Connect with us

Cronaca Nera

Omicidio Willy, la procura chiede l’ergastolo senza attenuanti per i fratelli Bianchi

Dopo il verdetto della Cassazione, la Corte d’Appello di Roma deve riesaminare le attenuanti. Il pg: “Un evento indecente per le modalità e i motivi”

Avatar photo

Pubblicato

il

    Nessuna clemenza per Gabriele e Marco Bianchi. La procura generale della Corte d’Appello di Roma ha chiesto la condanna all’ergastolo senza attenuanti per i due fratelli accusati dell’omicidio di Willy Monteiro Duarte, il 21enne massacrato a calci e pugni la notte del 6 settembre 2020 a Colleferro. Il nuovo processo d’appello si è aperto oggi dopo il verdetto della Cassazione, che ha confermato la loro responsabilità per omicidio volontario, ordinando però una nuova valutazione sulle attenuanti generiche, inizialmente concesse e poi revocate.

    Il quadro è chiaro: per la procura, non c’è spazio per nessuno sconto di pena. Gabriele e Marco Bianchi, due energumeni con esperienza nelle arti marziali miste, hanno avuto un ruolo determinante nel pestaggio che ha stroncato la vita di Willy in appena cinquanta secondi. “La morte di Willy è un evento indecente, sia per le modalità in cui è avvenuta sia per i motivi che l’hanno scatenata”, ha dichiarato il procuratore generale nella sua requisitoria.

    Un’aggressione feroce, partita con un calcio al petto sferrato da Gabriele Bianchi, seguito subito dopo dal fratello Marco. Nessuna rissa, nessuna provocazione: solo un’esplosione di violenza gratuita che ha travolto un ragazzo innocente. La Cassazione, confermando l’omicidio volontario, ha demolito ogni tentativo di ridimensionare il delitto.

    Ora il verdetto finale spetta alla Corte d’Appello, che dovrà decidere se confermare l’ergastolo o ripristinare i 24 anni stabiliti nel primo appello. Intanto, per gli altri due imputati la giustizia ha già scritto la parola fine: Francesco Belleggia è stato condannato a 23 anni, Mario Pincarelli a 21.

    Resta l’ultima sentenza da pronunciare. E, almeno per la pubblica accusa, il destino dei fratelli Bianchi dovrebbe essere segnato: il carcere a vita, senza sconti, senza attenuanti, senza possibilità di riscatto.

      SEGUICI SU INSTAGRAM
      INSTAGRAM.COM/LACITYMAG

      Cronaca Nera

      Delitto dell’ultrà Boiocchi, arrestati i killer: «Ucciso nella guerra tra i tifosi dell’Inter»

      Dietro l’omicidio del capo storico della Curva Nord c’è una faida da manuale: potere, soldi, biglietti, droga e silenzi. Il calcio c’entra poco. E lo Stato ci arriva solo quando scorre il sangue. Ma per anni, troppe volte, ha lasciato fare.

      Avatar photo

      Pubblicato

      il

      Autore

        Un agguato in stile mafioso, in una strada della periferia milanese. Cinque colpi, due a segno. Una vittima che aveva fatto della curva uno strumento di potere. E un mandante, oggi collaboratore di giustizia, che parla di regolamenti di conti, di gerarchie, di successioni. Non è un romanzo criminale: è il calcio italiano nel suo lato più opaco, quello delle curve, dei clan e delle guerre intestine.

        L’arresto dei presunti autori e organizzatori dell’omicidio di Vittorio Boiocchi, freddato a Milano nel 2022, è un colpo importante per la giustizia. Ma non è una notizia nuova. Quello che emerge oggi, e che già si sapeva — o si fingeva di non sapere — è che una parte del tifo organizzato non ha nulla a che fare con lo sport. È un ambiente dove la violenza è un codice interno, e il consenso si compra e si vende. Dove chi “guida” la curva gestisce biglietti, merchandising, viaggi, sicurezza, estorsioni e — in molti casi — droga e legami con le mafie. E dove ogni tanto qualcuno cade.

