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Cronaca Nera

Bossetti è innocente? Ecco tutti i lati deboli dell’accusa

La fiction “Il caso Yara – Oltre ogni ragionevole dubbio” ha riacceso il dibattito mediatico sulla possibile innocenza di Massimo Bossetti, condannato all’ergastolo per l’omicidio di Yara Gambirasio. Gli avvocati difensori, Claudio Salvagni e Paolo Camporini, contestano le prove, in particolare il DNA, ritenuto pieno di anomalie e non sufficiente per una condanna “oltre ogni ragionevole dubbio”. Salvagni sottolinea l’importanza di una nuova perizia sul DNA, sperando in un esito favorevole nel processo d’Appello.

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    La fiction su Yara Gambirasio intitolata “Il caso Yara – Oltre ogni ragionevole dubbio” ha scatenato una tempesta mediatica, riportando al centro dell’attenzione la possibile innocenza di Massimo Bossetti. Alle 20.35 dell’1 luglio 2016, Massimo Bossetti è stato condannato all’ergastolo per l’omicidio di Yara Gambirasio dalla Corte d’Assise di Bergamo, presieduta dal giudice Antonella Bertoja. E la sentenza è stata confermata in tutti i tre gradi di giudizio diventando definitiva.

    Si tratta del primo punto fermo di una vicenda iniziata la sera del 26 novembre 2010, quando fuori dalla palestra di Brembate Sopra la tredicenne sparì nel nulla. Il corpo della vittima venne ritrovato nel febbraio 2011, in un campo a Chignolo d’Isola. Ben sei anni e quarantacinque udienze dopo, la Corte d’Assise di Bergamo ha individuato il colpevole.

    La sentenza di condanna è stata motivata da oltre centocinquanta pagine in cui Bossetti viene descritto come un uomo dall’«animo malvagio», spinto all’omicidio da «avance a sfondo sessuale verosimilmente respinte dalla ragazza». Motivazioni che dovrebbero giustificare la condanna e dimostrare l’«al di là di ogni ragionevole dubbio» necessario per privare un cittadino della propria libertà. Tuttavia, per gli avvocati difensori di Bossetti, Claudio Salvagni e Paolo Camporini, questo requisito manca. «Questa sentenza non è altro che la riproposizione della requisitoria del pm», ha commentato a caldo Salvagni.

    Salvagni è entrato in contatto con Bossetti su richiesta della famiglia, pochi giorni dopo l’arresto, inizialmente lavorando con l’avvocato d’ufficio Silvia Gazzetti. «Poi, nel dicembre 2014, ha lasciato l’incarico e ho continuato da solo fino all’udienza preliminare. Più o meno in quel periodo si è affiancato a me l’avvocato Paolo Camporini, con cui seguo il caso ancora oggi».

    Il team difensivo di Bossetti comprende un folto gruppo di esperti. «Io e Paolo siamo solo la punta dell’iceberg. Dietro di noi c’è il fantastico lavoro di un team di professionisti che, inizialmente dubbiosi, si sono messi al servizio di Bossetti dopo aver letto le carte dell’inchiesta». Tra questi ci sono il dottor Marzio Capra e la professoressa Sarah Gino, genetisti; l’investigatore privato Ezio Denti; la dottoressa Dalila Ranalletta, medico legale; l’ingegnere Vittorio Cianci, esperto di tessuti; l’avvocato e professore universitario di logica giuridica Sergio Novani. Inoltre, Luigi Nicotera si è occupato dell’analisi delle celle telefoniche; Giovanni Bassetti, esperto informatico; e i professionisti in psicologia clinica forense Anna Maria Casale e Alessandro Meluzzi. Il dottore in legge Roberto Bianco ha coordinato tutti i consulenti.

    Il dottor Bianco ha fatto da collegamento tra il team legale e i consulenti, facilitando la spiegazione in aula del loro operato. «È stato veramente un grandissimo lavoro».

