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Cronaca Nera

Chi è l’ereditiera scomparsa a Madrid e sepolta (forse) in un bosco in Italia dal marito

Dalla Colombia a Miami, fino alla capitale spagnola, la storia di Ana Maria Henao si intreccia con quella del marito, David Knezevich, accusato del suo sequestro e omicidio. Le indagini rivelano un inquietante scenario di sospetti immobiliari e moventi economici, mentre gli investigatori cercano il corpo della donna nelle foreste dell’Altopiano di Asiago.

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    La storia di Ana Maria Henao, 40enne ereditiera colombiana e brillante imprenditrice, ha preso una piega drammatica con la sua scomparsa avvenuta lo scorso 2 febbraio a Madrid. Le vicende della donna, già benestante grazie a un patrimonio ereditato, l’avevano portata a Fort Lauderdale negli Stati Uniti, dove aveva vissuto per 18 anni, costruendo una rete di imprese di successo. La sua fortuna finanziaria, stimata in milioni di euro, era frutto di investimenti nel settore immobiliare e nell’informatica, che la stessa Ana Maria gestiva insieme al marito David Knezevich.

    Ha cercato rifugio in Europa

    Ma quello che sembrava un matrimonio solido si è rivelato una prigione per Ana Maria, tanto da spingerla a cercare rifugio in Europa. Nel dicembre 2023, Ana Maria si trasferisce a Madrid, apparentemente in cerca di un nuovo inizio lontano dal marito, dal quale stava cercando di divorziare. Tuttavia, il suo desiderio di libertà si è scontrato con la resistenza di Knezevich, che ha fatto di tutto per mantenere il controllo sul patrimonio comune, stimato in milioni di dollari.

    Operazioni sospette

    Le indagini hanno rivelato che il marito aveva effettuato operazioni finanziarie sospette, tra cui la vendita di diverse proprietà a Miami, che hanno sollevato l’attenzione degli investigatori. David Knezevich, infatti, avrebbe versato 4 milioni di dollari in contanti a diversi acquirenti per poi sostenere che deteneva solo ipoteche senza valore, un’operazione che gli inquirenti sospettano sia legata al tentativo di nascondere denaro in vista del divorzio o, addirittura, di un piano omicida.

    Un messaggio all’amica

    Il mistero si è infittito quando Ana Maria ha inviato un messaggio sospetto a un’amica, annunciando un improvviso viaggio con un uomo appena conosciuto, pochi giorni prima di sparire. Successivamente, le telecamere di sorveglianza hanno registrato un uomo con caratteristiche simili a quelle di Knezevich entrare nell’appartamento della donna a Madrid e uscire con una voluminosa valigia, che si sospetta contenesse il corpo di Ana Maria.

    Gli indizi nel vicentino

    Le ricerche si sono spostate dall’altra parte dell’Atlantico, in un piccolo comune del vicentino, dove si sospetta che il corpo della donna possa essere stato sepolto. Le indagini sono ora nelle mani di un team internazionale che include la squadra mobile di Vicenza, la polizia scientifica e investigatori spagnoli, sotto la supervisione dell’FBI. La tragica vicenda ha suscitato un forte interesse mediatico internazionale, con la speranza che la verità venga alla luce e che Ana Maria possa finalmente trovare giustizia.

      Cronaca Nera

      Rai annulla il contratto di Sara Giudice: la giornalista sotto indagine per presunta violenza

      La Rai fa marcia indietro sull’assunzione di Sara Giudice, giornalista indagata per presunta violenza, nonostante la richiesta di archiviazione da parte della Procura. La decisione solleva interrogativi sul garantismo dell’azienda pubblica.

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        La Rai ha deciso di annullare il contratto con Sara Giudice, giornalista che era stata ingaggiata per lavorare nel programma di Antonino Monteleone. La marcia indietro dell’azienda arriva in seguito alla vicenda giudiziaria che vede coinvolta Giudice insieme al marito, il giornalista Nello Trocchia del quotidiano Domani. Entrambi sono indagati per una presunta violenza nei confronti di una collega, avvenuta a fine gennaio 2023, anche se la Procura ha già richiesto l’archiviazione del caso. La decisione finale spetta ora al giudice per le indagini preliminari (gip).

        La reazione della Rai e il dibattito sul garantismo

        La conferma della rottura contrattuale è stata data dallo stesso Antonino Monteleone, che ha dichiarato: «È vero, mi è stato comunicato da Paolo Corsini, direttore dell’approfondimento Rai, che il contratto con Sara Giudice non può essere finalizzato. L’editore mi ha detto che non ci sono le condizioni». Questa decisione ha sollevato un acceso dibattito, alimentato da un articolo pubblicato su Il Foglio, che ha criticato quella che è stata percepita come una mancanza di garantismo da parte della Rai. La Procura aveva infatti chiesto l’archiviazione dell’indagine in tempi molto rapidi, ma la Rai ha comunque deciso di sospendere l’assunzione di Giudice, sollevando dubbi sulla sua posizione rispetto ai diritti degli indagati.

