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Cronaca

Chi è Pietro Parolin, il cardinale che ha parlato con i cinesi (e ha sussurrato al Papa)

Settant’anni, veneto, figlio di un ferramenta e uomo di Vangelo. Ha lavorato per anni nell’ombra costruendo intese storiche, dall’accordo con la Cina sui vescovi al riavvicinamento tra Castro e Obama. Con Papa Francesco ha condiviso dieci anni di pontificato e un progetto ecclesiale globale. E ora il Conclave lo guarda.

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    Bisognava vederlo, all’inizio di settembre, con le lacrime agli occhi nella piccola chiesa di Schiavon, nel Vicentino, a dare l’ultimo saluto a sua madre Ada Miotti. Il cardinale Pietro Parolin, uno degli uomini più potenti e riservati della Chiesa cattolica, aveva scelto parole semplici: «Grazie mamma, sulle tue ginocchia abbiamo imparato il Vangelo». Lì, dove è nato 70 anni fa, non è il Segretario di Stato vaticano. È solo don Pietro, come lo chiamano tutti. Quello che da bambino celebrava finte Messe sul balcone, con il grembiule della nonna come pianeta liturgica.

    La sua storia comincia così, tra oratorio e seminario, tra parrocchia e studi classici, passando per il seminario di Vicenza, la laurea in diritto canonico alla Gregoriana e poi la scelta della diplomazia. Entrato nel servizio diplomatico della Santa Sede nel 1986, ha vissuto in Nigeria, Messico e poi nella segreteria vaticana, dove nel 2002 diventa sottosegretario per i rapporti con gli Stati.

    Parolin è uno che non alza mai la voce. Ma che sa usare ogni parola come una chiave. Ha trattato nei teatri più difficili del mondo, dall’America Latina alla Cina, e ha costruito ponti dove altri vedevano solo muri. Il primo grande tentativo fu proprio con Pechino. Nel 2007 Benedetto XVI gli affida la missione di dialogare con il governo comunista per risolvere la questione della nomina dei vescovi. È un’impresa quasi impossibile. Va a Pechino, prova ad aprire un varco, ma l’accordo sfuma. E Parolin viene spedito a Caracas. Una promozione? Una punizione? Entrambe, forse.

    Ma la storia cambia nel 2013, quando viene eletto Papa Francesco, il primo gesuita, con una visione chiarissima: «L’Asia è il futuro della Chiesa». Parolin torna al centro: Francesco lo richiama dalla Venezuela e lo nomina Segretario di Stato. L’anno dopo lo crea cardinale. Il segnale è chiaro: l’uomo del dialogo, anche quello più scomodo, è ora il più vicino al Papa.

    E infatti, sotto la sua regia, l’accordo con la Cina sulla nomina dei vescovi prende finalmente forma: firmato il 22 settembre 2018, rinnovato più volte, criticato da molti, ma considerato da Parolin un passo necessario: «Non è perfetto, ma è un processo», ha detto. Un processo che ha permesso almeno una forma di comunicazione ufficiale tra Santa Sede e Partito Comunista Cinese dopo decenni di silenzi e persecuzioni.

    Non è il solo capolavoro diplomatico. Nel 2014, Parolin gioca un ruolo chiave nella riapertura delle relazioni tra Stati Uniti e Cuba. Mentre i media si concentravano sul Sinodo della famiglia, lui accoglieva in segreto, tra le mura vaticane, le delegazioni di Obama e Castro. Il 17 dicembre, a dieci minuti l’uno dall’altro, i due presidenti annunciano lo storico disgelo. Entrambi ringraziano Papa Francesco. Ma dietro la cortina, c’era lui. Sempre lui. Parolin.

    Con Francesco ha avuto un rapporto strettissimo, fatto anche di correzioni diplomatiche. Quando il Papa parlò del “coraggio della bandiera bianca” per l’Ucraina, scatenando polemiche, fu Parolin a chiarire il senso delle parole del Pontefice: «La prima condizione è mettere fine all’aggressione», disse, ristabilendo l’equilibrio tra diplomazia e dottrina.

    Oggi Parolin è uno dei nomi forti del Conclave. Non è un outsider, non è un rivoluzionario, non è un prete da palcoscenico. È un uomo di Chiesa che conosce il mondo, i suoi meccanismi e i suoi dolori. Ha servito Francesco con lealtà e misura, ha rappresentato la Santa Sede nei dossier più intricati, ha messo la sua intelligenza al servizio di una visione cattolica che non rinuncia a trattare, ma non svende la propria anima.

    La sua forza? La pazienza. La discrezione. E un realismo antico, veneto, educato nelle pieghe della provincia e nei silenzi del Vaticano. Uno capace di far parlare Washington e L’Avana, Pechino e Roma. Uno che ha abbattuto la muraglia cinese. Con un Vangelo tascabile e un’agenda diplomatica sotto il braccio.

