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Cronaca Nera

Mostro di Firenze, nuova svolta nelle indagini: richiesta di una seconda autopsia su Stefania Pettini

A cinquant’anni dal delitto, i legali delle vittime insistono per un’autopsia bis su Stefania Pettini, sperando di trovare tracce biologiche del Mostro di Firenze. Le famiglie delle vittime sono divise, mentre si apre un altro capitolo nella richiesta di revisione del processo sul delitto di Scopeti.

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    Alla vigilia del cinquantesimo anniversario del tragico omicidio di Stefania Pettini e del suo fidanzato Pasquale Gentilcore, avvenuto nel settembre 1974, una nuova svolta nelle indagini sul Mostro di Firenze scuote ancora una volta la serenità dei familiari delle vittime. L’avvocato Vieri Adriani, rappresentante dei familiari delle vittime francesi uccise nel 1985 a Scopeti, sta preparando un’importante mossa legale: chiede infatti al sindaco di Borgo San Lorenzo di non trasferire i resti di Stefania, come previsto alla scadenza del termine dei cinquant’anni, al fine di permettere un’eventuale seconda autopsia.

    Individuato un DNA?

    Questa richiesta arriva dopo la consulenza dell’ematologo Lorenzo Iovino, il quale sostiene di aver individuato una sequenza di DNA sconosciuto impressa su un’ogiva esplosa durante il delitto di Scopeti, che potrebbe essere collegata anche ad altri due duplici omicidi. Adriani intende presentare questa scoperta all’autorità giudiziaria, accompagnata da una formale richiesta di esame autoptico. L’obiettivo è chiaro: trovare tracce biologiche che possano far luce sull’identità del misterioso assassino, noto come il Mostro di Firenze.

    Aveva solo 18 anni

    Stefania Pettini, appena 18enne al momento della sua morte, fu brutalmente uccisa insieme a Pasquale, 19 anni, in località Rabatta, nel comune di Borgo San Lorenzo. Il Mostro colpì Pasquale con cinque colpi di pistola e poi si accanì su Stefania con una pioggia di fendenti, infliggendole un destino crudele che ha lasciato cicatrici indelebili nei cuori dei suoi familiari. Il suo corpo, oltraggiato con un tralcio di vite, fu sepolto in un loculo offerto dal Comune come gesto di solidarietà.

    Nonostante il passare del tempo, il dramma di Stefania continua a tormentare i suoi cari. Una delle cugine ha recentemente espresso il suo consenso per un’eventuale seconda autopsia, ma non tutte le parenti condividono questa opinione. Anche tra i familiari di Jean Michel, ucciso a Scopeti nel 1985, ci sono divisioni: Adriani aveva suggerito la riesumazione del corpo per ulteriori indagini, ma l’opposizione di uno dei tre fratelli ha fatto cadere questa ipotesi, a meno di una rogatoria internazionale che appare complessa.

    Nel frattempo, un altro capitolo di questo giallo senza fine si apre con la richiesta di revisione del processo sul delitto di Scopeti. Gli avvocati del nipote di Mario Vanni, uno dei presunti “compagni di merende”, intendono presentare nuovi elementi, basati su un esperimento che suggerisce che l’omicidio potrebbe essere avvenuto prima dell’8 settembre 1985, contraddicendo la testimonianza di Giancarlo Lotti. Questo ulteriore sviluppo getta ancora più ombre su un caso che continua a tenere con il fiato sospeso non solo i familiari delle vittime, ma anche un’intera nazione.

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      Cronaca Nera

      Garlasco, il mistero degli otto suicidi: ombre inquietanti sull’omicidio Poggi

      Dal 2007 a oggi a Garlasco si sono registrati otto suicidi. Uno dei ragazzi morti, amico di Sempio, poco prima di togliersi la vita pubblicò un inquietante post sui social: “La verità nessuno mai te la racconterà”. Tra le vittime anche un anziano testimone del delitto Poggi, morto in circostanze sospette.

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        Chiara Poggi avrebbe compiuto 44 anni lunedì 31 marzo, se qualcuno non avesse brutalmente interrotto la sua vita a soli 26 anni. Sono trascorsi diciotto anni da quella tragica mattina, ma il caso Garlasco continua a produrre inquietudine, sospetti e nuovi interrogativi, molti dei quali tutt’altro che secondari.

        Mentre la posizione di Andrea Sempio, già archiviata sette anni fa, torna sotto la lente degli investigatori, emerge un’altra pista che sta prendendo forma dietro le quinte delle indagini principali: quella di una scia drammatica e sinistra di otto suicidi avvenuti in paese, a partire proprio dal 2007, anno dell’omicidio. Tra questi casi, secondo quanto riportato dal settimanale “Gente”, alcuni coinvolgono direttamente il giro di conoscenze di Andrea Sempio.

