Sonar: tra suoni e visioni
David Gilmour, il fascino discerto della senilità

Il tempo impietoso scorre ma certi musicisti, pur con opportuni cambi di rotta, riescono a mantenere inalterata la classe che li ha resi famosi in gioventù. Prima l’ex compagno di avventure pinkfloydiane Roger Waters con una nuova versione di un loro intramontabile classico (The Dark Side of the Moon… Redux) e ora David Gilmour, leggendario axe-man dalla magica Fender, che propone al mercato un’anticipazione di un album che uscirà dopo l’estate.
Una gestazione durata 5 mesi
Arriva sulle piattaforme digitali (una volta si diceva… in tutti i negozi) il singolo The Piper’s Call. Si tratta della prima anticipazione del nuovo album in studio di David Gilmour, intitolato Luck and strange, che sarà pubblicato il prossimo 6 settembre, a nove anni di distanza da Rattle that lock. Le registrazioni del nuovo lavoro, prodotto dallo stesso Gilmour e Charlie Andrew, si sono svolte per 5 mesi fra Brighton e Londra. Parlando di Andrew, David Gilmour ha spiegato: “Abbiamo invitato Charlie a casa, è venuto e ha ascoltato alcuni demo e ha detto cose del tipo: ‘Beh, perché deve esserci un assolo di chitarra lì?’ e ‘Vanno tutte in dissolvenza? Qualche volta non potrebbero finire e basta?’ Ha una meravigliosa mancanza di conoscenza e di rispetto per il mio passato. È molto diretto e per nulla intimorito, e questo lo adoro. E’ davvero positivo per me perché l’ultima cosa che voglio è che le persone si sottomettano a me”.
Aleggia lo spirito di Rick Wright
Il nuovo album conterrà una registrazione di Rick Wright, il tastierista dei Pink Floyd scomparso nel 2008. Una traccia realizzata nel 2007 durante una jam in un fienile a casa Gilmour. Inoltre, nell’album ci saranno contributi della figlia Romany e Gabriel Gilmour, di Guy Pratt e Tom Herbert al basso, Adam Betts , il raffinato Steve Gadd e Steve DiStanislao alla batteria. Senza dimenticare Rob Gentry e Roger Eno – fratello di Brian – alle tastiere, con gli arrangiamenti degli archi e dei cori a cura di Will Gardner. La moglie di Gilmour, Polly Samson, ha contribuito anche stavolta alla stesura dei testi. Raccontando in merito: “È scritto dal punto di vista del diventare vecchi; la mortalità è la costante”. A lei ha fatto eco Gilmour aggiungendo: “Abbiamo passato molto tempo durante e dopo il lockdown parlando e pensando a questo genere di cose”.

David con la moglie Polly
A proposito del nuovo pezzo
Un’atmosfera trasognante scandita dagli arpeggi della chitarra, e resa agrodolce dall’ingresso delle percussioni, introduce il nuovo singolo di David Gilmour, “The Piper’s Call”. “Take thes birds everlasting / Can’t undo the voodoo that you do / And the knots that we fasten / Will not work themselves / Whatever it takes / Steer clear of the snakes”, entra quindi chiara la voce del chitarrista dei Pink Floyd, con un fare malinconico che respira poi nei successivi versi del testo della canzone, che tra cori soffusi rivela il suo messaggio avvicinandosi alle ultime produzioni di Gilmour per la storica band inglese: “Your conscience uncontrolled / And beauty to behold / The promise of eternal youth / The spoils of fame, a carpe diem attitude”.
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Sonar: tra suoni e visioni
Dandy Bestia: l’ultimo riff ignorato dai media

