Cronaca Nera
‘Ndrangheta e ultrà dell’Inter: scontro mortale a Cernusco sul Naviglio
Uno scontro violento fuori da una palestra frequentata dagli ultras dell’Inter e da membri di CasaPound si è concluso con un omicidio che potrebbe scatenare nuove tensioni nella curva nerazzurra e pericolose ritorsioni tra le fazioni criminali coinvolte.

Cernusco sul Naviglio è stata teatro di un feroce scontro che ha lasciato sul campo un morto e un ferito grave. Alle 10.51 in via Besozzi, proprio fuori dalla palestra Testudo, conosciuta come ritrovo per ultras dell’Inter e membri di CasaPound, la tensione è esplosa tra Antonio Bellocco, 36 anni, uno degli eredi del potente clan di ‘ndrangheta di Rosarno, e Andrea Beretta, 49 anni, noto ultras della Curva Nord dell’Inter.
Secondo le prime ricostruzioni, la lite è scoppiata per motivi che potrebbero essere legati a questioni di affari, culminando in un violento scontro che ha portato alla morte di Bellocco e al ferimento di Beretta. Bellocco, giunto sul posto a bordo di una Smart, avrebbe sparato per primo, ferendo Beretta al fianco. La risposta dell’ultras non si è fatta attendere: Beretta ha reagito accoltellando Bellocco alla gola, un colpo fatale che ha lasciato il mafioso riverso sul terreno.
Andrea Beretta, noto per il suo passato turbolento come braccio destro del defunto Vittorio Boiocchi, altro nome pesante della Curva Nord, è stato immediatamente soccorso e piantonato in ospedale, dove è ora in stato di arresto con l’accusa di omicidio.
Il luogo del delitto è stato rapidamente circondato dalle forze dell’ordine, con i carabinieri di Pioltello e la Squadra Mobile di Milano giunti per le indagini. Sul posto anche il pm Paolo Storari, noto per il suo coinvolgimento in indagini delicate su casi di criminalità organizzata e sulle dinamiche interne alle curve calcistiche della città, incluse quelle recenti legate agli ultras del Milan e alla controversia con Fedez.
L’omicidio di Bellocco, legato a una delle famiglie di ‘ndrangheta più potenti e influenti del Sud, radicate da tempo anche nel Nord Italia, potrebbe avere conseguenze ben oltre l’ambiente della curva interista. La presenza di Marco Ferdico, Matteo Norrito e Mauro Nepi, i volti noti della Curva Nord dell’Inter, sul luogo dell’omicidio, aggiunge ulteriore tensione a una situazione già esplosiva, che rischia di innescare una guerra tra le fazioni della curva e di scatenare ritorsioni violente da parte della criminalità organizzata.
Cernusco sul Naviglio, quindi, è ora un epicentro di una vicenda che intreccia il mondo del calcio, la violenza ultras, e l’ombra della ‘ndrangheta, lasciando la comunità in un clima di paura e incertezza per ciò che potrebbe ancora accadere.
INSTAGRAM.COM/LACITYMAG
Cronaca Nera
Delitto dell’ultrà Boiocchi, arrestati i killer: «Ucciso nella guerra tra i tifosi dell’Inter»
Dietro l’omicidio del capo storico della Curva Nord c’è una faida da manuale: potere, soldi, biglietti, droga e silenzi. Il calcio c’entra poco. E lo Stato ci arriva solo quando scorre il sangue. Ma per anni, troppe volte, ha lasciato fare.

Un agguato in stile mafioso, in una strada della periferia milanese. Cinque colpi, due a segno. Una vittima che aveva fatto della curva uno strumento di potere. E un mandante, oggi collaboratore di giustizia, che parla di regolamenti di conti, di gerarchie, di successioni. Non è un romanzo criminale: è il calcio italiano nel suo lato più opaco, quello delle curve, dei clan e delle guerre intestine.