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      Mondo

      Truffe online e disinformazione. La morte di Papa Francesco esca per i cybercriminali

      Il lutto di un pontefice non dovrebbe mai diventare una strategia di profitto per criminali senza scrupoli.

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        La morte di Papa Francesco ha generato un’ondata di emozioni tra i fedeli di tutto il mondo. E mentre milioni di persone cercano informazioni e rendono omaggio al Pontefice, i cybercriminali hanno trovato un’opportunità per mettere in atto truffe, manipolazioni digitali e attacchi informatici. Secondo gli esperti di Check Point Software Technologies, i cybercriminali sfruttano momenti di crisi e lutto per colpire l’attenzione del pubblico, aumentando il rischio di campagne di disinformazione, frodi finanziarie e furti di dati.

        Ecco come colpiscono i cybercriminali

        Le tecniche utilizzate per ingannare gli utenti si dividono in due categorie. Da una parte le fake news dall’altra creare immagini generate dall’intelligenza artificiale. Sui social media, sono state diffuse immagini e notizie false sulla morte di Papa Francesco, create con l’AI per sembrare credibili. L’obiettivo di queste campagne è attirare l’attenzione, spingere gli utenti a cercare ulteriori informazioni e indurli a cliccare su link fraudolenti. Una volta aperti, questi link possono reindirizzare a siti web dannosi, spesso simili a portali di notizie affidabili. Oppure possono installare malware nei dispositivi. I link possono anche rubare credenziali di accesso, dati bancari e informazioni personali. Questo metodo consente ai truffatori di diffondere malware, rubare cookie di sessione e dati sensibili, monetizzare il traffico fraudolento. Un ulteriore danno potrebbe essere causato dall’avvelenamento SEO una tecnica con cui i cybercriminali pagano per posizionare i loro siti dannosi tra i primi risultati di ricerca su Google e altri motori.

        Come possiamo proteggerci da queste truffe

        La migliore difesa contro questi attacchi è un mix di consapevolezza e strumenti di sicurezza adeguati. Secondo gli esperti di Check Point Software Technologies sono sei le regole da seguire per non cadere nella rete dei cybercriminali.

        Aggiornare il browser e il sistema operativo. Le patch di sicurezza, infatti, correggono vulnerabilità sfruttate dagli hacker.
        Usare strumenti di protezione della navigazione. I software dedicati bloccano automaticamente i link dannosi prima che vengano caricati.
        Diffidare di contenuti sensazionali e virali controllando la veridicità delle notizie incrociandole con fonti affidabili.
        Evitare di cliccare su link sconosciuti. Digitare manualmente l’URL dei siti ufficiali anziché affidarsi ai risultati di ricerca.
        Verificare i siti prima di accedervi. Utilizzare strumenti di intelligence sulle minacce per analizzare domini sospetti.
        Adottare software di sicurezza avanzato. Si tratta di programmi per il rilevamento di phishing e minacce informatiche in grado di ridurre i rischi di attacchi.

        Non curiosate troppo, può essere un’occasione per gli hacker

        Secondo Rafa Lopez, esperto di Check Point Software Technologies “I criminali informatici prosperano grazie al caos e alla curiosità. Ogni evento di cronaca importante diventa un’opportunità per truffare il pubblico“. Quindi informarsi con prudenza, evitare clic impulsivi e usare strumenti di sicurezza sono le chiavi per non cadere vittima di queste insidie.

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          Italia

          Parla la maestra licenziata per OnlyFans: “Il problema non sono i bambini, ma l’ipocrisia degli adulti”

          Elena Maraga, ex maestra d’asilo di Treviso, racconta la sua storia dopo il licenziamento per la sua attività su OnlyFans. In un’Italia ancora ancorata alla sessuofobia e all’ipocrisia, la sua vicenda solleva interrogativi profondi su lavoro, libertà personale e dignità. Ecco la sua testimonianza completa, ottimizzata per la SEO.

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            29 anni, è laureata in Scienze dell’Educazione e, fino a poco tempo fa, lavorava come maestra d’asilo in una scuola parrocchiale di Varago, vicino Treviso. Ma la sua vita è cambiata radicalmente dopo la scoperta, da parte della scuola, del suo profilo su OnlyFans. “Non mi sono mai spinta nella pornografia”, chiarisce, “eppure sono stata licenziata con l’accusa di comportamento inappropriato”. A scatenare il caso, la denuncia della compagna del padre di un suo alunno, che – ironia della sorte – era anche un suo abbonato.