    Salvagni sottolinea che la famiglia Bossetti non ha pagato nulla per l’assistenza legale. «Uno dei nostri meriti è stato l’aver messo insieme un gruppo di professionisti di primissimo livello che si sono appassionati al caso per amore di verità. Nessuno ha avuto un euro di parcella. Nemmeno io».

    Il ritorno mediatico, secondo Salvagni, è stato sopravvalutato. «Posso assicurarvi che tutti hanno lavorato a titolo gratuito perché un caso del genere potrebbe capitare a chiunque, soprattutto se dovesse passare la linea giuridica adottata nella sentenza di primo grado. Diventerebbe molto pericoloso e rischioso per chiunque di noi».

    Salvagni è convinto dell’innocenza di Bossetti. «Anche se per un avvocato non dovrebbe essere un elemento rilevante, io ritengo importante essere intimamente convinto dell’innocenza di Massimo, perché soltanto così si può dare quel qualcosa in più. Abbiamo lavorato una quantità di ore infinita, giorno e notte».

    Secondo Salvagni, la prova principale contro Bossetti, il DNA, è contraddittoria. «Chiunque commetta un delitto lascia una serie di elementi che, uniti, portano all’individuazione del responsabile. Quali sono gli elementi a carico di Bossetti? Solo ed esclusivamente il DNA, la sua firma dicono. Praticamente ha compiuto il delitto perfetto e poi lo ha firmato. Già questa è una contraddizione».

    Il DNA diventa probante quando è perfetto, ma in questo caso ci sono anomalie. «Non siamo mai stati coinvolti in un contraddittorio su quel DNA. Mai. Trovano sugli slip di Yara questa traccia di DNA in quantità esorbitante. È stato escluso con diversi test che si tratti di sperma. Sappiamo che cosa non è, ma non sappiamo che cos’è. È tanto, non sappiamo che cos’è, ed è pressoché puro. Il DNA mitocondriale presente non è quello di Bossetti, ma di qualcun altro di cui non si conosce l’identità».

    La differenza tra il DNA nucleare e mitocondriale è un punto cruciale. «Il DNA nucleare è quello che si usa per le identificazioni, mentre il mitocondriale deve combaciare perfettamente con il nucleare. Se non combacia, c’è un errore. In natura, se io tocco una persona, trasferisco tutto il mio DNA, non solo una parte. La questione del DNA è una questione tecnico-scientifica di fondamentale importanza».

    Salvagni critica anche il modo in cui l’informazione ha trattato il processo, appiattendosi sulle posizioni della Procura. «La stampa, a parte qualche caso isolato, si è appiattita sulle posizioni della Procura. Fare cronaca significa dire le cose come stanno davvero, non distorcere la realtà. Il video del furgone ha rafforzato nell’opinione pubblica la convinzione che Bossetti fosse colpevole».

    Il team difensivo ha lavorato duramente per contrastare queste narrazioni, anche scendendo sul ring mediatico. «Sono stato costretto ad espormi per cercare di tappare le falle e le voragini aperte dalla Procura. È normale che venissero pubblicati degli atti coperti da segreto istruttorio?».

    Salvagni sottolinea che Bossetti ha sempre chiesto di rifare i test sul DNA. «Non è possibile che ci sia io lì dentro, non l’ho mai vista questa ragazza, non l’ho mai toccata, ripetiamo i test. Ma la richiesta è stata respinta come superflua».

    Infine, Salvagni esprime fiducia nella giustizia e spera che il processo d’Appello conceda la perizia sul DNA. «Bossetti alterna momenti di incredibile forza a momenti di grande depressione. Non posso che essere fiducioso, altrimenti dovrei cambiare lavoro. Spero che possa essere concessa la perizia sul DNA, perché credo che sia un principio di civiltà giuridica. Con la perizia sono certo che si possa arrivare all’assoluzione».