L’arresto dei presunti autori e organizzatori dell’omicidio di Vittorio Boiocchi, freddato a Milano nel 2022, è un colpo importante per la giustizia. Ma non è una notizia nuova. Quello che emerge oggi, e che già si sapeva — o si fingeva di non sapere — è che una parte del tifo organizzato non ha nulla a che fare con lo sport. È un ambiente dove la violenza è un codice interno, e il consenso si compra e si vende. Dove chi “guida” la curva gestisce biglietti, merchandising, viaggi, sicurezza, estorsioni e — in molti casi — droga e legami con le mafie. E dove ogni tanto qualcuno cade.
Boiocchi era stato appena scarcerato dopo 26 anni. È bastato questo a far temere che volesse tornare a comandare. A riprendersi i soldi, i favori, i rapporti. E così è stato ucciso. A ordinarlo, secondo la Procura antimafia di Milano, Andrea Beretta, suo successore, oggi pentito. E il quadro che emerge è quello di una curva gestita come un clan, con logiche tribali, capi, delfini e traditori.
Ma il punto non è solo l’omicidio. È tutto il sistema che lo ha reso possibile. È il silenzio assenso di società sportive che da decenni trattano con questi soggetti, per mantenere la pace nello stadio. È la timidezza di istituzioni e leghe, che sanno ma si voltano dall’altra parte. È il paradosso di uno Stato che — come spesso accade — si muove con decisione solo quando ci scappa il morto.
Perché a Milano, come in tante altre città, le curve non sono solo tifo, ma territori. E il territorio, se non lo governa lo Stato, lo governa qualcun altro. La “Doppia Curva”, l’indagine della Dda che ha svelato i rapporti tra tifo organizzato, clan della ‘ndrangheta e interessi trasversali nel mondo Inter-Milan, dovrebbe bastare per capire che il calcio è diventato solo la facciata. Dietro ci sono affari. Giri di denaro. Equilibri che nulla hanno a che fare con la passione.
È normale che un capo ultrà venga ucciso in stile esecuzione? Che il suo successore finisca a sua volta coinvolto in un altro omicidio mafioso? Che uno dei killer venga arrestato in Bulgaria, mentre si nasconde sul Mar Nero, come un boss qualunque? No, non è normale. Ma è reso possibile da decenni di tolleranza, paura e connivenze.
La Milano che oggi arresta, per fortuna, è anche la Milano che per anni ha lasciato fare. Come Roma, Napoli, Torino, Bergamo. Non è questione di geografia, ma di vuoto. Vuoto legislativo, vuoto educativo, vuoto di coraggio.
Cosa ne sarà ora della Curva Nord? Chi prenderà il posto di chi? E quanti continueranno a fingere che si tratti “solo di tifo”? Fino al prossimo morto, alla prossima vendetta, al prossimo comunicato.
Cronaca Nera
Delitto di Garlasco, il tribunale concede la semilibertà a Stasi: passerà parte della giornata fuori dal carcere
Nessuna violazione, secondo i giudici, nell’intervista concessa da Stasi alle Iene. La sua condotta è stata valutata “corretta e responsabile”. Per la Procura, invece, l’episodio meritava un approfondimento. Ma ora l’ex studente della Bocconi potrà lasciare il carcere di giorno, con base presso lo zio e contratto da contabile.

Un nome che ancora oggi divide l’opinione pubblica, a quasi vent’anni da uno dei delitti più discussi e mediatici del nostro Paese. Alberto Stasi, condannato in via definitiva nel 2015 per l’omicidio della fidanzata Chiara Poggi, potrà uscire dal carcere di giorno. A stabilirlo sono stati i giudici del Tribunale di Sorveglianza di Milano, che hanno accolto la richiesta di semilibertà avanzata dai legali dell’uomo lo scorso dicembre.
Parte della giornata fuori da Bollate
La misura consente all’ex studente della Bocconi, oggi 41enne, di trascorrere parte della giornata fuori da Bollate, non solo per motivi di lavoro ma anche per partecipare ad attività di reinserimento sociale. La sera, però, dovrà fare rientro in carcere. Una decisione che arriva dopo una lunga valutazione del suo percorso detentivo, ritenuto “connotato da correttezza, serietà e rispetto delle regole”, come riportato nel dispositivo firmato dalle giudici Federica Gentile e Maria Paola Caffarena, affiancate da due esperti.
