George rimasero chiusi per tre giorni al Sun Plaza Hotel di Hiroshima nella suite del musicista, nel dicembre 1991. In quel periodo George e Eric Clapton si trovavano in tour insieme. Lory ha definito quella breve storia con George come “una dolce vendetta» contro il compagno Eric che, oltretutto, “la ignorava” dopo la tragica morte del loro figlio Conor. Da parte sua Eric aveva “soffiato” molti anni prima Pattie a George: per lei scrisse addirittura la leggendaria Layla. Così l’ex Beatle decise di vendicarsi con il romantico incontro con la Del Santo.
Non solo sesso
Nell’intervista Lory racconta: “Fu incredibile, avevamo così tanto da dirci. Il ricordo di quei tre giorni è ancora con me”. I due si scambiarono anche impressioni su come Clapton avesse avuto un effetto negativo sulle loro vite. “Era una cosa molto privata, così speciale. Mi fece molte domande su Eric. Ne aveva bisogno. Anche io avevo bisogno di parlarne. Era così dolce, premuroso. Non era solo una cosa di sesso“.
Il dialogo inesistente con “Manolenta”
Sempre secondo il racconto di Lory, George chiese anche di chiudere la piscina dell’albergo, in modo che i due potessero fare il bagno da soli. “Con Eric non potevo parlare. Era sempre distante, anche di più dopo la morte di Conor. Non dormivo con lui all’epoca”. L’inaspettato incontro con Harrison si rivelò poi non solo una semplice vendetta. “Iniziò magari così. Forse lui aveva in mente la vendetta e anche io. Ma ciò che cominciò come una vendetta diventò una cosa speciale. Mi resi conto: ‘Piaccio davvero a George Harrison e lui mi piace molto’. Era una persona molto quieta. Si preoccupava che io mangiassi, mi lasciava parlare, si interessava a quel che avevo da dire. Eric, dal canto suo, non seppe mai nulla della vicenda.
Un finale di show senza bis
L’addio tra George e Lory fu molto romantico, racconta ancora la Del Santo: “Fece tutto alla perfezione. Niente regali. Mi chiamò e disse: ‘Spero di rivederti’. Ma sapevo che non ci saremmo rivisti e sono sicura che anche lui lo sapeva. Mi disse: ‘Sei così dolce, non posso credere che un uomo non voglia stare con te tutta la vita’”.
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Sonar: tra suoni e visioni
Tony Effe: Sanremo SI, Veglione NO… se famo du’ spaghi
All’annuncio della partecipazione alla festa romana di Capodanno della Capitale da parte di Tony Effe è seguita una levata di scudi. Perché questo individuo nel suo repertorio “vanta” alcune canzoni sessiste, ergo… non è moralmente accettabile che venga pagato con soldi pubblici. Va segnalato che tra in prima linea nelle proteste erano presenti molte donne attive nel contrasto alla violenza maschile.
Non prenderà parte al concerto romano del Circo Massimo
La pressione è successivamente montata e l’artista è stato rimosso dalla line-up dell’evento che si svolgerà a Roma. Premettendo che ho una stima artistica pari allo zero per questo personaggio, mi permetto di non essere d’accordo sull’epurazione… e ve lo spiego per punti.
Punto 1
L’arte deve essere libera, soprattutto da ogni considerazione di carattere morale. La musica è arte. Un presupposto che può piacere o meno… ma rappresenta l’espressione creativa dell’animo umano, compresi tutti i limiti e le perversioni possibili. Chi si ricorda del fumetto Fritz the Cat di Robert Crumb? Un classico trasgressivo degli anni ’70 che esprime una misoginia violenta, peraltro riconosciuta anche dal suo stesso creatore…
Dal mio personale punto di vista, l’arte dell’ex Dark Polo Gag (ai tempi della sua militanza nella band il nostro era poco più che implume…) risulta desolatamente povera e per nulla comunicativa, tristissimo esempio di una maschilità insicura che si illude di apparire dominante. Lo storytelling personale di molti trapper, soprattutto in età giovanile, è sempre lo stesso: il macho insaziabile che se le fa tutte, imperando sulle donne con un atteggiamento di consapevole disprezzo. Ma è arte… e il principio per cui l’arte deve essere completamente libera (anche di disgustare, di risultare noiosa, ripetitiva e poco originale) dovrebbe essere sempre tutelato.
