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Cronaca

Dietro gli ammiccamenti patinati di OnlyFans… solo sfruttamento, miseria e squallore

Ai microfoni di Giuseppe Cruciani su Radio24, sempre attenta agli argomenti ad alto tasso di prurigine, parla Francesca detta Fralefusa, una 19enne triestina che denuncia un’agenzia con sede in Romania. Ora teme di essere uccisa.

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    “Mi avevano sequestrato tutti gli account e se non facevo come dicevano loro non potevo lavorare su OnlyFans. “Mio padre è un politico a livello nazionale, mi ha aiutata a scappare dalla Romania. Ho dovuto avere rapporti sessuali completi non protetti… dicevano che era meglio per le visualizzazioni dei video”. Queste ed altre scioccanti denunce sono state fatte da una content creator della piattaforma, raccontate con dovizia di particolari durante una puntata della popolare trasmissione radiofonica La Zanzara, condotta da Giuseppe Cruciani e David Parenzo.

    Un’agenzia di stampo mafioso che gestisce parecchi profili

    La ragazza di Trieste – nota con nickname Fralefusa – è un fiume in piena: “Per un mese ho vissuto nella casa del boss dell’agenzia… ero terrorizzata da loro, sono una vera e propria organizzazione mafiosa. Non esco da Only Fans, ma giro con una guardia del corpo”.

    Il lato dark di chi “tira le fila”

    Lei, figlia di un politico italiano di livello nazionale, ha trovato il coraggio di denunciare il lato oscuro delle agenzie che gestiscono i profili OnlyFans, un argomento del quale in passato abbiamo parlato. Francesca è stata protagonista dell’ormai noto “Chinotto Tour” (sul quale per buongusto non entriamo nei dettagli, limitandoci a sottolineare che si tratta di fellatio), ritrovandosi ad essere perseguitata dall’agenzia a cui si era appoggiata per gestire il suo profilo: “Quando ero a scuola ho aperto Only Fans e dopo due mesi sono entrata in questa agenzia con sede in Romania. Mollai la scuola e i miei genitori erano disperati, soprattutto mio padre che è un politico a livello nazionale”.

    Via dall’Italia per evadere le tasse

    “Quando ho cominciato a guadagnare grazie alla piattaforma – prosegue – l’agenzia mi ha comunicato che avrei dovuto trasferirmi in Romania perchè in Italia avrei pagato troppe tasse, così ho deciso di partire”. Aggiungendo: “Con mio padre ci sentiamo poco ma mi ha dato una mano a tornare in Italia per via delle minacce”.

    Una gestione accentrata

    “L’agenzia gestiva tutti i miei canali social, avevano preso le password e gestivano ogni cosa, li considero come una vera e propria organizzazione mafiosa. Sono stata costretta a fare rapporti orali alle persone con la minaccia che se non l’avessi fatto mi avrebbero bloccato i canali e non avrei più lavorato in quel mondo. Sono stata costretta psicologicamente, l’ho dovuto fare anche con chiunque, anche anziani di 70 anni”.

    Il tristemente famoso “Chinotto Tour”, nient’atro che sfruttamento della prosituzione

    “Si basava su uomini che tramite la piattaforma di Only Fans pagavano l’agenzia per avere queste prestazioni. Io non ne ero al corrente. Le prestazioni orali non erano protette e ho dovuto avere anche rapporti sessuali completi, anche questi non protetti. Mi dicevano che era meglio per il video, per una questione di immagine. Però almeno gli facevo fare i controlli a queste persone per le malattie sessualmente trasmissibili, quindi da quel punto di vista sono molto sicura. Tuttavia ero terrorizzata, non ce la facevo più, piangevo dopo i rapporti”.

    In fuga da Bucarest

    Arrivata ad un punto di saturazione, la ragazza decide di scappare per tronare in Italia: “Per un mese ho vissuto a casa del capo di questa agenzia e quando sono scappata ho davvero capito quello che c’era sotto. Con il mio profilo Only Fans in mano ero come prigioniera perché quel profilo era l’unica mia carta di credito. Per fortuna oggi sono riuscita a recuperare i miei soldi”.