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      Il killer del trapano, l’ombra del serial killer e quell’atroce omicidio mai risolto

      Nonostante le indagini riaperte e vari sospetti, il brutale omicidio di Luigia Borrelli del 1995 non ha ancora trovato giustizia. Un caso intricato che continua a sfidare gli investigatori.

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        Il 5 settembre 1995, nel cuore dei carruggi di Genova, viene ritrovato il corpo di Luigia Borrelli, nota nel quartiere come “Antonella”. Era una prostituta di 52 anni, brutalmente uccisa nel suo appartamento. Il corpo viene scoperto da Adriana, un’amica, preoccupata per la sua assenza. Luigia è trovata in una scena raccapricciante: dissanguata, con numerose ferite ed ecchimosi, denti spezzati e un trapano conficcato in gola. L’atrocità dell’atto suggerisce un odio profondo verso la vittima, trattata come un oggetto dal suo assassino.

        Le indagini iniziali

        Le prime indagini puntano su vari sospetti, tra cui il figlio di Luigia, Roberto, e un elettricista sardo di nome Ottavio Salis. Il trapano trovato sulla scena del crimine apparteneva a Salis, il quale aveva avuto dei dissapori con Luigia. Tuttavia, un test del DNA scagiona Salis, che, incapace di provare la sua innocenza, si suicida poco dopo essere stato interrogato. Il caso si complica ulteriormente quando anche Roberto, affetto da disturbi psichiatrici, si toglie la vita nel 2014, lasciando dietro di sé un vuoto di risposte e molte domande irrisolte.

        Riapertura delle indagini

        Nel 2023, grazie a una trasmissione televisiva, le indagini vengono riaperte. Nuove testimonianze emergono, come quella della figlia di un’infermiera collega di Luigia, che ricorda un primario dell’ospedale San Martino con graffi e lividi il giorno dopo l’omicidio. Nonostante queste nuove informazioni, il DNA non corrisponde a nessuno dei nuovi sospetti.

        Un caso intricato

        Il caso di Luigia Borrelli rimane irrisolto, con numerosi potenziali indiziati scagionati e nessun colpevole certo. La brutalità del delitto, associata a numerosi suicidi legati all’indagine, aggiunge un ulteriore strato di mistero e tragedia a questa storia. Gli investigatori continuano a cercare risposte, ma il killer rimane libero.

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          Caso Orlandi: il messaggio criptico della “cassetta delle sevizie” e il ricatto al Vaticano

          Il messaggio contenuto nella «cassetta delle sevizie» non è solo un indizio del sequestro di Emanuela Orlandi, ma un tentativo di ricatto diretto al Papa. La voce identificata come quella di Marco Accetti aggiunge un ulteriore livello di complessità a questo oscuro capitolo della storia italiana.

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            Il caso della scomparsa di Emanuela Orlandi è uno dei misteri più intricati e inquietanti della storia recente italiana. Un’inchiesta del Corriere della Sera ha recentemente riportato alla luce nuove informazioni su uno degli elementi più enigmatici di questa vicenda: la cosiddetta «cassetta delle sevizie», un nastro consegnato anonimamente il 17 luglio 1983, contenente un messaggio che, ora decriptato, appare come un vero e proprio ricatto al Vaticano. La perizia fonica ha rivelato che la voce dietro il messaggio appartiene a Marco Accetti, una figura già nota per il suo coinvolgimento in altre vicende oscure.

            Un messaggio criptico e inquietante

            Il nastro, ritrovato vicino al Quirinale, conteneva due lati distinti. Sul lato A, una voce maschile, artefatta per sembrare straniera, recitava un lungo messaggio indirizzato direttamente al Vaticano. Questo messaggio, per anni considerato criptico e delirante, è stato ora parzialmente decriptato, rivelando richieste precise e minacce rivolte al Papa stesso.