Se poi vogliamo aprire un dibattito serio su cosa rappresentano i testi dei rapper in rapporto alla fragilità maschilista di uomini e ragazzi, facciamolo pure, che diamine! Ma qui stiamo solo oscurando il problema perché non abbiamo gli strumenti per affrontarlo. La censura di Tony Effe, in quest’ottica, rappresenta una sconfitta, una resa. Si alza bandiera bianca di fronte alla lettura di un significante – i testi giudicati disdicevoli perché non si sa affrontare il significato: il bisogno di dominanza che rappresenta il nucleo centrale dell’identità maschile.
Punto 2
La censura è quindi la risposta più sbagliata. Sarebbe comprensibile la rimozione dell’artista se su di lui pendessero accuse di violenza domestica o, addirittura, una condanna. Quando a settembre 2020 la Fondazione Pinault decise di rimuovere l’opera di Saul Fletcher Untitled 2020 da una rassegna in corso a Venezia, lo fece perché Fletcher aveva ucciso la compagna, la curatrice e storica dell’arte Rebeccah Blum, per poi suicidarsi. Un gesto significativo, come a dire: tu hai tolto una donna dalla vita e dallo spazio condiviso, noi ti togliamo dallo spazio condiviso per sottolineare il vuoto che hai creato.
Punto 3
La censura degli artisti aiuta loro a trovare visibilità. Come non ricordare, in tal senso, la partecipazione mascherata di Junior Cally al Festival di Sanremo 2020? Anche se con grandi polemiche lui non venne escluso. Sono passati quattro anni e la violenza contro le donne (nei testi delle canzoni e anche nella vita reale) è sempre presente. Attenzione perchè gli attacchi rivolti agli artisti amati dai giovanissimi… finisco solo per aiutano gli artisti! Nel 1985 Mary Elizabeth “Tipper” Gore, moglie dell’allora vicepresidente degli USA Al Gore, scandalizzata per i contenuti erotici di un brano di Prince (Darling Nikki), creò il Parents Music Resource Center che portò all’applicazione del celebre adesivo “Parental Consent: Explicit Lyrics” sulle copertine degli album. Un’iniziativa che, a conti patti, aiutò gli adolescenti a identificare con più facilità gli artisti e i dischi da ascoltare… nulla di più. Perchè l’adolescente è per sua natura attratto dalla sfida: cosa c’è di più seducente, di più eccitante di ascoltare musica che fa schifo ai tuoi genitori? Cambiare le dinamiche dell’adolescenza è un’utopia: è un periodo dell’esistenza che deve essere necessariamente oppositiva. Ma agire sui meccanismi di definizione della maschilità, quello sì che si può… e si deve fare.
E comunque a Sanremo canterà
Come al solito, in questo Paese siamo maestri nelle cose incompiute o realizzate solo a metà. Via Tony Effe dal Circo Massimo ma benvenuto allo stesso sul palco di Sanremo. Con il presentatore-direttore artistico Carlo Conti, cerchiobottista provetto, che si preoccupa di dichiarare che la sua sarà una canzone sorprendente in fatto di qualità.
La polemica infuria, il pan ci manca… qualcuno – per favore – sventoli bandiera bianca.
Sonar: tra suoni e visioni
Whamageddon: hai già perso anche tu?