    Nonostante tutto… non abbandona OnlyFans

    Conclude: “Temo per la mia vita, ho paura di essere uccisa e infatti giro con la scorta. Credo che su 100 donne almeno 70 sono costrette da queste agenzie che le sfruttano. Nonostante tutto questo comunque continuo a pubblicare contenuti su Only Fans, io non condanno la piattaforma anzi voglio continuare a postare contenuti perché mi piace. Ci ho pensato in un primo momento a lasciare tutto ma sono contenta di non averlo fatto. Spero che queste agenzie, come quella con cui ho avuto a che fare io, vengano regolamentate perché non possono sfruttare persone”.

    I soldi facili: a molti sempre piaciuti

    La seduzione del denare continua a rimanere l’aspetto più allettante. Infatti Francesca ha ccomunque espresso in modo inequivocabile la volontà di proseguire nel suo “lavoro”. Ma le piace davvero – come dice ai microfoni de La Zanzara – o le piacciono i soldi facili?!? Su OnlyFans non servono titoli di studio o skills professionali particolari: solo qualche dotazione per la quale ringraziare Madre Natura.

      Mondo

      Musk e il super stipendio da 56 miliardi: il giudice lo blocca e lui non la prende bene

      La corte del Delaware conferma l’eccesso del premio votato dagli azionisti di Tesla: “Un procedimento viziato e ingiusto”. Musk reagisce su X, ma il suo patrimonio resta astronomico

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        Una decisione clamorosa scuote Tesla e il suo carismatico Ceo Elon Musk. La giudice Kathaleen McCormick, 45 anni, esperta in diritto societario e laureata ad Harvard, ha bloccato definitivamente il super bonus da 56 miliardi di dollari che Musk avrebbe dovuto ricevere per il suo ruolo nella compagnia. Un pacchetto che, secondo la sentenza della Court of Chancery del Delaware, rappresenta una “retribuzione eccessiva e ingiusta” per gli azionisti.

        Una vicenda iniziata nel 2018

        Il premio da record era stato introdotto nel 2018, quando il consiglio di amministrazione di Tesla, fortemente influenzato da Musk, aveva approvato un pacchetto bonus basato sul raggiungimento di determinati obiettivi aziendali. Tuttavia, alcuni azionisti avevano portato il caso in tribunale, denunciando la scarsa imparzialità del board e il peso eccessivo del magnate sudafricano nelle decisioni.

        Nel gennaio scorso, McCormick aveva definito il bonus “frutto di un procedimento viziato”, bloccandolo e ordinando una nuova votazione. Spaventati dalla possibilità che Musk lasciasse Tesla, gli azionisti avevano approvato a stragrande maggioranza il pacchetto, questa volta con il pagamento in azioni. A giugno, Musk aveva celebrato la vittoria, ma il suo entusiasmo si è infranto contro la sentenza definitiva della stessa giudice, che ha confermato il blocco del compenso.

        La reazione di Musk: “Decidono gli azionisti, non i giudici”

        Elon Musk non ha nascosto la sua delusione, esprimendola su X, la piattaforma da lui acquistata e ribrandizzata. “Sono gli azionisti a decidere, non i giudici”, ha scritto, rilanciando un post di Tesla che ribadiva come il premio fosse stato approvato due volte dai titolari di azioni. L’azienda ha annunciato che farà appello contro la decisione, definita “sbagliata”.

        Il post è stato visualizzato da milioni di utenti, scatenando la reazione dei fan del magnate, che hanno attaccato la magistratura e la giudice McCormick con commenti al vetriolo. “I giudici prevenuti sono la piaga della società”, ha scritto un utente, mentre altri l’hanno definita “corrotta” e “usurpatrice”.

        Musk, patrimonio stellare ma non immune a critiche

        Nonostante lo stop al bonus, Elon Musk rimane saldamente l’uomo più ricco del mondo. Il suo patrimonio, secondo Forbes, si attesta a 336,8 miliardi di dollari, grazie al valore azionario di Tesla e alle sue altre imprese, tra cui SpaceX. Se avesse incassato il premio da 56 miliardi, Musk si sarebbe avvicinato alla soglia record dei 400 miliardi.

