Cronaca Nera
Turetta in aula per la prima volta: «Confesserò per onorare la memoria di Giulia». Il faccia a faccia con il padre e l’app spia
Dopo quasi un anno dall’omicidio di Giulia Cecchettin, Filippo Turetta compare in tribunale. Promette una confessione piena, ma il processo solleva nuovi dettagli inquietanti sul controllo ossessivo esercitato sull’ex fidanzata.

Oggi Filippo Turetta, 22 anni, farà la sua comparsa per la prima volta in un’aula di tribunale. Lo farà in un momento cruciale: la seconda udienza del processo per l’omicidio della sua ex fidanzata Giulia Cecchettin, avvenuto l’11 novembre 2023 a Vigonovo, provincia di Padova. Il caso ha sconvolto l’Italia, e ora, a quasi un anno dal delitto, Turetta affronterà le sue responsabilità davanti alla corte d’Assise di Venezia.
Secondo quanto confermato dal suo avvocato, il professor Giovanni Caruso, Turetta è pronto a parlare. «Confesserà tutto, senza bugie, per onorare la memoria di Giulia», ha dichiarato il legale, facendo intendere che l’imputato risponderà a tutte le domande senza omissioni. Ma cosa racconterà Turetta? E soprattutto, sarà sufficiente la sua confessione per fare chiarezza su un delitto così brutale?
Un delitto premeditato o un raptus di rabbia?
Secondo quanto emerso finora, Turetta ha già descritto la serata dell’omicidio, ammettendo di aver colpito Giulia ripetutamente, prima a pochi passi da casa sua e poi in un luogo più isolato, nella zona industriale di Fossò. Il giovane avrebbe tentato, in extremis, di convincere la ragazza a tornare insieme, ma, di fronte al suo rifiuto, sarebbe stato sopraffatto dalla rabbia. «La coltellata finale è stata all’occhio. Dopo di che, Giulia era come se non ci fosse più», ha confessato. Poi l’ha caricata in auto, coperto di sangue, per un viaggio che si sarebbe concluso vicino al lago di Barcis, in provincia di Pordenone.
Il ruolo della premeditazione, però, è centrale nel processo. La procura contesta a Turetta l’omicidio volontario aggravato dalla premeditazione, dalla crudeltà e dal legame affettivo con la vittima. Oltre all’occultamento del cadavere, il sequestro di persona e il porto d’armi. Secondo l’accusa, Turetta aveva pianificato il delitto dall’inizio di novembre, monitorando Giulia con un’app spia sul telefono, preparando nastro adesivo per legarla, studiando mappe per fuggire e nascondere il corpo.
Turetta respinge l’accusa di premeditazione, ma gli indizi dipingono un quadro inquietante. L’uso dell’app spia, se confermato, rafforza l’ipotesi che il giovane avesse organizzato ogni dettaglio con cura maniacale. «Il pensiero che potesse ferire qualcuno o essere ferito mi ha sbloccato», ha detto la madre di Giulia, che nel suo dolore racconta i sospetti crescenti sul controllo ossessivo che Turetta esercitava sulla ragazza.
Il faccia a faccia con il padre di Giulia
Ma c’è un altro momento che si preannuncia carico di tensione: l’incontro in aula tra Turetta e Gino Cecchettin, il padre di Giulia. Sarà la prima volta che il giovane assassino incrocerà lo sguardo del padre della sua ex fidanzata, che da quel tragico giorno vive con il dolore della perdita. Un momento che potrebbe segnare uno dei passaggi più toccanti e drammatici del processo.
Le app spia: strumenti alla portata di tutti?
Il caso ha anche aperto un dibattito sull’uso di app spia, utilizzate per monitorare il cellulare di un’altra persona. Ma sono davvero alla portata di tutti? Matteo Flora, esperto in sicurezza informatica, spiega: «Le vere app spia sono costose e complesse, ma esistono strumenti più semplici, come le funzioni di tracciamento già presenti su dispositivi Apple o Google». Spesso, bastano pochi accorgimenti per tenere sotto controllo il telefono di un coniuge o di un partner. E proprio queste soluzioni sembrano essere state usate da Turetta per monitorare i movimenti di Giulia.