        Uno di questi ragazzi, morto impiccato nel 2016, aveva condiviso pochi giorni prima un post inquietante tratto dalla canzone “La Verità” dei Club Dogo, pubblicata proprio nel 2007. Il testo recitava così: “La verità sta nelle cose che nessuno sa, la verità nessuno mai te la racconterà”. Una coincidenza forse casuale, certamente perturbante, che ora cattura l’attenzione degli investigatori.

        Ma c’è di più. Tra gli otto suicidi figura anche quello di Giovanni Ferri, pensionato di 88 anni, trovato cadavere il 23 novembre 2010 in via Mulino, morto dissanguato dopo essersi apparentemente tagliato polsi e gola in uno spazio strettissimo, appena 50 centimetri. Gli stessi carabinieri che si occuparono dell’omicidio Poggi archiviarono rapidamente il caso come suicidio, ma tra le voci in paese circolava con insistenza una teoria ben diversa: Ferri avrebbe visto o sentito qualcosa di cruciale la mattina in cui Chiara fu uccisa.

        Ad alimentare ulteriormente questa ipotesi c’è la testimonianza, ancora top secret, raccolta recentemente dalla trasmissione televisiva “Le Iene”. Un super testimone avrebbe infatti riferito di aver assistito a un fatto decisivo proprio la mattina del delitto, ma sarebbe stato successivamente messo a tacere quando cercò di raccontare ciò che aveva visto.

        Andrea Sempio, dal canto suo, si dice tranquillo e non teme nuovi controlli da parte della Procura. “Non c’è alcun contatto tra me e Chiara, di nessun tipo”, ha dichiarat. Sempio si dice inoltre sereno sull’eventuale ritrovamento di tracce del suo DNA nella casa della vittima, precisando che frequentava regolarmente l’abitazione dei Poggi e che tali tracce, se trovate, sarebbero comunque da ricondurre a oggetti comuni messi a disposizione degli ospiti.

        Le indagini dunque proseguono, e l’attenzione degli investigatori si divide ora tra la pista principale, con la revisione della posizione di Sempio, e questo inquietante filone secondario, un mosaico fatto di morti misteriose e coincidenze che rendono il caso ancora più oscuro e difficile da decifrare.

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          Cronaca Nera

          Caso Garlasco, spunta un frammento di tappetino con l’impronta di Stasi: si riapre il giallo

          Un frammento del tappetino su cui era stata trovata l’impronta della scarpa di Alberto Stasi torna sotto la lente dopo 18 anni. Si punta a nuove analisi su reperti mai analizzati, tra cui una cannuccia, sacchetti e un barattolo di yogurt. La difesa spera di scagionare Stasi, la Procura indaga su Andrea Sempio.

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            Diciotto anni dopo l’omicidio di Chiara Poggi, il delitto di Garlasco non c’è solo il DNA di Andrea Sempio a scuotere le certezze sull’omicidio di Chiara Poggi. Un frammento del tappetino del bagno della villetta di via Pascoli — quello su cui, secondo la sentenza definitiva, fu trovata l’impronta della scarpa di Alberto Stasi — è ricomparso tra i reperti custoditi dalla medicina legale dell’Università di Pavia. E ora potrebbe riscrivere un pezzo di quella storia mai del tutto chiusa.

            Una novità importante

            La novità emerge da una nota allegata alla richiesta della Procura di Pavia di un nuovo incidente probatorio, firmata dai consulenti genetisti Carlo Previderè e Pierangela Grignani. Il tappetino, “reperto n. 27”, non aveva fornito risultati nella prima indagine genetica per problemi tecnici di amplificazione del DNA. Nessuna ulteriore analisi era stata eseguita. Oggi, grazie a tecniche più avanzate, gli esperti ritengono utile “sottoporlo a ulteriore indagine genetica alla luce delle possibilità analitiche attualmente a disposizione”.

            Tanti reperti da risaminare

            Non solo tappetini. Tra i reperti che la Procura vuole riesaminare compaiono anche una cannuccia trovata in un contenitore di tè freddo, un sacchetto con cereali, involucri di yogurt, plastica da biscotti e persino sacchetti della spazzatura celesti usati per repertare materiale all’epoca. Tutti oggetti recuperati durante il sopralluogo del 16 agosto 2007, conservati a temperatura ambiente in una stanza blindata.

            Il maxi elenco comprende anche tamponi salivari, tra cui quello di Alberto Stasi, e un tampone orale prelevato durante l’autopsia sul corpo di Chiara. Quest’ultimo non era mai stato analizzato, e secondo i consulenti potrebbe rivelare la presenza di “substrati biologici differenti rispetto a quelli della vittima”. In altre parole, un DNA estraneo.

            La richiesta è legata alle nuove indagini aperte su Andrea Sempio, amico di Chiara Poggi, che nel 2016 era finito sotto i riflettori per alcune incongruenze temporali e tracce genetiche emerse sul computer della vittima. Indagini poi archiviate, ma mai davvero dimenticate. Ora, con l’emersione di nuovi reperti, la Procura punta a verificare ogni possibile pista alternativa. A decidere sarà il giudice per le indagini preliminari Daniela Garlaschelli.

