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Cronaca Nera

Caso Sharon Verzeni: il ruolo dei “metal detective” un’arma in più per gli inquirenti

Omicidio Sharon Verzeni: chi sono i “metal detective” che hanno aiutato a trovare l’arma del delitto.

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    Quando un delitto sconvolge una comunità, ogni indizio, per quanto piccolo, può rivelarsi cruciale. È in questo contesto che entra in gioco una figura affascinante e poco conosciuta: il metal detective. Ovvero professionisti e avventurieri armati di una attrezzatura fuori dal comune e soprattutto da una profonda conoscenza del territorio. I metal detective vengono chiamati in causa in diverse situazioni, dalle indagini criminali per ritrovare armi, gioielli o altri oggetti rubati alle ricerche archeologiche per scoprire antichi reperti e siti archeologici.
    Sono figure richieste anche per ritrovare oggetti legati a eventi storici, impegnati proprio nei campi di battaglia, in trincee, fortilizi, bunker insomma in tutti i luoghi dove nel corso dei secoli si è fatta la Storia. Il loro lavoro, inoltre, viene apprezzato anche per ricerche personali, ovvero per ritrovare oggetti di valore sentimentale oltre che economico.

    Ma chi sono i metal detective?

    Sono appassionati di storia e di metal detecting, spesso con una formazione nel campo dell’archeologia o della ricerca storica. Possiedono una profonda conoscenza dei metalli, delle loro proprietà e del loro comportamento nel terreno. La loro passione li spinge a dedicare innumerevoli ore alla ricerca di reperti, contribuendo così a ricostruire il passato e a svelare i misteri della Storia.

    Un coltello, un uomo, una vita spezzata

    La caccia all’arma del delitto di Sharon Verzeni è stata condotta dal metal detective. Paolo “Gibba” Campanardi, un vero e proprio Indiana Jones dei nostri giorni, chiamato a dare la caccia all’arma del delitto, che nel caso specifico, ha puntualmente trovato rivelando un talento unico.

    Paolo Campanardi Mr. metal detective

    Conosciuto come “Gibba” con la sua associazione, Paolo Campanardi nel corso degli ultimi dieci anni ha recuperato innumerevoli reperti bellici, contribuendo a preservare la memoria di chi ha combattuto, e a far luce su eventi storici. Il suo lavoro ha portato alla creazione del Mu.RE., un museo dedicato ai recuperanti, dove i visitatori possono ammirare i reperti ritrovati e conoscere le storie che si celano dietro.

    Come operano i metal detective?

    Il lavoro di un metal detective richiede una combinazione di abilità tecniche e intuito. Lo strumento principale utilizzato è il metal detector, un dispositivo elettronico in grado di rilevare la presenza di metalli nel sottosuolo. Ne esistono di diversi tipi ognuno con caratteristiche e sensibilità differenti per individuare oggetti metallici anche a notevole profondità nel terreno. Una volta localizzato un oggetto, procedono con cautela alla sua estrazione, prestando la massima attenzione per non danneggiarlo. I metal detective, infatti, si muniscono di sonde per individuare la posizione precisa di un oggetto metallico, pale e picconi utili per scavare ed estrarre i reperti. Inoltre tra i loro strumenti di lavoro non può mancare il GPS per mappare l’area di ricerca e localizzare i ritrovamenti.

      Cronaca Nera

      Caso Yara, Bossetti perde ancora: archiviata la denuncia contro la pm Ruggeri

      La denuncia di frode processuale presentata da Massimo Bossetti contro la pm Letizia Ruggeri, per la gestione dei reperti nel caso Yara, è stata archiviata. Il giudice veneziano ha stabilito che non vi è stata alcuna anomalia o intento illecito nello spostamento delle provette con il Dna. Gli avvocati del condannato all’ergastolo non escludono una futura richiesta di revisione del processo.

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        Archiviato il procedimento per frode processuale che vedeva indagata la pm Letizia Ruggeri, la magistrata che ha condotto le indagini sul caso dell’omicidio di Yara Gambirasio. La decisione è stata presa dal gip di Venezia, Alberto Scaramuzza, che ha accolto la richiesta di archiviazione, ritenendo infondati i sospetti di illeciti nella gestione dei reperti del caso.