            Secondo quanto riportato dal Corriere della Sera, il messaggio inizia con una dichiarazione di intenti volta a tenere alta l’attenzione mediatica sul caso: “Rendiamo noto alla pubblica opinione come gli inquirenti della Repubblica italiana […] non riportino la minima conoscenza dei nostri presunti movimenti nel quadro della malavita organizzata italiana […].” Questo linguaggio volutamente confuso serviva a disorientare l’opinione pubblica e a depistare le indagini, ma l’obiettivo era chiaro: ottenere la scarcerazione di Ali Mehmet Agca, l’attentatore di Giovanni Paolo II.

            La richiesta al Vaticano: liberare Agca

            Il messaggio prosegue con un accenno ai dettagli personali di Emanuela Orlandi e della sua famiglia, dettagli che non erano noti al pubblico all’epoca dei fatti. “La cittadina Emanuela Orlandi ha vissuto un anno della sua infanzia in territorio italiano,” afferma la voce, aggiungendo particolari come l’uso di occhiali da parte della sorella maggiore, Natalina, e la scelta di un sacerdote specifico per un matrimonio in famiglia, fissato per il 10 settembre 1983. Questi dettagli venivano utilizzati per dimostrare che chi parlava era effettivamente in possesso della ragazza e, quindi, in posizione di forza per avanzare richieste.

            Il cuore del messaggio era la richiesta di scarcerazione immediata di Ali Mehmet Agca. “Chiediamo la consegna di Agca indipendentemente dalla sua presa di posizione pubblica […]. Il detenuto Agca è fuori dal vincolo della magistratura italiana. La sua sentenza è inappellabile. Attendendo due anni la conferma del suo non ricorso in appello, siamo pervenuti al meccanismo della grazia.” Questo passaggio, apparentemente sconnesso, sottolinea la pressione esercitata sui vertici del Vaticano affinché intervenissero per ottenere la grazia presidenziale per Agca.

            Il ricatto al Papa: uno scenario di geopolitica

            L’obiettivo ultimo del messaggio era chiaro: costringere il Papa a premere sul Presidente della Repubblica Italiana, Sandro Pertini, per ottenere la grazia per Agca, al di là della volontà del terrorista turco. Il messaggio concludeva con un appello diretto a Giovanni Paolo II: “Nell’ipotesi di rigetto della sottoscrizione da parte del detenuto Agca della scarcerazione e sua consegna ci indirizziamo nuovamente al capo di stato Giovanni Paolo II al fine che domandi alla espressione più alta dello Stato italiano ogni intervento la cui natura si pone esclusivamente sotto l’egida della considerazione umanitaria e che permetta la restituzione immediata della cittadina Orlandi Emanuela alla vita civile.”

            Questo passaggio lascia pochi dubbi: i rapitori volevano che il Papa utilizzasse tutta la sua influenza per ottenere la liberazione di Agca, promettendo in cambio il rilascio di Emanuela Orlandi.

            L’identificazione della voce: Marco Accetti

            La perizia fonica, come riportato dal Corriere della Sera, ha confermato che la voce che leggeva questo messaggio appartiene a Marco Accetti. L’ingegnere Marco Arcuri ha condotto un’analisi comparativa tra la voce del nastro e quella di Accetti, riscontrando una compatibilità del 78%, ben oltre la soglia minima del 55% considerata per una compatibilità fonica. Questo risultato avvalora l’ipotesi che Accetti fosse direttamente coinvolto nel rapimento di Emanuela Orlandi e nei successivi tentativi di ricatto.

            Un personaggio ambiguo al centro del mistero

            Marco Accetti, che si era già autoaccusato di aver partecipato al sequestro di Emanuela Orlandi nel 2013, sostenendo di aver agito per conto di un gruppo con interessi politici ed ecclesiastici, emerge ora come una figura chiave in questa oscura vicenda. Accetti, già noto per le sue connessioni con ambienti ambigui e per il suo ruolo in altri episodi criminali mai chiariti, sembra aver giocato un ruolo centrale nel tentativo di ricatto al Papa.