            Per la difesa di Alberto Stasi, condannato in via definitiva nel 2015 all’ergastolo, si tratta di un’ultima occasione. I suoi legali avevano già tentato la strada della revisione processuale, finita in un nulla di fatto. Ma la scoperta di reperti mai analizzati riaccende la speranza: se da quel tappetino o da quegli oggetti emergesse un DNA estraneo, potrebbe riaprirsi uno spiraglio.

            Resta da vedere se la gip accoglierà la richiesta della Procura. Ma una cosa è certa: nel giallo di Garlasco, ogni volta che sembra scritta la parola fine, la cronaca trova un modo per riaprire il libro. Con nuove domande, vecchie ombre, e il sospetto sempre più evidente che la verità possa essere più sfuggente del previsto.

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              Cronaca Nera

              Strage di Erba cala il sipario giudiziario: la Cassazione chiude la porta alla revisione del processo

              I giudici della Cassazione hanno respinto il ricorso presentato dalla difesa dei due ergastolani, chiudendo (per ora) ogni spiraglio. Resta solo la strada della Corte europea dei diritti dell’uomo. Rosa ci sperava, Olindo ci contava

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                La Corte di Cassazione ha messo oggi il punto definitivo sulla strage di Erba. Non ci sarà alcuna revisione del processo che ha condannato all’ergastolo Olindo Romano e Rosa Bazzi per l’eccidio dell’11 dicembre 2006. I giudici della Suprema Corte hanno infatti respinto il ricorso presentato dalla difesa dei due coniugi contro la decisione della Corte d’appello di Brescia, che nel luglio 2024 aveva già dichiarato inammissibile la richiesta di revisione. Nessuno dei motivi proposti è stato ritenuto fondato.

                Sentenza ineccepibile

                La sentenza di oggi non entra nel merito della colpevolezza o innocenza degli imputati: la Cassazione, com’è noto, valuta solo il corretto svolgimento del procedimento dal punto di vista formale e giuridico. E secondo la Corte, il lavoro dei giudici bresciani è stato ineccepibile.

                Tre istanze respinte

                Erano tre le istanze che avevano tentato di riaprire il caso, presentate praticamente in contemporanea: una firmata dal sostituto procuratore generale di Milano Cuno Tarfusser; una dal tutore legale della coppia; e una, la principale, dagli avvocati Fabio Schembri, Nico D’Ascola, Patrizia Morello e Luisa Bordeaux.

                Niente nuovi testimoni

                Le richieste miravano a ottenere l’audizione di nuovi testimoni, la rivalutazione delle prove scientifiche, la verifica di nuove testimonianze raccolte anche in trasmissioni televisive, il riconsiderare l’attendibilità del supertestimone sopravvissuto Mario Frigerio, e perfino l’apertura di piste alternative legate alla criminalità organizzata.

                In pratica: una riscrittura radicale della vicenda per escludere Olindo e Rosa come autori della strage. Ma tutte queste ipotesi sono state bocciate in blocco, senza neppure un’audizione o una nuova perizia.

                E oggi la Cassazione ha stabilito che nemmeno il modo in cui è stata respinta la revisione presenta falle procedurali. Una delle contestazioni principali mosse dalla difesa, per esempio, riguardava il fatto che la Corte d’Appello avrebbe formulato un “giudizio”, seppure preliminare, che non era di sua competenza in quella fase. Ma per i giudici romani non c’è stato alcun vizio.

                Così, per i due condannati si spegne anche l’ultima speranza giudiziaria italiana. Se non emergeranno nuovi elementi radicalmente innovativi, l’unica strada rimasta è quella che porta alla Corte europea dei diritti dell’uomo, alla quale si può ricorrere per contestare l’equità del processo.

                Ancora una volta, Rosa Bazzi sperava in una svolta. Olindo Romano, da Opera, ci contava. Ma la porta si è chiusa. Di nuovo.

                La strage di Erba resta una delle pagine più buie e feroci della cronaca italiana. L’11 dicembre 2006, in un appartamento di via Diaz, furono uccise a sprangate e coltellate Raffaella Castagna, suo figlio Youssef di due anni, la nonna Paola Galli e Valeria Cherubini, la vicina dell’ultimo piano che aveva avuto la sfortuna di trovarsi sulle scale. Gli assassini appiccarono anche un incendio, forse per cancellare le tracce.

                La testimonianza chiave fu quella di Mario Frigerio, marito di Valeria, sopravvissuto per un’anomalia alla carotide che gli evitò il colpo letale. Per tre gradi di giudizio, le sue parole, le confessioni (poi ritrattate) e le tracce ematiche hanno sostenuto la tesi dell’accusa. Oggi quella tesi resta, definitivamente, incisa nella pietra giudiziaria.

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