        Boiocchi era stato appena scarcerato dopo 26 anni. È bastato questo a far temere che volesse tornare a comandare. A riprendersi i soldi, i favori, i rapporti. E così è stato ucciso. A ordinarlo, secondo la Procura antimafia di Milano, Andrea Beretta, suo successore, oggi pentito. E il quadro che emerge è quello di una curva gestita come un clan, con logiche tribali, capi, delfini e traditori.

        Ma il punto non è solo l’omicidio. È tutto il sistema che lo ha reso possibile. È il silenzio assenso di società sportive che da decenni trattano con questi soggetti, per mantenere la pace nello stadio. È la timidezza di istituzioni e leghe, che sanno ma si voltano dall’altra parte. È il paradosso di uno Stato che — come spesso accade — si muove con decisione solo quando ci scappa il morto.

        Perché a Milano, come in tante altre città, le curve non sono solo tifo, ma territori. E il territorio, se non lo governa lo Stato, lo governa qualcun altro. La “Doppia Curva”, l’indagine della Dda che ha svelato i rapporti tra tifo organizzato, clan della ‘ndrangheta e interessi trasversali nel mondo Inter-Milan, dovrebbe bastare per capire che il calcio è diventato solo la facciata. Dietro ci sono affari. Giri di denaro. Equilibri che nulla hanno a che fare con la passione.

        È normale che un capo ultrà venga ucciso in stile esecuzione? Che il suo successore finisca a sua volta coinvolto in un altro omicidio mafioso? Che uno dei killer venga arrestato in Bulgaria, mentre si nasconde sul Mar Nero, come un boss qualunque? No, non è normale. Ma è reso possibile da decenni di tolleranza, paura e connivenze.

        La Milano che oggi arresta, per fortuna, è anche la Milano che per anni ha lasciato fare. Come Roma, Napoli, Torino, Bergamo. Non è questione di geografia, ma di vuoto. Vuoto legislativo, vuoto educativo, vuoto di coraggio.

        Cosa ne sarà ora della Curva Nord? Chi prenderà il posto di chi? E quanti continueranno a fingere che si tratti “solo di tifo”? Fino al prossimo morto, alla prossima vendetta, al prossimo comunicato.

          Continua a leggere

          Cronaca Nera

          Delitto di Garlasco, il tribunale concede la semilibertà a Stasi: passerà parte della giornata fuori dal carcere

          Nessuna violazione, secondo i giudici, nell’intervista concessa da Stasi alle Iene. La sua condotta è stata valutata “corretta e responsabile”. Per la Procura, invece, l’episodio meritava un approfondimento. Ma ora l’ex studente della Bocconi potrà lasciare il carcere di giorno, con base presso lo zio e contratto da contabile.

          Avatar photo

          Pubblicato

          il

          Autore

            Un nome che ancora oggi divide l’opinione pubblica, a quasi vent’anni da uno dei delitti più discussi e mediatici del nostro Paese. Alberto Stasi, condannato in via definitiva nel 2015 per l’omicidio della fidanzata Chiara Poggi, potrà uscire dal carcere di giorno. A stabilirlo sono stati i giudici del Tribunale di Sorveglianza di Milano, che hanno accolto la richiesta di semilibertà avanzata dai legali dell’uomo lo scorso dicembre.

            Parte della giornata fuori da Bollate

            La misura consente all’ex studente della Bocconi, oggi 41enne, di trascorrere parte della giornata fuori da Bollate, non solo per motivi di lavoro ma anche per partecipare ad attività di reinserimento sociale. La sera, però, dovrà fare rientro in carcere. Una decisione che arriva dopo una lunga valutazione del suo percorso detentivo, ritenuto “connotato da correttezza, serietà e rispetto delle regole”, come riportato nel dispositivo firmato dalle giudici Federica Gentile e Maria Paola Caffarena, affiancate da due esperti.