            Un enigma ancora irrisolto

            Nonostante queste nuove rivelazioni, il caso di Emanuela Orlandi rimane uno dei più grandi misteri irrisolti della storia italiana. La decriptazione del messaggio contenuto nella «cassetta delle sevizie» getta nuova luce su un tentativo di ricatto al Vaticano che coinvolgeva figure potenti e una rete complessa di interessi politici e religiosi. Tuttavia, la verità completa su questo caso sembra ancora lontana, e le ombre che circondano la scomparsa di Emanuela continuano a farsi sempre più fitte.

            La commissione parlamentare e la Procura di Roma hanno ora il compito di approfondire queste nuove prove e di tentare di svelare finalmente il mistero di Emanuela Orlandi, che da oltre 40 anni tiene l’Italia con il fiato sospeso.

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              Cronaca Nera

              ‘Ndrangheta e ultrà dell’Inter: scontro mortale a Cernusco sul Naviglio

              Uno scontro violento fuori da una palestra frequentata dagli ultras dell’Inter e da membri di CasaPound si è concluso con un omicidio che potrebbe scatenare nuove tensioni nella curva nerazzurra e pericolose ritorsioni tra le fazioni criminali coinvolte.

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                Cernusco sul Naviglio è stata teatro di un feroce scontro che ha lasciato sul campo un morto e un ferito grave. Alle 10.51 in via Besozzi, proprio fuori dalla palestra Testudo, conosciuta come ritrovo per ultras dell’Inter e membri di CasaPound, la tensione è esplosa tra Antonio Bellocco, 36 anni, uno degli eredi del potente clan di ‘ndrangheta di Rosarno, e Andrea Beretta, 49 anni, noto ultras della Curva Nord dell’Inter.

                Secondo le prime ricostruzioni, la lite è scoppiata per motivi che potrebbero essere legati a questioni di affari, culminando in un violento scontro che ha portato alla morte di Bellocco e al ferimento di Beretta. Bellocco, giunto sul posto a bordo di una Smart, avrebbe sparato per primo, ferendo Beretta al fianco. La risposta dell’ultras non si è fatta attendere: Beretta ha reagito accoltellando Bellocco alla gola, un colpo fatale che ha lasciato il mafioso riverso sul terreno.

                Andrea Beretta, noto per il suo passato turbolento come braccio destro del defunto Vittorio Boiocchi, altro nome pesante della Curva Nord, è stato immediatamente soccorso e piantonato in ospedale, dove è ora in stato di arresto con l’accusa di omicidio.

                Il luogo del delitto è stato rapidamente circondato dalle forze dell’ordine, con i carabinieri di Pioltello e la Squadra Mobile di Milano giunti per le indagini. Sul posto anche il pm Paolo Storari, noto per il suo coinvolgimento in indagini delicate su casi di criminalità organizzata e sulle dinamiche interne alle curve calcistiche della città, incluse quelle recenti legate agli ultras del Milan e alla controversia con Fedez.

                L’omicidio di Bellocco, legato a una delle famiglie di ‘ndrangheta più potenti e influenti del Sud, radicate da tempo anche nel Nord Italia, potrebbe avere conseguenze ben oltre l’ambiente della curva interista. La presenza di Marco Ferdico, Matteo Norrito e Mauro Nepi, i volti noti della Curva Nord dell’Inter, sul luogo dell’omicidio, aggiunge ulteriore tensione a una situazione già esplosiva, che rischia di innescare una guerra tra le fazioni della curva e di scatenare ritorsioni violente da parte della criminalità organizzata.

                Cernusco sul Naviglio, quindi, è ora un epicentro di una vicenda che intreccia il mondo del calcio, la violenza ultras, e l’ombra della ‘ndrangheta, lasciando la comunità in un clima di paura e incertezza per ciò che potrebbe ancora accadere.

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