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Cronaca

Condannato all’ergastolo Alessandro Impagnatiello: il dolore della famiglia Tramontano in aula

Tra lacrime e parole di strazio, la famiglia: “Non c’è vittoria, abbiamo perso tutto. Ma il nome di Giulia sarà un simbolo di coraggio per le donne”.

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    La Corte d’Assise di Milano ha condannato all’ergastolo Alessandro Impagnatiello per l’omicidio volontario pluriaggravato di Giulia Tramontano, 29 anni, incinta di sette mesi. La sentenza, emessa al termine del processo di primo grado, ha sancito anche le accuse di interruzione di gravidanza non consensuale e occultamento di cadavere.

    Una tragedia che non lascia spazio a consolazioni

    In aula, il dolore della famiglia di Giulia è esploso dopo la lettura della sentenza. La madre, Loredana Femiano, tra le lacrime ha dichiarato: “Non esiste vendetta, non abbiamo mai cercato questo. Abbiamo perso una figlia, un nipote, la nostra stessa vita. Io non sono più una mamma, mio marito non è più un papà. I nostri figli saranno segnati per sempre da questo dolore”.

    Anche il padre di Giulia, Franco, ha sottolineato l’irreparabilità della perdita: “Quello che abbiamo perso non lo riavremo mai. Oggi non abbiamo vinto, abbiamo perso tutto”.

    Un simbolo di coraggio e sensibilità

    La sorella di Giulia, Chiara, ha voluto ricordare la giovane come un esempio di coraggio e sensibilità, sperando che il suo sacrificio possa spronare altre donne a fuggire da situazioni di violenza: “Giulia è una mamma uccisa dal suo compagno, ma anche una donna di coraggio. Il suo nome rappresenta libertà, determinazione e forza per tutte le donne. Anche nel momento peggiore, con il cuore distrutto, ha pensato ad altre donne che potevano trovarsi nella stessa situazione”.

    Chiara ha dipinto Giulia come un’anima gentile e silenziosa, una preda in un mondo violento: “Lei era rara, entrava in punta di piedi nella vita delle persone, con una sensibilità che in questo mondo diventa una condanna”.

    La giustizia degli uomini e il peso del dolore

    Il legale della famiglia, Giovanni Cacciapuoti, ha descritto la sentenza come un momento di giustizia che, però, non cancella il dolore. “È un pianto consolatorio: la giustizia degli uomini prevale, ma questa non è una vittoria. La sconfitta è arrivata quando Giulia ha smesso di vivere per mano di chi doveva essere il suo compagno e il padre di suo figlio”.

    Alessandro Impagnatiello, che ha ucciso Giulia il 27 maggio 2023 a Senago con 75 coltellate, occultando poi il corpo in un luogo remoto, è stato condannato alla pena massima. Un delitto che ha scosso profondamente il Paese, lasciando una famiglia distrutta e un vuoto che nessuna sentenza potrà mai colmare.

      Mondo

      Cessate il fuoco in Libano: domani Biden e Macron annunceranno la tregua tra Israele e Hezbollah

      L’intesa prevede un ritiro reciproco delle forze militari e un periodo di calma di 60 giorni. Domani la riunione decisiva del gabinetto israeliano.

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        Secondo un’indiscrezione riportata dal quotidiano saudita Asharq Al-Awsat, il presidente degli Stati Uniti Joe Biden e il presidente francese Emmanuel Macron annunceranno domani mattina un cessate il fuoco tra Israele e Hezbollah in Libano, della durata di 60 giorni. L’accordo, frutto di intense mediazioni internazionali, potrebbe rappresentare una svolta cruciale nella crisi mediorientale.

        I dettagli dell’accordo

        Il piano prevede, secondo le fonti, il ritiro verificabile di Hezbollah dalla zona compresa tra la Linea Blu e il fiume Litani, un’area contesa che ha visto numerosi scontri nelle ultime settimane. In cambio, le forze israeliane si ritireranno dai territori occupati durante la recente invasione terrestre nel sud del Libano.