            OnlyFans e la libertà di scelta: “Ognuno si arrangia come può”

            Elena non si nasconde: “Sono un’esibizionista, mi piace mostrare il mio corpo. Ma la vera domanda è: è più dignitoso accettare 1.200 euro al mese o trovare un modo alternativo per vivere?”. La giovane spiega come il suo secondo lavoro le abbia permesso di pensare a un futuro diverso, indipendente. “Faccio body building, curo il mio corpo e la Rete paga per vederlo. In un mese, su OnlyFans, si può guadagnare anche dieci volte tanto lo stipendio da insegnante”.

            La condanna sociale

            “Mostrarsi in intimo online non rende meno capaci di educare un bambino”, afferma Elena. “Il problema non è la tutela dei minori, ma la sessuofobia e l’ipocrisia degli adulti. In spiaggia si vedono cose ben peggiori. La società ama giudicare ciò che in privato consuma di nascosto”.

            Reazioni e solitudine: “Licenziata senza essere ascoltata”

            Maraga denuncia la freddezza con cui è stata allontanata dalla scuola: “Il parroco e le colleghe non mi hanno mai chiesto di spiegare. Sono spariti tutti per paura”. I genitori, profondamente cattolici, l’hanno scoperto dai media: “Temono che un giorno possa vergognarmi, ma non mi hanno mai chiesto di smettere”.

            “Chi si adatta non deve vergognarsi”

            Per Elena il vero scandalo è un Paese dove si sopravvive a stento col proprio lavoro. “La dignità perduta non appartiene a chi mostra una coscia, ma a chi è costretto a farlo perché non riesce più a pagarsi un affitto. Non tutti scelgono OnlyFans, ma ognuno cerca la propria via”.

            Il futuro? “Sogno la Spagna, lontano dalla gogna”

            Licenziata e senza fondi per sostenere una battaglia legale, oggi Elena sta seguendo un corso per diventare personal trainer. “Sogno di trasferirmi in Spagna, dove posso vivere senza essere giudicata ogni giorno”. E lancia un monito: “Temo un’Italia dove si accetta la censura e la discriminazione, anziché difendere il diritto alla libertà personale”.

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              Cronaca

              Elon Musk, il bulletto della Casa Bianca che ora si lecca le ferite

              Ha fatto il bullo contro tutti: Biden, l’Europa, i giudici, perfino contro la matematica. Ora Elon Musk paga il conto: 120 miliardi di dollari evaporati, Tesla a picco e il sogno di diventare trilionario affondato prima di salpare.

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                Elon Musk voleva governare il mondo con la spacconeria di un adolescente che ha appena scoperto i superpoteri. Si è infilato nei corridoi della Casa Bianca trumpiana come un campione mandato a “ripulire il sistema”, col titolo pomposo di capo del Doge (Dipartimento dell’Efficienza governativa), deciso a tagliare, smantellare, comandare.

                Risultato? Dopo tre mesi da “dipendente governativo speciale”, Musk si ritrova a contare i cocci del suo impero: 120 miliardi di dollari volatilizzati dal suo patrimonio personale, Tesla in caduta libera, e una credibilità internazionale schiantata come un razzo mal progettato.

                A inizio 2025, Musk sognava ancora di diventare il primo “trilionario” della storia entro il 2027. Poi sono arrivati i bilanci. E hanno suonato la sveglia. Il primo trimestre è stato un disastro senza appello: profitti giù del 70%, vendite in picchiata, ricavi mancati di oltre 2 miliardi rispetto alle previsioni. Non bastava più twittare meme, insultare chiunque o distribuire paternali sulla libertà di parola: bisognava far tornare i conti. E quelli, a differenza dei suoi fan, non si fanno incantare.

                Tesla ha vissuto il suo peggior trimestre dal 2021, mentre la concorrenza cinese avanza come un bulldozer. BYD, Nio, Xpeng: i marchi che Musk derideva hanno riempito il vuoto lasciato dalle sue fantasie di gloria.

                Non bastasse il bagno di sangue economico, anche l’azzardo politico si è trasformato in un boomerang. Dopo aver inneggiato a Trump, promesso tagli feroci, invocato dazi zero salvo poi lamentarsi di quelli appena imposti dal suo “amico” alla Casa Bianca, Musk si è ritrovato a fare quello che odia di più: ammettere una sconfitta. E correre ai ripari.

                Adesso, l’uomo che prometteva di salvare l’America dallo “spreco federale” si ritira con la coda tra le gambe, annunciando il ritorno a tempo pieno in Tesla. Con buona pace dei suoi sogni imperiali, lo aspetta un compito molto più semplice e molto più umiliante: cercare di salvare ciò che resta.

                Resta il mistero di come uno degli imprenditori più idolatrati del mondo sia riuscito, in meno di sei mesi, a trasformarsi in una caricatura di sé stesso: il bulletto spaccone che, quando il pallone scoppia, non sa far altro che guardarsi attorno sperando che nessuno abbia visto.

                Spoiler: l’hanno visto tutti.

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