L’Italia ha perso un pezzo di storia del rock, ma, come al solito, in pochi sembrano essersene accorti. Fabio Testoni, in arte Dandy Bestia, leggendario chitarrista dei bolognesi Skiantos, ha lasciato questo mondo senza che i grandi media si prendessero la briga di celebrarlo. D’altronde, troppo impegnati a seguire le liti sui social di qualche miserabile influencer o l’ennesima dichiarazione da semi-analfabeta di uno strapagato calciatore… figurarsi se si ricordano di chi ha scritto pagine fondamentali del rock demenziale italiano!
Quando il rock era (auto)ironia e genio
Dandy Bestia è stato un pilastro di un genere che non si è mai preso troppo sul serio, e forse proprio per questo ha lasciato un segno indelebile. Con Freak Antoni e il resto della banda, gli Skiantos hanno stravolto il concetto stesso di musica in Italia: tra concerti surreali, testi grotteschi e una capacità unica di smascherare il ridicolo della società. Sono stati la voce fuori dal coro, il dito medio al conformismo musicale dritto in quel posto, l’unico vero esperimento punk nato in Italia senza bisogno di scimmiottare i mostri sacri d’oltreoceano.
Demenziale… ma non solo, anzi…
Il loro capolavoro MONOtono (uscito in un infuocato 1978, quando il punk stava ridettando le regole della musica giovane) resta ancora oggi un manifesto di ribellione e nonsense. Dandy Bestia, con la sua chitarra tagliente e il suo talento troppo spesso sottovalutato, ha dato al rock demenziale una dignità musicale insospettabile. Ma guai a chiamarlo “solo” demenziale: sotto la patina di idiozia consapevole c’era una genialità rara, un’arte che sfidava qualsiasi etichetta. A volte, inaspettatamente, anche con un velo leggero ma preciso di poesia…
Morto e (come sempre) ignorato
E così, la scomparsa di Dandy Bestia è scivolata via in silenzio, come una battuta geniale raccontata in una stanza vuota. Nessun titolone, nessuna prima pagina, giusto qualche riga sparsa sui giornali online. Eppure, il suo contributo alla musica italiana è stato enorme, anche se in troppi fingono di non saperlo. Gli Skiantos hanno ispirato generazioni di musicisti – un nome su tutti: Elio e Le Storie Tese -, dimostrando che si può fare rock senza prendersi sul serio e che si può prendere tutti bellamente per il culo, anche se stessi. Dandy Bestia ne era l’anima musicale, un chitarrista sopraffino capace di trasformare il nonsense in arte.
Un addio come si deve: a suon di rock
A chi oggi vuole ricordarlo, basterebbe mettere su Sono rozzo, sono grezzo, alzare il volume e brindare con una birra calda in onore di chi ha fatto della musica un atto di libertà. Se esiste un paradiso del rock, lui – dopo aver ritrovato il caro Freak Antoni – starà già accordando la chitarra per un assolo irriverente, con qualche santo sbalordito davanti a tanta genialità. Buon viaggio, Dandy. Io ti ricorderò… anche se i giornali preferiscono parlare d’altro. D’altronde… non c’è gusto in Italia ad essere intelligenti, no?
Sonar: tra suoni e visioni
Un walzer (l’ultimo) per Giovanni

Il giornalismo è spesso una brutta bestia, fatta di verità nascoste e di clamorose menzogne date in pasto agli ignari lettori. Sulla morte dell’amico Giovanni, figlio di Gino Paoli, alcune sedicenti testate si affrettano ora a sottolinearne l’ultimo incarico come direttore di un magazine legato ad un noto personaggio del vippismo italiota più becero, quasi dimenticando tutto il resto. Leggo con disgusto che la redazione attuale si spertica ora a ricordarlo con parole di enfatico elogio, attraverso vomitevoli pseudo-epitaffi di circostanza. Peccato che io so cosa veniva detto dietro le sue spalle. Poco male, l’oblio sa bene come far dissolvere l’infinita pochezza di questi miserabili figuri.
Un’amicizia che i casi della vita non era riuscita a scalfire
Con Giò ci eravamo sentiti di recente e lui, come al solito, era stato molto carino e gentile (anche con mia moglie), scusandosi per qualche scaramuccia pregressa fra noi che, comunque, non aveva mai minato la nostra amicizia. Persona dai grandi talenti e capacità dal punto di vista musicale e della scrittura, schivo, troppo buono, assolutamente disinteressato alla competizione che non lo toccava minimamente: per questo motivo ha avuto meno di quanto avrebbe meritato.
Dotta citazione
Porterò con me le lunghe discussioni musicali e soprattutto le risate, che sono di gran lunga la cosa più importante. Ci prendiamo troppo troppo sul serio noi umani, insignificanti cacchette di mosca nell’universo: se l’uomo delle caverne avesse saputo ridere – lo sosteneva Oscar Wilde, mica un Varani qualunque – la Storia avrebbe seguito un altro corso.
L’ultima volta che abbiamo trascorso del tempo insieme
In questa foto eravamo in prima fila alla presentazione del libro di Gino, l’anno scorso al Teatro Strehler, tra di noi c’era un altro amico, Ricky Gianco. Successivamente Giovanni ci aveva tenuto a portarmi in camerino da suo padre, col quale avevamo discusso di poesia, in particolare di un poeta genovese, Edoardo Firpo:
Poesse fâ comme l’öchin / pe ogni onda che arriva / arsame sempre un pittin
(Potessi fare come il gabbiano / per ogni onda che arriva / alzarmi sempre un poco)