Appoggio abitativo presso lo zio
Il provvedimento autorizza il “proseguimento dell’attività lavorativa già in corso”, un impiego da contabile amministrativo con contratto a tempo indeterminato, e consente che Stasi abbia appoggio abitativo presso lo zio, durante le ore in cui sarà fuori dal penitenziario.
Opposizione della Procura
Un percorso che ha però incontrato la netta opposizione della Procura generale di Milano, che aveva chiesto ai giudici di rigettare la richiesta o quantomeno rinviare la decisione, per poter approfondire un passaggio ritenuto significativo: l’intervista rilasciata da Stasi alla trasmissione Le Iene. Un’apparizione televisiva, secondo i magistrati, che sarebbe avvenuta senza autorizzazione. Una violazione, quindi, delle prescrizioni previste per chi usufruisce di benefici penitenziari.
La ricostruzione della difesa
Diversa la ricostruzione della difesa, che ha spiegato come l’intervista sia avvenuta durante un permesso premio regolarmente concesso. La tesi è stata accolta dal Tribunale di Sorveglianza, che non solo non ha ravvisato alcuna infrazione formale, ma ha anche giudicato “pacato e rispettoso” il contenuto dell’intervento televisivo. “Il comportamento, valutato all’interno di un percorso penitenziario rigoroso e privo di criticità – scrivono i giudici – non è idoneo a compromettere gli esiti della relazione di osservazione”.
Aveva già avuto permessi premio
Non è il primo beneficio penitenziario che viene concesso a Stasi, che negli anni ha già usufruito di permessi premio e lavoro esterno, sempre – secondo il carcere di Bollate – con profitto e nel rispetto delle regole. Gli educatori e il personale dell’istituto lo descrivono come affidabile, partecipe e responsabile, e i giudici ne hanno tenuto conto nel disporre la nuova misura, che rappresenta un ulteriore passo verso la futura scarcerazione.
Ma al di là degli aspetti tecnici e del linguaggio giuridico, resta la memoria di quel 13 agosto 2007, quando il corpo di Chiara Poggi fu ritrovato senza vita nella villetta di famiglia a Garlasco, e il nome di Alberto Stasi entrò per sempre nella cronaca giudiziaria italiana. Un caso lungo, tormentato, fatto di assoluzioni iniziali e ribaltamenti in appello, che si è chiuso con la condanna definitiva a 16 anni di reclusione per omicidio volontario, nonostante Stasi abbia sempre professato la propria innocenza.
Ora, dopo oltre otto anni dietro le sbarre, l’uomo può tornare a vivere alcune ore fuori dal carcere, muovendosi in un regime controllato ma meno restrittivo. Un passaggio che non cancella la condanna né attenua il peso di quella vicenda, ma che segna una nuova fase. Per i giudici, si tratta di una misura compatibile con il principio rieducativo della pena. Per altri, invece, è solo l’ennesima ferita che il sistema infligge alla memoria di Chiara.
Cronaca Nera
Stasi e la semilibertà, la Procura dice no: “Intervista non autorizzata”. Ma il carcere lo smentisce
Il tribunale di Sorveglianza di Milano si è riservato la decisione: attesa entro cinque giorni. La difesa: “Nessuna infrazione”. Il carcere di Bollate conferma: l’intervista fu registrata durante un permesso premio e non ha violato le regole. Ma la Procura chiede il rigetto o almeno un rinvio.

Un’intervista, un permesso premio e ora un no che rischia di pesare sul percorso di reinserimento di Alberto Stasi, condannato a 16 anni per l’omicidio della fidanzata Chiara Poggi. La Procura generale di Milano ha espresso parere contrario alla concessione della semilibertà, richiesta dai legali del 41enne e discussa ieri mattina in un’udienza a porte chiuse davanti al tribunale di Sorveglianza.
Motivo del rigetto? L’intervista rilasciata alla trasmissione “Le Iene” nel marzo scorso, secondo i magistrati non autorizzata. Una circostanza che per la sostituta procuratrice generale Valeria Marino rappresenta una possibile violazione e, di conseguenza, un elemento di ostacolo alla concessione della misura alternativa. In subordine, la Procura ha chiesto un rinvio per effettuare ulteriori accertamenti.