        Il caso e le sue implicazioni

        La vicenda giudiziaria che coinvolge Sara Giudice e Nello Trocchia è stata portata alla ribalta per la prima volta dal quotidiano La Verità. Secondo Giudice e Trocchia, l’episodio di cui sono accusati si sarebbe trattato di baci a tre consensuali, interpretati invece come un abuso dalla collega coinvolta. Questo caso ha scatenato una controversia, soprattutto considerando che la denuncia è arrivata poco dopo un’inchiesta di Domani sui finanziamenti ad Acca Larenzia, firmata proprio da Trocchia.

        Minacce e tensioni crescenti

        A complicare ulteriormente la situazione, Sara Giudice e Nello Trocchia hanno recentemente denunciato di aver ricevuto minacce di morte tramite social media. Una delle minacce più gravi includeva la frase: «Una pallottola in fronte e passa tutto, tr… fottuta», rivolta a Giudice da un utente su Facebook. Di fronte a queste intimidazioni, la coppia ha presentato un esposto in Procura e la polizia postale sta indagando sulla vicenda.

        Un’ombra sulla libertà di stampa e il garantismo
        La decisione della Rai di interrompere il rapporto con Sara Giudice, nonostante la richiesta di archiviazione del caso, solleva preoccupazioni non solo sul garantismo dell’azienda pubblica, ma anche sulla libertà di stampa e sulla tutela dei giornalisti sotto indagine. In un clima già teso, con minacce di morte che aggravano la situazione, il caso di Giudice e Trocchia pone interrogativi importanti sul modo in cui le istituzioni e le aziende mediatiche gestiscono le situazioni in cui i giornalisti diventano oggetto di indagini, ma non di condanne definitive.

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          Cronaca Nera

          Mostro di Firenze, nuova svolta nelle indagini: richiesta di una seconda autopsia su Stefania Pettini

          A cinquant’anni dal delitto, i legali delle vittime insistono per un’autopsia bis su Stefania Pettini, sperando di trovare tracce biologiche del Mostro di Firenze. Le famiglie delle vittime sono divise, mentre si apre un altro capitolo nella richiesta di revisione del processo sul delitto di Scopeti.

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            Alla vigilia del cinquantesimo anniversario del tragico omicidio di Stefania Pettini e del suo fidanzato Pasquale Gentilcore, avvenuto nel settembre 1974, una nuova svolta nelle indagini sul Mostro di Firenze scuote ancora una volta la serenità dei familiari delle vittime. L’avvocato Vieri Adriani, rappresentante dei familiari delle vittime francesi uccise nel 1985 a Scopeti, sta preparando un’importante mossa legale: chiede infatti al sindaco di Borgo San Lorenzo di non trasferire i resti di Stefania, come previsto alla scadenza del termine dei cinquant’anni, al fine di permettere un’eventuale seconda autopsia.

            Individuato un DNA?

            Questa richiesta arriva dopo la consulenza dell’ematologo Lorenzo Iovino, il quale sostiene di aver individuato una sequenza di DNA sconosciuto impressa su un’ogiva esplosa durante il delitto di Scopeti, che potrebbe essere collegata anche ad altri due duplici omicidi. Adriani intende presentare questa scoperta all’autorità giudiziaria, accompagnata da una formale richiesta di esame autoptico. L’obiettivo è chiaro: trovare tracce biologiche che possano far luce sull’identità del misterioso assassino, noto come il Mostro di Firenze.

            Aveva solo 18 anni

            Stefania Pettini, appena 18enne al momento della sua morte, fu brutalmente uccisa insieme a Pasquale, 19 anni, in località Rabatta, nel comune di Borgo San Lorenzo. Il Mostro colpì Pasquale con cinque colpi di pistola e poi si accanì su Stefania con una pioggia di fendenti, infliggendole un destino crudele che ha lasciato cicatrici indelebili nei cuori dei suoi familiari. Il suo corpo, oltraggiato con un tralcio di vite, fu sepolto in un loculo offerto dal Comune come gesto di solidarietà.

            Nonostante il passare del tempo, il dramma di Stefania continua a tormentare i suoi cari. Una delle cugine ha recentemente espresso il suo consenso per un’eventuale seconda autopsia, ma non tutte le parenti condividono questa opinione. Anche tra i familiari di Jean Michel, ucciso a Scopeti nel 1985, ci sono divisioni: Adriani aveva suggerito la riesumazione del corpo per ulteriori indagini, ma l’opposizione di uno dei tre fratelli ha fatto cadere questa ipotesi, a meno di una rogatoria internazionale che appare complessa.

