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Cronaca Nera

Roba da matti! Ricatti, orge e perfino una rapina, arrestati due frati: “Abusi sessuali”

Un’inchiesta su una rapina a Cosenza ha portato alla luce un caso di abusi sessuali e ricatti perpetrati da due religiosi, sconvolgendo una comunità locale.

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    È stata una rapina anomala, messa a segno lo scorso aprile con mazze e coltelli per impossessarsi solo di due cellulari, a far emergere una storia torbida di violenze sessuali e ricatti ai danni di due giovani, costretti per anni a subire abusi da parte di due religiosi che li minacciavano di non aiutarli più economicamente e di far perdere loro il lavoro che svolgevano nelle chiese.

    La rapina che ha scoperchiato l’orrore

    Quella rapina era stata commissionata proprio da uno dei due frati arrestati ieri insieme ad altre quattro persone ad Afragola, in provincia di Napoli, per cancellare le prove di quegli abusi dopo aver ricevuto la lettera di un legale, inviata dalle vittime per sollecitare il pagamento di quanto dovuto per alcuni lavori svolti nel Monastero e nella Basilica e in cui si faceva riferimento a presunti rapporti sessuali in cambio di assistenza. Nei telefonini i due avevano memorizzato immagini, video e chat a dir poco imbarazzanti: meglio farli sparire in vista di una possibile denuncia.

    Gli arresti e le accuse

    A finire in manette su richiesta della Procura di Napoli, Nicola Gildi, frate attualmente in servizio presso il Convento di Santa Maria Occorrevole e Domenico Silvestro, parroco della Basilica Pontificia di Sant’Antonio da Padova. Sono accusati di violenza sessuale, il frate anche di rapina aggravata. Per portare a termine la rapina erano state ingaggiate quattro persone: due imprenditori della zona, che avrebbero offerto supporto logistico e due giovani di 19 e 20 anni.

    La rivelazione dei giovani

    Indagando sul colpo è emerso che i due giovani erano sotto ricatto da parte dei due religiosi arrestati: prestazioni sessuali o il licenziamento e la «sospensione» degli aiuti economici che venivano loro garantiti. Per i magistrati è stato Gildi a commissionare la rapina. Dopo alcune reticenze i due uomini hanno raccontato ai carabinieri quanto avevano subito. Il frate, all’epoca in servizio presso la Chiesa di Sant’Antonio di Teano, lo avevano conosciuto in una chat per incontri, «Ciao Amigos». Avevano iniziato ad avere dei rapporti sessuali in cambio di generi alimentari, sigarette e altra assistenza. Il frate avrebbe anche chiesto che gli venissero presentati altri ragazzi disposti a fare lo stesso. Era la vittima, sempre sotto ricatto, a pagare di tasca propria quegli incontri sessuali e a partecipare alle orge per paura di non essere più aiutato.

    Il trasferimento e l’intensificazione degli abusi

    Nel 2019 il prete viene trasferito in un’altra chiesa, la Basilica di Sant’Antonio, ma decide di portare con sé i due uomini. Qui le richieste diventano sempre più pressanti e coinvolgono anche il secondo religioso. Nell’ordinanza il gip Caterina Anna Asprino parla di una «complessa azione predatoria» orchestrata da Gildi, che ha «richiesto il contributo» di altre 4 persone.

    La reazione della comunità

    Davanti alla Basilica di Sant’Antonio ad Afragola, dove ieri mattina è cominciata “la festa del perdono” e quella della “Porziuncola” di San Francesco, c’è una comunità sotto shock, soprattutto confusa e disorientata. La notizia degli arresti di padre Domenico “Mimmo” Silvestro e di padre Nicola Gildi, si è diffusa nella tarda mattinata. All’epoca dei fatti i due frati erano di stanza nella stessa parrocchia. Padre Nicola, invece, ieri mattina è stato rintracciato dai carabinieri nel convento “Santa Maria Occorrevole” di Piedimonte Matese (Caserta), dove si era trasferito da qualche anno.

    All’interno della Basilica, intanto, il prete che celebra messa parla di perdono. Sembrano parole pronunciate proprio per guardare in faccia a quello che è successo. Ma non è così. I fatti di cronaca sono tenuti lontani dalla funzione religiosa. I frati dopo la messa si ritirano subito nelle stanze del convento. I fedeli, pochi, escono a testa bassa dalla Basilica. «Che vuole che le dica – sospira una insegnante – sono notizie che lasciano interdetti. Io conosco i due frati e mi sembra incredibile».

    Interviene un uomo: «Io qui ho dei figli che porto per le attività di formazione. Mi preoccupo seriamente quando sento le notizie che circolano».