            Appoggio abitativo presso lo zio

            Il provvedimento autorizza il “proseguimento dell’attività lavorativa già in corso”, un impiego da contabile amministrativo con contratto a tempo indeterminato, e consente che Stasi abbia appoggio abitativo presso lo zio, durante le ore in cui sarà fuori dal penitenziario.

            Opposizione della Procura

            Un percorso che ha però incontrato la netta opposizione della Procura generale di Milano, che aveva chiesto ai giudici di rigettare la richiesta o quantomeno rinviare la decisione, per poter approfondire un passaggio ritenuto significativo: l’intervista rilasciata da Stasi alla trasmissione Le Iene. Un’apparizione televisiva, secondo i magistrati, che sarebbe avvenuta senza autorizzazione. Una violazione, quindi, delle prescrizioni previste per chi usufruisce di benefici penitenziari.

            La ricostruzione della difesa

            Diversa la ricostruzione della difesa, che ha spiegato come l’intervista sia avvenuta durante un permesso premio regolarmente concesso. La tesi è stata accolta dal Tribunale di Sorveglianza, che non solo non ha ravvisato alcuna infrazione formale, ma ha anche giudicato “pacato e rispettoso” il contenuto dell’intervento televisivo. “Il comportamento, valutato all’interno di un percorso penitenziario rigoroso e privo di criticità – scrivono i giudici – non è idoneo a compromettere gli esiti della relazione di osservazione”.

            Aveva già avuto permessi premio

            Non è il primo beneficio penitenziario che viene concesso a Stasi, che negli anni ha già usufruito di permessi premio e lavoro esterno, sempre – secondo il carcere di Bollate – con profitto e nel rispetto delle regole. Gli educatori e il personale dell’istituto lo descrivono come affidabile, partecipe e responsabile, e i giudici ne hanno tenuto conto nel disporre la nuova misura, che rappresenta un ulteriore passo verso la futura scarcerazione.

            Ma al di là degli aspetti tecnici e del linguaggio giuridico, resta la memoria di quel 13 agosto 2007, quando il corpo di Chiara Poggi fu ritrovato senza vita nella villetta di famiglia a Garlasco, e il nome di Alberto Stasi entrò per sempre nella cronaca giudiziaria italiana. Un caso lungo, tormentato, fatto di assoluzioni iniziali e ribaltamenti in appello, che si è chiuso con la condanna definitiva a 16 anni di reclusione per omicidio volontario, nonostante Stasi abbia sempre professato la propria innocenza.

            Ora, dopo oltre otto anni dietro le sbarre, l’uomo può tornare a vivere alcune ore fuori dal carcere, muovendosi in un regime controllato ma meno restrittivo. Un passaggio che non cancella la condanna né attenua il peso di quella vicenda, ma che segna una nuova fase. Per i giudici, si tratta di una misura compatibile con il principio rieducativo della pena. Per altri, invece, è solo l’ennesima ferita che il sistema infligge alla memoria di Chiara.

              Continua a leggere

              Cronaca Nera

              Stasi e la semilibertà, la Procura dice no: “Intervista non autorizzata”. Ma il carcere lo smentisce

              Il tribunale di Sorveglianza di Milano si è riservato la decisione: attesa entro cinque giorni. La difesa: “Nessuna infrazione”. Il carcere di Bollate conferma: l’intervista fu registrata durante un permesso premio e non ha violato le regole. Ma la Procura chiede il rigetto o almeno un rinvio.

              Avatar photo

              Pubblicato

              il

              Autore

                Un’intervista, un permesso premio e ora un no che rischia di pesare sul percorso di reinserimento di Alberto Stasi, condannato a 16 anni per l’omicidio della fidanzata Chiara Poggi. La Procura generale di Milano ha espresso parere contrario alla concessione della semilibertà, richiesta dai legali del 41enne e discussa ieri mattina in un’udienza a porte chiuse davanti al tribunale di Sorveglianza.