            Nel frattempo, un altro capitolo di questo giallo senza fine si apre con la richiesta di revisione del processo sul delitto di Scopeti. Gli avvocati del nipote di Mario Vanni, uno dei presunti “compagni di merende”, intendono presentare nuovi elementi, basati su un esperimento che suggerisce che l’omicidio potrebbe essere avvenuto prima dell’8 settembre 1985, contraddicendo la testimonianza di Giancarlo Lotti. Questo ulteriore sviluppo getta ancora più ombre su un caso che continua a tenere con il fiato sospeso non solo i familiari delle vittime, ma anche un’intera nazione.

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              Cronaca Nera

              Moussa Sangare e le sue bugie smascherate: il video della fuga in bici smentisce tutto

              Dalla versione fantasiosa dell’amico minaccioso alla verità mostrata dalle telecamere di sorveglianza, Moussa Sangare ha tentato invano di coprire le sue tracce. Le intercettazioni e i video lo inchiodano, mentre emerge la sua pericolosità e la volontà di colpire ancora.

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                Moussa Sangare, arrestato per l’omicidio di Sharon Verzeni, ha provato a costruire una serie di bugie per confondere gli inquirenti, ma il video della sua fuga in bicicletta e le intercettazioni lo hanno smascherato, svelando tutta la verità dietro l’efferato delitto.

                Le bugie di Sangare: dalla falsa testimonianza alla cruda realtà

                Nel corso dell’interrogatorio, Sangare ha inizialmente negato ogni coinvolgimento nell’omicidio, sostenendo di non essersi recato a Terno d’Isola negli ultimi mesi. Tuttavia, quando i carabinieri gli hanno mostrato il video che riprendeva il suo tragitto notturno, l’uomo è crollato, ammettendo di essere stato presente sul luogo del delitto. Ma anche in quel momento, ha tentato un ultimo disperato tentativo di depistaggio, accusando un fantomatico “amico” di Sharon di aver commesso l’omicidio e di averlo minacciato per aver assistito alla scena.

                Le immagini delle telecamere di sorveglianza, però, raccontano una storia diversa. Sharon Verzeni è stata ripresa mentre camminava da sola, in un tragitto tranquillo e solitario, contraddicendo completamente la versione fornita da Sangare.

                La fuga in bici e le intercettazioni: prove schiaccianti

                Oltre al video, un altro dettaglio ha messo a nudo le menzogne di Sangare: la sua fuga in bicicletta. Le intercettazioni tra Sangare e i due testimoni che lo avevano riconosciuto hanno rivelato particolari che solo l’autore dell’omicidio poteva conoscere, come la velocità della fuga e le urla disperate di Sharon dopo essere stata accoltellata.

                In una conversazione intercettata, Sangare stesso ha evocato l’idea del fermo, mostrando consapevolezza della gravità della situazione: “Ti immagini che ci fermano… non andiamo più a casa”. Questa frase, insieme alle altre prove raccolte, ha convinto gli inquirenti della sua colpevolezza e della sua pericolosità sociale.

                Un tentativo di depistaggio maldestro

                Sangare ha anche cercato di nascondere il suo aspetto, sostenendo di essersi tagliato i capelli “due o tre mesi” prima dell’audizione. Tuttavia, la lunghezza dei capelli al momento dell’interrogatorio ha smentito questa affermazione, dimostrando che il taglio doveva essere avvenuto in epoca molto più recente, probabilmente subito dopo l’omicidio, in un tentativo di cambiare il proprio aspetto e sfuggire alla giustizia.

                Il trasferimento in carcere e la pericolosità di Sangare

                Vista la sua pericolosità, Sangare è stato trasferito dal carcere di Bergamo a quello di San Vittore a Milano, anche per motivi di sicurezza, dopo che altri detenuti avevano tentato di aggredirlo lanciandogli bottiglie incendiarie. Il trasferimento è stato deciso anche per evitare che l’uomo potesse dissotterrare il coltello utilizzato nell’omicidio, nascosto nei pressi degli argini dell’Adda, che Sangare aveva pianificato di conservare come macabro “souvenir”.

                L’insieme delle prove raccolte ha quindi permesso agli inquirenti di chiudere il cerchio intorno a Moussa Sangare, confermando il suo coinvolgimento nell’omicidio di Sharon Verzeni e smascherando tutte le sue menzogne. Un caso che ha scosso profondamente la comunità e che ora si avvia verso la fase processuale, con la speranza che la giustizia possa fare il suo corso.

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