        La denuncia contro la pm Ruggeri era stata presentata da Massimo Bossetti, il muratore condannato all’ergastolo per l’omicidio della tredicenne scomparsa nel novembre del 2010 e trovata morta tre mesi dopo. La vicenda riguardava il trasferimento di 54 provette contenenti il Dna dal frigorifero dell’ospedale San Raffaele di Milano all’ufficio Corpo di reati del tribunale di Bergamo. Secondo la difesa di Bossetti, lo spostamento avrebbe compromesso l’integrità dei campioni, rendendo impossibili ulteriori analisi sul Dna mitocondriale.

        Nessun comportamento illecito

        Il giudice Scaramuzza ha sottolineato che lo spostamento delle provette non rappresenta un comportamento anomalo o illegittimo da parte della pm Ruggeri. La decisione di trasferire i reperti non sarebbe stata motivata da intenti illeciti, ma piuttosto dal convincimento, fondato sulle sentenze di merito confermate in Cassazione, che ulteriori analisi sul Dna mitocondriale non avrebbero modificato l’esito delle indagini basato sul Dna nucleare.

        “L’indagata aveva pieno diritto di ritenere che le analisi condotte sul Dna nucleare fossero sufficienti a provare con certezza la colpevolezza di Bossetti, e che eventuali ulteriori verifiche non avrebbero potuto metterne in discussione l’identificazione,” ha spiegato il gip nel provvedimento di archiviazione.

        La reazione della difesa di Bossetti

        Gli avvocati di Bossetti, Claudio Salvagni e Paolo Camporini, pur accettando la decisione del giudice, hanno ribadito che la destinazione dei reperti a un luogo non refrigerato rimane un fatto concreto, anche se non c’è stata frode processuale. “L’archiviazione esclude il dolo, ma conferma quanto accaduto,” hanno dichiarato i legali, lasciando intendere che il caso potrebbe ancora avere sviluppi.

        Secondo la difesa, la posizione del pm Ruggeri non influirebbe su un’eventuale richiesta di revisione della sentenza di condanna, che Bossetti potrebbe avanzare in futuro. Una strada che gli avvocati non escludono di percorrere, nella speranza di ottenere nuovi esami sui reperti.

        Il caso Yara e la battaglia legale

        Il caso Yara Gambirasio, con la sua drammaticità e complessità, continua a suscitare attenzione e dibattito. L’omicidio della giovane ginnasta ha segnato profondamente l’opinione pubblica italiana e il lungo processo a carico di Massimo Bossetti, conclusosi con la condanna all’ergastolo, è stato caratterizzato da numerose polemiche e controversie.

        Nonostante la definitiva sentenza di colpevolezza, il muratore bergamasco e la sua difesa non hanno mai smesso di lottare per una revisione del processo, contestando la gestione dei reperti e la metodologia delle analisi genetiche. La recente archiviazione del procedimento contro la pm Ruggeri rappresenta un ulteriore capitolo di questa intricata vicenda giudiziaria.

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          Cronaca Nera

          Omicidio Giulia Cecchettin: Filippo Turetta non sarà presente alla prima udienza del processo

          Filippo Turetta, accusato di aver ucciso l’ex fidanzata Giulia Cecchettin, non comparirà in aula durante la prima udienza. La difesa non richiederà la perizia psichiatrica, mentre il processo, presieduto dal giudice Stefano Manduzio, si preannuncia breve e intenso

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            Filippo Turetta, attualmente in carcere con l’accusa di aver brutalmente ucciso l’ex fidanzata Giulia Cecchettin, non sarà presente in aula per la prima udienza del processo, fissata per lunedì 23 settembre davanti alla Corte d’Assise di Venezia. La notizia è stata confermata dal suo legale, l’avvocato Giovanni Caruso, che ha ribadito l’intenzione della difesa di non richiedere una perizia psichiatrica per Turetta, nonostante le gravi accuse che pendono su di lui.