        Fonti israeliane citate dal Times of Israel confermano che il testo dell’intesa è stato finalizzato oggi e che il gabinetto di sicurezza israeliano si riunirà domani pomeriggio per approvarlo. L’incontro, previsto per le 17.30 ora locale (16.30 in Italia), potrebbe segnare l’ufficializzazione del cessate il fuoco, salvo imprevisti dell’ultimo minuto.

        Mediazione internazionale e speranze di pace

        L’accordo, descritto da alcuni osservatori come storico, vede il coinvolgimento diretto di Washington e Parigi, con Biden e Macron pronti a presentarlo come un passo avanti verso la stabilità nella regione. La tregua temporanea di 60 giorni permetterà, secondo gli analisti, di creare uno spazio per ulteriori negoziati, evitando l’escalation del conflitto.

        La decisione arriva in un momento critico per il Libano, già provato da una crisi economica e sociale senza precedenti, e potrebbe rappresentare un’opportunità per alleviare la tensione lungo il confine.

        Riunioni decisive e aspettative

        Secondo Channel 12, qualcosa di “drastico” dovrebbe accadere per far naufragare l’accordo nelle prossime ore. Tuttavia, il consenso tra le parti appare solido, e la giornata di domani potrebbe segnare l’inizio di una tregua tanto attesa.

        Mentre il mondo attende l’annuncio ufficiale, le diplomazie internazionali lavorano per garantire che questo fragile accordo possa reggere, offrendo uno spiraglio di speranza in una regione martoriata da decenni di conflitti.

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          Cronaca

          Omicidio Cecchettin: chiesto l’ergastolo per Filippo Turetta, accusato di un delitto spietato

          Dall’ossessione allo stalking, fino a un piano studiato nei dettagli: una cronaca del delitto che lascia senza parole. Il processo si chiuderà il prossimo mese.

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            La requisitoria del pubblico ministero di Venezia Andrea Petroni si è conclusa con una richiesta di ergastolo per Filippo Turetta, accusato del brutale omicidio di Giulia Cecchettin. Il caso, che ha sconvolto l’opinione pubblica, vede il 22enne imputato per omicidio volontario pluriaggravato, sequestro di persona e occultamento di cadavere.

            Un piano spietato
            Nel corso delle due ore e mezza di requisitoria, il pm ha ricostruito nei dettagli il piano meticoloso e crudele che ha portato alla morte di Giulia. Tra il 7 e l’11 novembre 2023, Turetta aveva stilato una lista di oggetti necessari per immobilizzare l’ex fidanzata, studiato mappe per nascondere il corpo e pianificato la sua fuga.

            “Non ci sono attenuanti,” ha dichiarato Petroni, contestando ogni possibile difesa basata su presunte intenzioni suicidarie o motivazioni emotive. “Turetta ha avuto tutte le possibilità di fermarsi. Ha mentito più volte, pianificando ogni dettaglio, fino alla disposizione del corpo in un luogo quasi irraggiungibile.”

            La violenza estrema del delitto
            Secondo l’accusa, Turetta ha agito con premeditazione e crudeltà inaudita. L’11 novembre, dopo aver costretto Giulia a salire in macchina nel parcheggio di Vigonovo, l’ha bloccata con del nastro adesivo e, quando la ragazza ha tentato di fuggire, l’ha uccisa con 75 coltellate. Il corpo è stato poi nascosto in un anfratto roccioso vicino al lago di Barcis, avvolto in sacchi neri.

            Il pm ha anche evidenziato come Turetta avesse studiato nei minimi dettagli la propria fuga, usando solo contanti e spegnendo il telefono per evitare di essere rintracciato, fino al suo arresto in Germania una settimana dopo l’omicidio.

            Le radici del femminicidio
            Petroni ha sottolineato che il delitto affonda le sue radici in una cultura patriarcale che normalizza la violenza contro le donne. La relazione tra i due, durata circa un anno e mezzo, era già segnata da atteggiamenti persecutori da parte di Turetta, culminati nello stalking e in un controllo ossessivo esercitato tramite un’app di tracciamento sul cellulare di Giulia.

            “Non esiste il minimo dubbio sulla premeditazione,” ha aggiunto il pm, spiegando come l’imputato non abbia mai considerato la possibilità di lasciar vivere Giulia.