Un processo rapido, una sentenza vicina
La corte d’Assise di Venezia ha deciso per un processo rapido, con la sentenza prevista per il 3 dicembre. La difesa di Turetta ha scelto il rito immediato per evitare un lungo processo mediatico e consentire al giovane di confessare il crimine senza ulteriori clamori. «Vuole affrontare le sue responsabilità, ma non sarà un processo semplice», ha spiegato il suo legale.
Le prossime udienze, programmate per il 25 e 26 novembre, saranno cruciali per delineare il verdetto. Tuttavia, con la premeditazione contestata e i dettagli inquietanti che emergono dalle indagini, la possibilità di un ergastolo per Turetta sembra sempre più concreta.
In attesa della sentenza, resta il dolore della famiglia Cecchettin, che spera in una giustizia che possa finalmente chiudere il capitolo più doloroso della loro vita.
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Cronaca Nera
Garlasco, il mistero degli otto suicidi: ombre inquietanti sull’omicidio Poggi
Dal 2007 a oggi a Garlasco si sono registrati otto suicidi. Uno dei ragazzi morti, amico di Sempio, poco prima di togliersi la vita pubblicò un inquietante post sui social: “La verità nessuno mai te la racconterà”. Tra le vittime anche un anziano testimone del delitto Poggi, morto in circostanze sospette.

Chiara Poggi avrebbe compiuto 44 anni lunedì 31 marzo, se qualcuno non avesse brutalmente interrotto la sua vita a soli 26 anni. Sono trascorsi diciotto anni da quella tragica mattina, ma il caso Garlasco continua a produrre inquietudine, sospetti e nuovi interrogativi, molti dei quali tutt’altro che secondari.
Mentre la posizione di Andrea Sempio, già archiviata sette anni fa, torna sotto la lente degli investigatori, emerge un’altra pista che sta prendendo forma dietro le quinte delle indagini principali: quella di una scia drammatica e sinistra di otto suicidi avvenuti in paese, a partire proprio dal 2007, anno dell’omicidio. Tra questi casi, secondo quanto riportato dal settimanale “Gente”, alcuni coinvolgono direttamente il giro di conoscenze di Andrea Sempio.
Uno di questi ragazzi, morto impiccato nel 2016, aveva condiviso pochi giorni prima un post inquietante tratto dalla canzone “La Verità” dei Club Dogo, pubblicata proprio nel 2007. Il testo recitava così: “La verità sta nelle cose che nessuno sa, la verità nessuno mai te la racconterà”. Una coincidenza forse casuale, certamente perturbante, che ora cattura l’attenzione degli investigatori.
Ma c’è di più. Tra gli otto suicidi figura anche quello di Giovanni Ferri, pensionato di 88 anni, trovato cadavere il 23 novembre 2010 in via Mulino, morto dissanguato dopo essersi apparentemente tagliato polsi e gola in uno spazio strettissimo, appena 50 centimetri. Gli stessi carabinieri che si occuparono dell’omicidio Poggi archiviarono rapidamente il caso come suicidio, ma tra le voci in paese circolava con insistenza una teoria ben diversa: Ferri avrebbe visto o sentito qualcosa di cruciale la mattina in cui Chiara fu uccisa.
Ad alimentare ulteriormente questa ipotesi c’è la testimonianza, ancora top secret, raccolta recentemente dalla trasmissione televisiva “Le Iene”. Un super testimone avrebbe infatti riferito di aver assistito a un fatto decisivo proprio la mattina del delitto, ma sarebbe stato successivamente messo a tacere quando cercò di raccontare ciò che aveva visto.
Andrea Sempio, dal canto suo, si dice tranquillo e non teme nuovi controlli da parte della Procura. “Non c’è alcun contatto tra me e Chiara, di nessun tipo”, ha dichiarat. Sempio si dice inoltre sereno sull’eventuale ritrovamento di tracce del suo DNA nella casa della vittima, precisando che frequentava regolarmente l’abitazione dei Poggi e che tali tracce, se trovate, sarebbero comunque da ricondurre a oggetti comuni messi a disposizione degli ospiti.