Si fa un gran parlare di Whamageddon (alcune sere fa anche al Tg1), i social si riempioni di contenuti in tema e c’è persino chi arriva a litigare per colpa sua. Trattasi di un gioco di Natale (difficilissimo da vincere) che da 20 anni coinvolge ogni anno sempre più persone in tutto il mondo. Le regole? Poche e semplici, anche se poche sono le persone che riescono a rispettarle, a cominciare dalla prima: evitare di ascoltare la canzone degli Wham! Last Christmas, per tutto dicembre.
Un nome apocalittico per un passatempo natalizio
Il titolo del gioco ricorda la parola “Armageddon”, l’epica battaglia tra bene e male nel giorno del Giudizio. E, pur essendo lontanissime da conflitti nucleari o dalla fine del mondo, il gioco è talmente difficile da vincere che in effetti il numero di “vittime” finisce per essere pari a quello dei racconti distopici di mondi post apocalittici.
Sopravvivono e vincono in pochi
Perché è così difficile “sopravvivere” al Whamageddon? Perché non dipende solo dai giocatori e dalle giocatrici. La prima e più importante regola è “resistere il più a lungo possibile senza sentire la canzone degli Wham!, Last Christmas“. Tutto questo dal primo dicembre fino alla mezzanotte del 24 dicembre.
Mannaggia al Tg1…
Ad essere applicata è solo la versione originale del brano, quindi è consentito ascoltare remix e cover. Diversamente, se viene riprodotta la versione classica del 1984 in qualche negozio, ristorante, festa o cena, giocatori e giocatrici devono immediatamente abbandonare lo spazio. In caso di perdita, si può postare l’hashtag #Whamageddon sui social media. A quel punto, con un pizzico di sana perfidia, anche inviare il link alla canzone a chi è ancora in gara o metterla nelle stories per provare a far perdere anche altre persone. Per esempio, durante il Whamageddon del 2023, un DJ che stava suonando davanti a 7mila persone al Sixfields Stadium di Northampton, in Inghilterra, ha messo la versione originale di Last Christmas con la precisa intenzione di compiere una vera e propria strage! Oppure come l’altra sera al Tg1 – quella che ho citato all’inizio di questo pezzo – che, mannaggia a loro, ha decretato la mia eliminazione! E non credo di essere stato l’unico…
Dalla fantasia bizzarra di quattro ragazzi danesi
Ad inventare questa challenge 18 anni fa sono stati quattro ragazzi danesi: Thomas Mertz, Rasmus Leth Bjerre, Oliver Nøglebæk e Søren Gelineck. Mertz, intervistato dalla CBS, ha raccontato che il gioco di riuscire a evitare Last Christmas è venuto in mente a lui e gli altri amici quando per l’ennesimo anno di fila si sono resi conto che la canzone degli Wham! veniva riprodotta costantemente durante il periodo natalizio.
Esiste anche il suo esatto opposto
I quattro Hanno creato anche un sito (in inglese) nel quale tra merchandising e regole c’è anche la mappa di “Whamhalla”, la terra dei perdenti: non è altro che una mappa interattiva del pianeta terra che indica la posizione e la condizione di tutti i giocatori. L’avatar di chi perde viene spedito qui, in questo aldilà virtuale (il termine Whamhalla è la crasi di “Valhalla”, aldilà dei guerrieri valorosi nella mitologia nordica, e “Wham!”, il nome del duo britannico composto da George Michael e Andrew Ridgeley). Esistono anche le varianti di Whamageddon: una, chiamata Wham!Hunter, prevede che giocatori e giocatrici ottengano un punto ogni volta che ascoltano la canzone Last Christmas.
Il brano col Natale c’entra poco o nulla
Last Christmas rappresenta è un punto fermo delle playlist natalizie di persone comuni, stazioni radio, negozi, pub e ristoranti. Ma l’unico riferimento al Natale è nella parola Christmas del ritornello, il testo parla prevalentemente di un incontro casuale tra due persone che “lo scorso natale” erano state insieme. Parla quindi di una relazione fallita e della sensazione provata nel ritrovarsi faccia a faccia con l’ex, un anno dopo. Solo la frase “Last Christmas” si riferisce effettivamente al periodo delle feste.