    Poco più in là, davanti all’ufficio postale, invece, i giudizi negativi hanno la meglio: «Facevano i festini a luci rosse – si infervora un anziano in coda per ritirare la pensione e di fronte alle facce incredule di molte donne, lo stesso aggiunge: «Gli hanno trovato le foto sui cellulari e quelle non mentono».

    Al tavolino di un bar, sotto un ombrellone che attenua il caldo africano, cinque giovani bevono un aperitivo. «Abbiamo saputo – fa uno di essi – e sinceramente non c’è molto da meravigliarsi. Mi preoccupa più il danno fatto alla storia della Basilica di Sant’Antonio».

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      Omicidio Giulia Cecchettin: Filippo Turetta non sarà presente alla prima udienza del processo

      Filippo Turetta, accusato di aver ucciso l’ex fidanzata Giulia Cecchettin, non comparirà in aula durante la prima udienza. La difesa non richiederà la perizia psichiatrica, mentre il processo, presieduto dal giudice Stefano Manduzio, si preannuncia breve e intenso

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        Filippo Turetta, attualmente in carcere con l’accusa di aver brutalmente ucciso l’ex fidanzata Giulia Cecchettin, non sarà presente in aula per la prima udienza del processo, fissata per lunedì 23 settembre davanti alla Corte d’Assise di Venezia. La notizia è stata confermata dal suo legale, l’avvocato Giovanni Caruso, che ha ribadito l’intenzione della difesa di non richiedere una perizia psichiatrica per Turetta, nonostante le gravi accuse che pendono su di lui.

        Turetta, 22 anni, sembra voler mantenere un profilo discreto, lontano dai riflettori mediatici, seguendo quello che il suo avvocato ha descritto come un “percorso di maturazione personale” rispetto al terribile crimine di cui è accusato. Il processo, che si terrà nella piccola aula della Corte d’Assise presieduta dal giudice Stefano Manduzio, sarà seguito da venti giornalisti accreditati e dalle sole telecamere della Rai, che trasmetteranno le immagini alle altre emittenti.

        La lista dei testimoni del pubblico ministero di Venezia, Andrea Petroni, include una trentina di persone, tra cui i familiari di Giulia Cecchettin, come il padre Gino e la sorella Elena. La difesa di Turetta, invece, ha indicato solo il medico legale come testimone. Questo approccio ristretto richiama in qualche modo il rito abbreviato, al quale Turetta non può accedere a causa della gravità delle accuse: omicidio volontario aggravato dalla premeditazione, dalla crudeltà e dall’occultamento di cadavere.

        Giulia Cecchettin è stata uccisa la notte dell’11 novembre scorso, e le circostanze del delitto, comprese le 75 ferite riscontrate sul corpo della vittima, hanno scosso profondamente l’opinione pubblica. Ora, con l’apertura del processo, si spera che venga fatta giustizia per Giulia, mentre Filippo Turetta si prepara ad affrontare il verdetto che potrebbe portarlo a una condanna all’ergastolo.

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          Cronaca Nera

          Giallo sulla morte di Amedeo Matacena: disposta la riesumazione delle salme. La moglie indagata.

          L’inchiesta, che vede indagata Maria Pia Tropepi, moglie dell’ex parlamentare di Forza Italia, indaga sulle circostanze delle morti di Matacena e della madre, con l’ipotesi di un possibile duplice omicidio.

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            La Procura di Reggio Calabria ha disposto la riesumazione delle salme di Amedeo Matacena e della madre Raffaella De Carolis, deceduti a distanza di pochi mesi nel 2022 a Dubai. L’ex deputato di Forza Italia, latitante a Dubai per sfuggire a una condanna per concorso esterno in associazione mafiosa, era morto ufficialmente per un infarto del miocardio il 16 settembre 2022. Tuttavia, le autorità giudiziarie sembrano non essere convinte della causa dichiarata del decesso e hanno aperto un’indagine per accertare eventuali responsabilità penali.

            L’inchiesta, coordinata dal sostituto procuratore Sara Parezzan, riguarda anche la morte della madre di Matacena, Raffaella De Carolis, avvenuta tre mesi prima, il 18 giugno 2022. Secondo quanto riportato dalla Gazzetta del Sud, la Procura ha iscritto nel registro degli indagati Maria Pia Tropepi, ultima moglie dell’ex parlamentare, con l’accusa di duplice omicidio.

            Le indagini e le riesumazioni
            Le circostanze delle morti di Amedeo Matacena e della madre hanno sollevato numerosi interrogativi, portando la Procura a ordinare la riesumazione delle salme per eseguire autopsie approfondite. Mentre il corpo di Raffaella De Carolis si trova a Reggio Calabria, quello di Matacena è sepolto al cimitero di Formia. Le autopsie saranno condotte dal medico legale Aniello Maiese e dalla tossicologa Chiara David, con le operazioni previste per il primo ottobre.