Peccato che lo stesso carcere di Bollate, attraverso una relazione firmata dal direttore Giorgio Leggieri, abbia precisato che l’intervista è avvenuta durante un permesso premio regolarmente concesso e non ha violato alcuna prescrizione. “Non si sono rilevate infrazioni”, si legge nel documento. E anche la redazione de “Le Iene” ha preso posizione: “Se il direttore dice che non ci sono state infrazioni, ci chiediamo quale regola sia stata infranta”.
Due versioni a confronto
Una divergenza che ha creato confusione, anche mediatica. Subito dopo l’udienza, uno dei legali di Stasi, l’avvocato Glauco Gasperini, aveva parlato di un “parere parzialmente positivo” da parte della Procura, un’interpretazione basata – si è poi capito – sulle relazioni favorevoli del carcere. Ma l’ufficialità ha poi detto altro: il parere della Procura è negativo, proprio a causa di quella intervista.
Il tribunale di Sorveglianza, presieduto dalla giudice Anna Maria Oddone, si è riservato la decisione, attesa entro cinque giorni. Non è la prima volta che il caso Stasi torna sotto i riflettori. Il 41enne è in carcere dal 2015, dopo la condanna definitiva per l’omicidio avvenuto a Garlasco nel 2007, e dal 2023 è stato ammesso al lavoro esterno come contabile.
Semilibertà, un passo in più
A differenza della liberazione condizionale, per cui serve l’ammissione di responsabilità, la semilibertà non richiede un “ravvedimento”. E Stasi, anche in interviste recenti, ha ribadito la propria innocenza, facendo riferimento alle nuove indagini su Andrea Sempio, ex amico di Chiara Poggi. Ma al di là delle dichiarazioni, a giocare a suo favore ci sono dieci anni di buona condotta e le relazioni positive di educatori e operatori penitenziari.
Il passaggio alla semilibertà gli consentirebbe una permanenza più ampia all’esterno del carcere, non limitata al solo orario lavorativo. Un percorso di graduale ritorno alla vita civile, come previsto dalla normativa, che però ora si complica per un’intervista che – almeno secondo il carcere – non ha mai violato le regole.
Un futuro segnato dal tempo
A Stasi restano da scontare poco più di quattro anni, e tenendo conto dei benefici di legge (45 giorni di sconto ogni sei mesi), il fine pena potrebbe arrivare tra il 2028 e il 2029. Entro quel termine, potrebbe chiedere anche l’affidamento in prova, misura alternativa che prevede il reinserimento totale con obblighi specifici e lavori socialmente utili.
Ma intanto il suo presente si decide a palazzo di giustizia, piano terra, davanti a un’aula chiusa al pubblico ma piena di telecamere fuori dalla porta. Stasi non c’era, per scelta e per rispetto – ha fatto sapere il suo legale – ma il suo volto è tornato ovunque. Un nome che continua a dividere, e che continua a far discutere. Anche quando, almeno formalmente, ha rispettato le regole.
-
Gossip1 anno fa
Elisabetta Canalis, che Sex bomb! è suo il primo topless del 2024 (GALLERY SENZA CENSURA!)
-
Cronaca Nera9 mesi fa
Bossetti è innocente? Ecco tutti i lati deboli dell’accusa
-
Speciale Olimpiadi 20248 mesi fa
Fact checking su Imane Khelif, la pugile al centro delle polemiche. Davvero è trans?
-
Sex and La City11 mesi fa
Dick Rating: che voto mi dai se te lo posto?
-
Speciale Grande Fratello7 mesi fa
Helena Prestes, chi è la concorrente vip del Grande Fratello? Età, carriera, vita privata e curiosità
-
Speciale Grande Fratello7 mesi fa
Shaila del Grande Fratello: balzi da “Gatta” nei programmi Mediaset
-
Gossip10 mesi fa
È crisi tra Stefano Rosso e Francesca Chillemi? Colpa di Can?
-
Moda e modi8 mesi fa
L’estate senza trucco di Belén Rodriguez