            Un processo atteso alla conclusione
            La sentenza è prevista per la prima settimana di dicembre. Turetta, presente in aula con una felpa rossa e lo sguardo basso, ha ascoltato in silenzio l’intera requisitoria, mentre la sala, gremita di pubblico e giornalisti, seguiva con attenzione le parole del pm.

            Con l’accusa che richiede il massimo della pena, il processo potrebbe diventare un simbolo della lotta contro la violenza sulle donne, in un’Italia ancora profondamente scossa da questo femminicidio.

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              Storie vere

              Detiene un Bond milionario del Regno della Romania che vale 70 milioni e si becca una multa da 21 milioni

              Nel 2017 un collezionista viaggiava con un ex titolo di Stato dell’ex Regno di Romania emesso nel 1929 dal valore di circa 70 milioni di euro. Alla dogana non lo ha dichiarato e ora dovrà pagare una multa salatissima.

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                Un tranquillo viaggio in treno da Zurigo a Milano si è trasformato in un’odissea giudiziaria per un collezionista che trasportava un ex titolo di Stato della Romania emesso durante il Regno nel 1929 dal valore di 70 milioni di euro. Un errore nella dichiarazione doganale gli è costato una multa salatissima: 20.923.989 euro. Multa confermata dalla Cassazione il 14 novembre 2023.

                Come sono andati i fatti

                Il 24 novembre 2017, l’uomo era a bordo del treno EuroCity 17 diretto a Milano, quando è stato fermato alla dogana di Chiasso dagli agenti della Guardia di Finanza. Alla domanda di routine se trasportasse contanti o titoli superiori ai 10.000 euro, la risposta è stata un secco “no”. Ma dentro la sua borsa, i finanzieri hanno trovato ben altro. Si trattava di un titolo di credito obbligazionario emesso dal Regno di Romania nel 1929, con scadenza nel 1959. Il titolo era corredato da 32 cedole semestrali e la documentazione che ne attestava l’autenticità e il valore. Questo titolo, originariamente con un valore nominale di 100 dollari, era stato certificato tramite una recente perizia come equivalente a 70 milioni di euro. Ben più di un semplice cimelio storico quindi.

                In che contesto era stato emesso il titolo di Stato della Romania?

                Il bond risale all’epoca in cui il Regno di Romania, monarchia costituzionale dal 1881, emetteva obbligazioni per sostenere l’economia durante la Grande Depressione. Dopo la caduta della monarchia nel 1947 e la trasformazione in una Repubblica comunista, il titolo ha perso il suo contesto di riferimento, finendo per diventare oggetto di interesse per il mercato collezionistico. Sebbene la maggior parte di questi titoli abbia oggi un valore puramente simbolico, quello trovato nella borsa dell’uomo era accompagnato da un rapporto di valutazione e autenticità, oltre a un contratto di acquisto e documenti bancari, che ne dimostravano la potenziale negoziabilità.

                E quindi perché una multa così alta?

                Secondo la legge italiana, chi trasporta beni o titoli di valore superiore ai 10.000 euro deve dichiararli alle autorità doganali. In caso contrario, scatta una sanzione proporzionata al valore del bene, pari al 30% del totale non dichiarato. L’uomo ha provato a sostenere che il bond avesse solo il valore “nominale” di 100 dollari, ma i giudici hanno ritenuto che i documenti in suo possesso – tra cui la perizia di autenticità e il contratto di compravendita – dimostrassero il contrario. Secondo la Corte, il titolo era “potenzialmente liquidabile” e quindi soggetto all’obbligo di dichiarazione.

                L’uomo ha tentato più volte di fare ricorso contro la sanzione

                Nel primo ricorso in Corte d’Appello, i giudici hanno confermato la legittimità della multa, ribadendo che l’ignoranza non è una scusa valida, soprattutto quando il possesso di documenti esplicativi dimostra la consapevolezza del valore del bene. La Cassazione ha confermato che l’uomo non ha dimostrato di aver agito con “ignoranza incolpevole” rispetto all’obbligo di dichiarazione. Anche la richiesta di ridurre l’importo della sanzione è stata rigettata. La Cassazione ha condannato così l’uomo al pagamento delle spese legali, per un ulteriore costo di 20.000 euro.

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