Fino a pochi anni fa mai al primo posto
Per 36 anni è stato il singolo più venduto nel Regno Unito (oltre due milioni di copie) senza aver mai raggiunto la vetta della classifica. Solo nel 2017 ha raggiunto il numero 2 (eguagliando il suo picco più alto): dopo la morte di George Michael nel Natale 2016, i fan hanno iniziato una campagna affinché raggiungesse il numero 1. Sembrava che non sarebbe mai successo ma gli Wham! hanno finalmente raggiunto il primo posto nella prima settimana del 2021. grazie agli streaming e ai download massicci nell’ultima settimana del 2020, superando perfino All I want for Christmas di Mariah Carey.
Se vuoi avere qualche speranza di vincere… non cliccare!
Sonar: tra suoni e visioni
Quella cover imbarazzante della “soul lady” Millie Jackson
Nonostante possa essere considerata a pieno titolo un pezzo importante della storia del soul… la “signora” Millie Jackson con questo Back To The S**t (album del 1989) non dimostra certo un particolare gusto per le copertine. Comprendendo la smorfia di dolore sul suo volto, quasi sicuramente dovuta ad una evaquazione non propriamente “mordida” ma… qualcuno sa spiegare la funzione della scarpa destra in mano?!?
Nel ’73 superò addirittura la Franklin
Soprannominata “la Regina del Sexy Soul”, celebre per i testi delle sue canzoni e per i suoi show, che affrontavano temi sessuali in maniera veramente spinta, è stata eletta nel 1973 “Miglior Cantante R&B”, superando, a quei tempi, un’altra stella appena nata, che rispondeva al nome di Aretha Franklin!
Nessuna parentela coi Jackson di Michael
Millie Jackson è nata nel 1944 a Thompson, Georgia, da una famiglia di agricoltori. Alla morte del padre, ancora bambina, si è trasferita a Newark, nel New Jersey. Quando è arrivata al nord era decisamente campagnola e lei stessa racconta che in Georgia era più facile sentire musica country alla radio che soul o rhythm’n’blues. Jackson, nessuna parentela con LaToya e gli altri famosi Jackson di Gary, Indiana, è diventata molto nota all’inizio degli anni settanta con una serie di album eccezionali come It hurts so good, Caught up, Still caught up e Feelin’ bitchy. In quei lavori Millie Jackson ha affinato uno stile inconfondibile: un soul morbido e abrasivo allo stesso tempo, capace di esprimere grande sensualità e una decisa assertività sessuale.
Il nuovo stereotipo di donna afroamericana
Jackson aveva fatto sue le istanze di libertà sessuale delle grandi blueswomen degli anni venti, traghettandole negli anni settanta del femminismo della seconda ondata e delle lotte civili. La musica della Jackson non è mai stata politicizzata nel senso ovvio del termine, ma dava voce a un nuovo tipo di donna afroamericana.
Discografia vastissima
Le tematiche erotiche dei suoi spettacoli e dei suoi lavori, oltre che procurarle qualche guaio… hanno spesso oscurato il suo vero, grande talento, una delle poche soul ladies in grado di vantare una tiratura discografica impressionante, con più di 25 dischi a suo nome pubblicati e milioni e milioni di copie vendute in tutto il mondo.
Passione per la country music
Oltre al linguaggio esplicito e alle sue straordinarie capacità d’interprete soul, una costante di tutti i suoi album degli anni settanta era la presenza – in mezzo a tanto soul, funk, disco e rhythm’n’blues – di un pezzo country. Millie Jackson ha sempre saputo che lo spirito originario della sua musica era nel country che sentiva nel sud: in quella franchezza rurale, in quel racconto in prima persona di gente del popolo, semplice ed agreste, che snocciola i propri guai senza filtri e che se c’è da dire una parolaccia la dice. Con gusto.
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