Le indagini dunque proseguono, e l’attenzione degli investigatori si divide ora tra la pista principale, con la revisione della posizione di Sempio, e questo inquietante filone secondario, un mosaico fatto di morti misteriose e coincidenze che rendono il caso ancora più oscuro e difficile da decifrare.
Cronaca Nera
Caso Garlasco, spunta un frammento di tappetino con l’impronta di Stasi: si riapre il giallo
Un frammento del tappetino su cui era stata trovata l’impronta della scarpa di Alberto Stasi torna sotto la lente dopo 18 anni. Si punta a nuove analisi su reperti mai analizzati, tra cui una cannuccia, sacchetti e un barattolo di yogurt. La difesa spera di scagionare Stasi, la Procura indaga su Andrea Sempio.

Diciotto anni dopo l’omicidio di Chiara Poggi, il delitto di Garlasco non c’è solo il DNA di Andrea Sempio a scuotere le certezze sull’omicidio di Chiara Poggi. Un frammento del tappetino del bagno della villetta di via Pascoli — quello su cui, secondo la sentenza definitiva, fu trovata l’impronta della scarpa di Alberto Stasi — è ricomparso tra i reperti custoditi dalla medicina legale dell’Università di Pavia. E ora potrebbe riscrivere un pezzo di quella storia mai del tutto chiusa.
Una novità importante
La novità emerge da una nota allegata alla richiesta della Procura di Pavia di un nuovo incidente probatorio, firmata dai consulenti genetisti Carlo Previderè e Pierangela Grignani. Il tappetino, “reperto n. 27”, non aveva fornito risultati nella prima indagine genetica per problemi tecnici di amplificazione del DNA. Nessuna ulteriore analisi era stata eseguita. Oggi, grazie a tecniche più avanzate, gli esperti ritengono utile “sottoporlo a ulteriore indagine genetica alla luce delle possibilità analitiche attualmente a disposizione”.
Tanti reperti da risaminare
Non solo tappetini. Tra i reperti che la Procura vuole riesaminare compaiono anche una cannuccia trovata in un contenitore di tè freddo, un sacchetto con cereali, involucri di yogurt, plastica da biscotti e persino sacchetti della spazzatura celesti usati per repertare materiale all’epoca. Tutti oggetti recuperati durante il sopralluogo del 16 agosto 2007, conservati a temperatura ambiente in una stanza blindata.
Il maxi elenco comprende anche tamponi salivari, tra cui quello di Alberto Stasi, e un tampone orale prelevato durante l’autopsia sul corpo di Chiara. Quest’ultimo non era mai stato analizzato, e secondo i consulenti potrebbe rivelare la presenza di “substrati biologici differenti rispetto a quelli della vittima”. In altre parole, un DNA estraneo.
La richiesta è legata alle nuove indagini aperte su Andrea Sempio, amico di Chiara Poggi, che nel 2016 era finito sotto i riflettori per alcune incongruenze temporali e tracce genetiche emerse sul computer della vittima. Indagini poi archiviate, ma mai davvero dimenticate. Ora, con l’emersione di nuovi reperti, la Procura punta a verificare ogni possibile pista alternativa. A decidere sarà il giudice per le indagini preliminari Daniela Garlaschelli.
Per la difesa di Alberto Stasi, condannato in via definitiva nel 2015 all’ergastolo, si tratta di un’ultima occasione. I suoi legali avevano già tentato la strada della revisione processuale, finita in un nulla di fatto. Ma la scoperta di reperti mai analizzati riaccende la speranza: se da quel tappetino o da quegli oggetti emergesse un DNA estraneo, potrebbe riaprirsi uno spiraglio.
Resta da vedere se la gip accoglierà la richiesta della Procura. Ma una cosa è certa: nel giallo di Garlasco, ogni volta che sembra scritta la parola fine, la cronaca trova un modo per riaprire il libro. Con nuove domande, vecchie ombre, e il sospetto sempre più evidente che la verità possa essere più sfuggente del previsto.