Tu ci sei riuscito Giovanni, sei lassù, da qualche parte nell’altissimo, finalmente libero di ridere, anche di noi. Una delle ultime volte che ci siamo sentiti avevamo parlato di questo brano di Bill Evans, che amavamo entrambi, ricordi? Un pianista che spesso tornava nei nostri discorsi da musicofili incalliti (o “coglioni avariati” come dicevi tu). Evans, come pochi altri, è riuscito a mescolare il jazz e le armonie di compositori classici europei come Claude Debussy e Maurice Ravel. Non stupisce allora che molte sue composizioni abbiano il tempo di 3/4, usato in Europa ma quasi inesistente nel jazz, almeno fino agli anni ’50.
Tecnicismi per onanisti musicofili
Pur disponendo di una formazione classica, è stato dunque uno dei pianisti che più ha rivoluzionato il linguaggio del piano jazz. Waltz For Debby è una delle composizioni più importanti ed anche più care al pianista. Il brano si apre sul tempo di 3/4 come ci si aspetta da un valzer, al minuto 1’04” il pezzo passa invece al tempo di 4/4, più comodo per le improvvisazioni. Durante l’assolo del pianoforte il contrabbasso continua ad improvvisare linee melodiche alternate a passaggi in cui accompagna, prima di prendere un assolo vero e proprio (al min. 3’58”). Dettagli sui quali ci piaceva soffermarci – Giovanni era anche un musicista – nelle nostre chiacchierate. Questa è per te, caro Giò, so che apprezzerai…
Sonar: tra suoni e visioni
Quando la Regina Elisabetta incontrò il gotha del chitarrismo rock (video)

Parole di cortesia e frasi di circostanza per far sentire gli ospiti a loro agio, spazzando via tensioni e nervosismi? Oppure vere e proprie gaffe? Chi può dirlo. Tra i capitoli in assoluto più divertenti del rapporto tra la Regina Elisabetta II e il rock, nel corso dei suoi 70 anni di regno, c’è senza dubbio il simpatico siparietto che nel 2005 vide l’ex sovrana del Regno Unito, all’epoca 78enne, incontrare a Buckingham Palace una delegazione di star della musica rock composta da tre leggende come Brian May dei Queen, Jimmy Page dei Led Zeppelin, Eric Clapton e Jeff Beck, icone a livello mondiale.
Un video imperdibile
L’occasione offerta da un evento celebrativo dell’industria discografica britannica, alla presenza di Sua Maestà la Regina Elisabetta II. L’incontro è stato per anni tramandato oralmente da chi ha assistito a quel momento storico, fino a quando non è finalmente spuntato su YouTube il video che l’ha immortalato. E che ne restituisce la goffezza.
Un quartetto di assi della sei corde
Il primo del quartetto a stringere la mano alla Regina Elisabetta II è Brian May, il leggendario chitarrista dei Queen, che tre anni prima di quell’evento aveva suonato l’inno nazionale per il giubileo di Elisabetta nel 2002 e che ora si scusa con Sua Maestà – ironicamente – per aver fatto tutto quel casino rileggendo God save the Queen con un’orchestra suonando direttamente sul tetto di Buckingham Palace. La regina lo guarda un po’ perplessa e poi lo prende in contropiede: “Ah, eri tu?”, risponde. Subito dopo tocca a Jimmy Page, che con i Led Zeppelin ha scritto alcune delle pagine più importanti della storia della musica rock, ma che la Regina Elisabetta sembra non aver mai sentito nominare: “Anche lei è un…”. Page risponde imbarazzatissimo: “Sì, anche io sono un chitarrista…”. Brian May prova a soccorrerlo: “Jimmy è un mio eroe. I Led Zeppelin sono stati un modello per molti”. La Regina annuisce.
La gaffe regale con Clapton
Ancor più imbarazzante, però, è la stretta di mano con Eric Clapton e Jeff Beck: “Piacere di vedervi”, dice la sovrana ai due musicisti, dando l’impressione di conoscerli. Non è così. Dopo aver scrutato da capo a piedi “Slowhand”, gli domanda: “È molto tempo che suona la chitarra?”. E quello risponde: “Beh, saranno qualcosa come… 40 anni?”.
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