            L’indagine mira a verificare se le morti siano collegate e se vi siano responsabilità penali, come suggerito dall’ipotesi di reato di duplice omicidio avanzata nei confronti di Maria Pia Tropepi. La donna, originaria di Lamezia Terme, ha nominato un consulente di parte per seguire le operazioni autoptiche.

            Il contesto e le dichiarazioni
            Amedeo Matacena, noto armatore e politico, era fuggito a Dubai per evitare una condanna definitiva nel processo “Olimpia” e, fino alla sua morte, era rimasto latitante. Nei mesi successivi alla sua scomparsa, erano emerse voci di un possibile coinvolgimento della Procura di Reggio Calabria e degli uffici inquirenti romani per accertare la veridicità della causa naturale della morte. Queste speculazioni erano state prontamente smentite dalla moglie, Maria Pia Tropepi, che attraverso il suo legale aveva ribadito che Matacena desiderava essere cremato, decisione alla quale si era opposta la famiglia, che ha poi seppellito l’ex parlamentare a Formia.

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              Cronaca Nera

              Rai annulla il contratto di Sara Giudice: la giornalista sotto indagine per presunta violenza

              La Rai fa marcia indietro sull’assunzione di Sara Giudice, giornalista indagata per presunta violenza, nonostante la richiesta di archiviazione da parte della Procura. La decisione solleva interrogativi sul garantismo dell’azienda pubblica.

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                La Rai ha deciso di annullare il contratto con Sara Giudice, giornalista che era stata ingaggiata per lavorare nel programma di Antonino Monteleone. La marcia indietro dell’azienda arriva in seguito alla vicenda giudiziaria che vede coinvolta Giudice insieme al marito, il giornalista Nello Trocchia del quotidiano Domani. Entrambi sono indagati per una presunta violenza nei confronti di una collega, avvenuta a fine gennaio 2023, anche se la Procura ha già richiesto l’archiviazione del caso. La decisione finale spetta ora al giudice per le indagini preliminari (gip).

                La reazione della Rai e il dibattito sul garantismo

                La conferma della rottura contrattuale è stata data dallo stesso Antonino Monteleone, che ha dichiarato: «È vero, mi è stato comunicato da Paolo Corsini, direttore dell’approfondimento Rai, che il contratto con Sara Giudice non può essere finalizzato. L’editore mi ha detto che non ci sono le condizioni». Questa decisione ha sollevato un acceso dibattito, alimentato da un articolo pubblicato su Il Foglio, che ha criticato quella che è stata percepita come una mancanza di garantismo da parte della Rai. La Procura aveva infatti chiesto l’archiviazione dell’indagine in tempi molto rapidi, ma la Rai ha comunque deciso di sospendere l’assunzione di Giudice, sollevando dubbi sulla sua posizione rispetto ai diritti degli indagati.

                Il caso e le sue implicazioni

                La vicenda giudiziaria che coinvolge Sara Giudice e Nello Trocchia è stata portata alla ribalta per la prima volta dal quotidiano La Verità. Secondo Giudice e Trocchia, l’episodio di cui sono accusati si sarebbe trattato di baci a tre consensuali, interpretati invece come un abuso dalla collega coinvolta. Questo caso ha scatenato una controversia, soprattutto considerando che la denuncia è arrivata poco dopo un’inchiesta di Domani sui finanziamenti ad Acca Larenzia, firmata proprio da Trocchia.

                Minacce e tensioni crescenti

                A complicare ulteriormente la situazione, Sara Giudice e Nello Trocchia hanno recentemente denunciato di aver ricevuto minacce di morte tramite social media. Una delle minacce più gravi includeva la frase: «Una pallottola in fronte e passa tutto, tr… fottuta», rivolta a Giudice da un utente su Facebook. Di fronte a queste intimidazioni, la coppia ha presentato un esposto in Procura e la polizia postale sta indagando sulla vicenda.

                Un’ombra sulla libertà di stampa e il garantismo
                La decisione della Rai di interrompere il rapporto con Sara Giudice, nonostante la richiesta di archiviazione del caso, solleva preoccupazioni non solo sul garantismo dell’azienda pubblica, ma anche sulla libertà di stampa e sulla tutela dei giornalisti sotto indagine. In un clima già teso, con minacce di morte che aggravano la situazione, il caso di Giudice e Trocchia pone interrogativi importanti sul modo in cui le istituzioni e le aziende mediatiche gestiscono le situazioni in cui i giornalisti diventano oggetto di indagini, ma non di condanne definitive.

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