            Turetta, 22 anni, sembra voler mantenere un profilo discreto, lontano dai riflettori mediatici, seguendo quello che il suo avvocato ha descritto come un “percorso di maturazione personale” rispetto al terribile crimine di cui è accusato. Il processo, che si terrà nella piccola aula della Corte d’Assise presieduta dal giudice Stefano Manduzio, sarà seguito da venti giornalisti accreditati e dalle sole telecamere della Rai, che trasmetteranno le immagini alle altre emittenti.

            La lista dei testimoni del pubblico ministero di Venezia, Andrea Petroni, include una trentina di persone, tra cui i familiari di Giulia Cecchettin, come il padre Gino e la sorella Elena. La difesa di Turetta, invece, ha indicato solo il medico legale come testimone. Questo approccio ristretto richiama in qualche modo il rito abbreviato, al quale Turetta non può accedere a causa della gravità delle accuse: omicidio volontario aggravato dalla premeditazione, dalla crudeltà e dall’occultamento di cadavere.

            Giulia Cecchettin è stata uccisa la notte dell’11 novembre scorso, e le circostanze del delitto, comprese le 75 ferite riscontrate sul corpo della vittima, hanno scosso profondamente l’opinione pubblica. Ora, con l’apertura del processo, si spera che venga fatta giustizia per Giulia, mentre Filippo Turetta si prepara ad affrontare il verdetto che potrebbe portarlo a una condanna all’ergastolo.

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              Giallo sulla morte di Amedeo Matacena: disposta la riesumazione delle salme. La moglie indagata.

              L’inchiesta, che vede indagata Maria Pia Tropepi, moglie dell’ex parlamentare di Forza Italia, indaga sulle circostanze delle morti di Matacena e della madre, con l’ipotesi di un possibile duplice omicidio.

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                La Procura di Reggio Calabria ha disposto la riesumazione delle salme di Amedeo Matacena e della madre Raffaella De Carolis, deceduti a distanza di pochi mesi nel 2022 a Dubai. L’ex deputato di Forza Italia, latitante a Dubai per sfuggire a una condanna per concorso esterno in associazione mafiosa, era morto ufficialmente per un infarto del miocardio il 16 settembre 2022. Tuttavia, le autorità giudiziarie sembrano non essere convinte della causa dichiarata del decesso e hanno aperto un’indagine per accertare eventuali responsabilità penali.

                L’inchiesta, coordinata dal sostituto procuratore Sara Parezzan, riguarda anche la morte della madre di Matacena, Raffaella De Carolis, avvenuta tre mesi prima, il 18 giugno 2022. Secondo quanto riportato dalla Gazzetta del Sud, la Procura ha iscritto nel registro degli indagati Maria Pia Tropepi, ultima moglie dell’ex parlamentare, con l’accusa di duplice omicidio.

                Le indagini e le riesumazioni
                Le circostanze delle morti di Amedeo Matacena e della madre hanno sollevato numerosi interrogativi, portando la Procura a ordinare la riesumazione delle salme per eseguire autopsie approfondite. Mentre il corpo di Raffaella De Carolis si trova a Reggio Calabria, quello di Matacena è sepolto al cimitero di Formia. Le autopsie saranno condotte dal medico legale Aniello Maiese e dalla tossicologa Chiara David, con le operazioni previste per il primo ottobre.

                L’indagine mira a verificare se le morti siano collegate e se vi siano responsabilità penali, come suggerito dall’ipotesi di reato di duplice omicidio avanzata nei confronti di Maria Pia Tropepi. La donna, originaria di Lamezia Terme, ha nominato un consulente di parte per seguire le operazioni autoptiche.

                Il contesto e le dichiarazioni
                Amedeo Matacena, noto armatore e politico, era fuggito a Dubai per evitare una condanna definitiva nel processo “Olimpia” e, fino alla sua morte, era rimasto latitante. Nei mesi successivi alla sua scomparsa, erano emerse voci di un possibile coinvolgimento della Procura di Reggio Calabria e degli uffici inquirenti romani per accertare la veridicità della causa naturale della morte. Queste speculazioni erano state prontamente smentite dalla moglie, Maria Pia Tropepi, che attraverso il suo legale aveva ribadito che Matacena desiderava essere cremato, decisione alla quale si era opposta la famiglia, che ha poi seppellito l’ex parlamentare a Formia.

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