Cronaca Nera
Sentenze che indignano: doppio femminicidio a Modena, niente ergastolo per “motivi umanamente comprensibili”
Salvatore Montefusco, 70 anni, uccise la moglie Gabriela Trandafir e la figlia Renata a fucilate. La Corte d’Assise di Modena riconosce attenuanti generiche, evitando l’ergastolo per un crimine atroce.
In Italia, il valore della vita sembra pesare diversamente nelle aule di tribunale. È il caso di Salvatore Montefusco, autore del doppio femminicidio avvenuto il 13 giugno 2022 a Cavazzona di Castelfranco Emilia (Modena). Gabriela Trandafir, 47 anni, e la figlia Renata, 22, furono crudelmente uccise a colpi di fucile. Tuttavia, per i giudici, l’ergastolo non era una pena adeguata: 30 anni, ecco il verdetto.
Le motivazioni della Corte d’Assise di Modena lasciano attoniti. Nella sentenza si parla di “motivi umanamente comprensibili” per spiegare le attenuanti riconosciute a Montefusco. Una scelta che ha già sollevato un’ondata di critiche e interrogativi sull’equità del sistema giudiziario.
Un crimine annunciato
Il dramma di Gabriela e Renata era iniziato ben prima di quel tragico giorno. Gabriela aveva denunciato il marito per maltrattamenti, stalking, appropriazione indebita e furto, opponendosi all’archiviazione chiesta dalla Procura. Montefusco aveva risposto con una controdenuncia, in un clima di crescente tensione.
La mattina dopo l’omicidio, le due donne sarebbero dovute comparire in tribunale per l’udienza di separazione e per rispondere alle accuse mosse contro Montefusco. Renata aveva confidato a una vicina di temere per la loro sicurezza: «È una persona cattiva, mi aspetto di tutto».
La paura si è trasformata in realtà. Montefusco ha sparato sette, forse otto colpi, colpendo prima Renata nel cortile e poi Gabriela. Un’escalation di violenza che non ha lasciato scampo.
Le attenuanti che offendono
Perché Montefusco non ha ricevuto l’ergastolo, come richiesto dalla Procura? La Corte, presieduta da Ester Russo, ha riconosciuto attenuanti generiche, ritenendole equivalenti alle aggravanti. Nella sentenza si legge che Montefusco era “un uomo incensurato” e che il suo gesto sarebbe stato dettato da “disagio, umiliazione ed enorme frustrazione” derivanti dal conflitto familiare e dalla prospettiva di perdere la casa e il controllo sul figlio.
Non solo: i giudici hanno escluso la premeditazione e l’aver agito con crudeltà, considerando i maltrattamenti “assorbiti” negli omicidi. Una formulazione che solleva dubbi e lascia spazio a interpretazioni pericolose.
Un messaggio devastante
Riconoscere “motivi umanamente comprensibili” per un doppio femminicidio suona come una giustificazione che rischia di normalizzare la violenza domestica. Un segnale inquietante in un Paese dove il femminicidio è un’emergenza quotidiana.
Le denunce di Gabriela e le paure di Renata non sono bastate a salvarle. Ora, il verdetto sembra negare loro persino la giustizia. Un sistema che assolve, in parte, chi uccide per “frustrazione” lascia le vittime e le loro famiglie senza una vera risposta.
L’Italia merita di meglio: un sistema che tuteli le vittime, che riconosca la gravità della violenza di genere e che non conceda attenuanti a chi priva due donne della loro vita. Perché ogni parola spesa per “comprendere” un assassino è un insulto a chi non può più difendersi.