                Motivo del rigetto? L’intervista rilasciata alla trasmissione “Le Iene” nel marzo scorso, secondo i magistrati non autorizzata. Una circostanza che per la sostituta procuratrice generale Valeria Marino rappresenta una possibile violazione e, di conseguenza, un elemento di ostacolo alla concessione della misura alternativa. In subordine, la Procura ha chiesto un rinvio per effettuare ulteriori accertamenti.

                Peccato che lo stesso carcere di Bollate, attraverso una relazione firmata dal direttore Giorgio Leggieri, abbia precisato che l’intervista è avvenuta durante un permesso premio regolarmente concesso e non ha violato alcuna prescrizione. “Non si sono rilevate infrazioni”, si legge nel documento. E anche la redazione de “Le Iene” ha preso posizione: “Se il direttore dice che non ci sono state infrazioni, ci chiediamo quale regola sia stata infranta”.

                Due versioni a confronto

                Una divergenza che ha creato confusione, anche mediatica. Subito dopo l’udienza, uno dei legali di Stasi, l’avvocato Glauco Gasperini, aveva parlato di un “parere parzialmente positivo” da parte della Procura, un’interpretazione basata – si è poi capito – sulle relazioni favorevoli del carcere. Ma l’ufficialità ha poi detto altro: il parere della Procura è negativo, proprio a causa di quella intervista.

                Il tribunale di Sorveglianza, presieduto dalla giudice Anna Maria Oddone, si è riservato la decisione, attesa entro cinque giorni. Non è la prima volta che il caso Stasi torna sotto i riflettori. Il 41enne è in carcere dal 2015, dopo la condanna definitiva per l’omicidio avvenuto a Garlasco nel 2007, e dal 2023 è stato ammesso al lavoro esterno come contabile.

                Semilibertà, un passo in più

                A differenza della liberazione condizionale, per cui serve l’ammissione di responsabilità, la semilibertà non richiede un “ravvedimento”. E Stasi, anche in interviste recenti, ha ribadito la propria innocenza, facendo riferimento alle nuove indagini su Andrea Sempio, ex amico di Chiara Poggi. Ma al di là delle dichiarazioni, a giocare a suo favore ci sono dieci anni di buona condotta e le relazioni positive di educatori e operatori penitenziari.

                Il passaggio alla semilibertà gli consentirebbe una permanenza più ampia all’esterno del carcere, non limitata al solo orario lavorativo. Un percorso di graduale ritorno alla vita civile, come previsto dalla normativa, che però ora si complica per un’intervista che – almeno secondo il carcere – non ha mai violato le regole.

                Un futuro segnato dal tempo

                A Stasi restano da scontare poco più di quattro anni, e tenendo conto dei benefici di legge (45 giorni di sconto ogni sei mesi), il fine pena potrebbe arrivare tra il 2028 e il 2029. Entro quel termine, potrebbe chiedere anche l’affidamento in prova, misura alternativa che prevede il reinserimento totale con obblighi specifici e lavori socialmente utili.

                Ma intanto il suo presente si decide a palazzo di giustizia, piano terra, davanti a un’aula chiusa al pubblico ma piena di telecamere fuori dalla porta. Stasi non c’era, per scelta e per rispetto – ha fatto sapere il suo legale – ma il suo volto è tornato ovunque. Un nome che continua a dividere, e che continua a far discutere. Anche quando, almeno formalmente, ha rispettato le regole.

                  Continua a leggere
                  Advertisement

                  Ultime notizie

                  Lacitymag.it - Tutti i colori della cronaca | DIEMMECOM® Società Editoriale Srl P. IVA 01737800795 R.O.C. 4049 – Reg. Trib MI n.61 del 17.04.2024 | Direttore responsabile: Luca Arnaù