Cronaca Nera
Strage di Erba cala il sipario giudiziario: la Cassazione chiude la porta alla revisione del processo
I giudici della Cassazione hanno respinto il ricorso presentato dalla difesa dei due ergastolani, chiudendo (per ora) ogni spiraglio. Resta solo la strada della Corte europea dei diritti dell’uomo. Rosa ci sperava, Olindo ci contava

La Corte di Cassazione ha messo oggi il punto definitivo sulla strage di Erba. Non ci sarà alcuna revisione del processo che ha condannato all’ergastolo Olindo Romano e Rosa Bazzi per l’eccidio dell’11 dicembre 2006. I giudici della Suprema Corte hanno infatti respinto il ricorso presentato dalla difesa dei due coniugi contro la decisione della Corte d’appello di Brescia, che nel luglio 2024 aveva già dichiarato inammissibile la richiesta di revisione. Nessuno dei motivi proposti è stato ritenuto fondato.
Sentenza ineccepibile
La sentenza di oggi non entra nel merito della colpevolezza o innocenza degli imputati: la Cassazione, com’è noto, valuta solo il corretto svolgimento del procedimento dal punto di vista formale e giuridico. E secondo la Corte, il lavoro dei giudici bresciani è stato ineccepibile.
Tre istanze respinte
Erano tre le istanze che avevano tentato di riaprire il caso, presentate praticamente in contemporanea: una firmata dal sostituto procuratore generale di Milano Cuno Tarfusser; una dal tutore legale della coppia; e una, la principale, dagli avvocati Fabio Schembri, Nico D’Ascola, Patrizia Morello e Luisa Bordeaux.
Niente nuovi testimoni
Le richieste miravano a ottenere l’audizione di nuovi testimoni, la rivalutazione delle prove scientifiche, la verifica di nuove testimonianze raccolte anche in trasmissioni televisive, il riconsiderare l’attendibilità del supertestimone sopravvissuto Mario Frigerio, e perfino l’apertura di piste alternative legate alla criminalità organizzata.
In pratica: una riscrittura radicale della vicenda per escludere Olindo e Rosa come autori della strage. Ma tutte queste ipotesi sono state bocciate in blocco, senza neppure un’audizione o una nuova perizia.
E oggi la Cassazione ha stabilito che nemmeno il modo in cui è stata respinta la revisione presenta falle procedurali. Una delle contestazioni principali mosse dalla difesa, per esempio, riguardava il fatto che la Corte d’Appello avrebbe formulato un “giudizio”, seppure preliminare, che non era di sua competenza in quella fase. Ma per i giudici romani non c’è stato alcun vizio.
Così, per i due condannati si spegne anche l’ultima speranza giudiziaria italiana. Se non emergeranno nuovi elementi radicalmente innovativi, l’unica strada rimasta è quella che porta alla Corte europea dei diritti dell’uomo, alla quale si può ricorrere per contestare l’equità del processo.
Ancora una volta, Rosa Bazzi sperava in una svolta. Olindo Romano, da Opera, ci contava. Ma la porta si è chiusa. Di nuovo.
La strage di Erba resta una delle pagine più buie e feroci della cronaca italiana. L’11 dicembre 2006, in un appartamento di via Diaz, furono uccise a sprangate e coltellate Raffaella Castagna, suo figlio Youssef di due anni, la nonna Paola Galli e Valeria Cherubini, la vicina dell’ultimo piano che aveva avuto la sfortuna di trovarsi sulle scale. Gli assassini appiccarono anche un incendio, forse per cancellare le tracce.
La testimonianza chiave fu quella di Mario Frigerio, marito di Valeria, sopravvissuto per un’anomalia alla carotide che gli evitò il colpo letale. Per tre gradi di giudizio, le sue parole, le confessioni (poi ritrattate) e le tracce ematiche hanno sostenuto la tesi dell’accusa. Oggi quella tesi resta, definitivamente, incisa nella pietra giudiziaria.
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