        Tesla, intanto, ha registrato una perdita dell’1,2% nel mercato post-chiusura, chiudendo la giornata a 357 dollari per azione. Tuttavia, la compagnia resta tra le più influenti nel settore dei veicoli elettrici, con Musk al centro della strategia e dell’immagine aziendale.

        Un caso destinato a lasciare il segno

        Il blocco del super bonus di Musk rappresenta un precedente importante nel mondo del diritto societario e della governance aziendale. La sentenza mette in discussione l’equilibrio tra i diritti degli azionisti e il potere dei dirigenti, sollevando interrogativi sulla trasparenza e sull’equità nei processi decisionali delle grandi compagnie.

        Per Elon Musk, invece, è un capitolo amaro di una carriera segnata da trionfi e controversie. E mentre Tesla si prepara a un nuovo round giudiziario, il dibattito sulla giustizia e sull’etica nella gestione delle imprese continua a far discutere.

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          Storie vere

          “Non voglio andare in paradiso oggi”: la drammatica supplica di una bambina al padre armato

          Il rapimento, le minacce e lo scontro armato: un caso sconvolgente che ha lasciato una bambina salva ma profondamente segnata. La famiglia chiede aiuto per affrontare il trauma.

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            Una storia da brividi che avrebbe potuto concludersi in tragedia, ma che, pur con un epilogo drammatico, ha permesso di salvare la vita di una bambina innocente. Oaklynn Alexander, 7 anni, è sopravvissuta al rapimento e alle minacce di morte del padre non affidatario, Charles Ryan Alexander, 43 anni, grazie all’intervento tempestivo della polizia.

            L’incubo è iniziato l’11 novembre nella contea di Jefferson, in Ohio orientale, quando Charles ha rapito Oaklynn dalla casa della nonna, dove viveva con la madre. L’uomo, armato e in fuga, ha contattato i servizi di emergenza, esprimendo il suo desiderio di parlare con la madre della bambina. «Voglio parlare con sua madre. Se stai ascoltando, Ashley, avresti dovuto chiamarmi», ha dichiarato durante una conversazione registrata.

            Il contenuto dell’audio, diffuso dalla polizia, rivela anche la drammatica supplica di Oaklynn: «Non voglio andare in paradiso oggi», ha implorato la bambina, terrorizzata dalla minaccia del padre. L’uomo ha risposto con una giustificazione che ha gelato gli agenti: «Nemmeno io volevo che succedesse. Volevo solo parlare con tua madre».

            Le forze dell’ordine, intervenute rapidamente, hanno messo in atto una manovra per sgonfiare le ruote della vettura in fuga. Il confronto si è concluso con uno scontro a fuoco durante il quale Charles Ryan Alexander è rimasto ucciso. Oaklynn, miracolosamente illesa, è stata riconsegnata sana e salva alla sua famiglia, ma ha assistito all’uccisione del padre, un evento che segnerà profondamente la sua vita.

            Un portavoce della polizia ha descritto l’intervento come «necessario per salvare una vita». L’audio dell’operatore del 911 evidenzia il tentativo di evitare il peggio: «So che non volevi fare del male a tua figlia e non volevi che andasse così. Non facciamo nulla che non possiamo annullare». Tuttavia, le circostanze hanno portato a un epilogo drammatico.

            Oaklynn è ora affidata alla madre e alla famiglia, che dovranno affrontare un lungo percorso di supporto psicologico per superare questo momento traumatico. Nel frattempo, un amico di famiglia ha lanciato una raccolta fondi su GoFundMe per garantire il sostegno necessario alla bambina e consentire alla madre di prendersi una pausa dal lavoro per occuparsi di lei.

            Questa vicenda sconvolgente è un promemoria del potenziale devastante dei conflitti familiari irrisolti, in cui il dolore e la disperazione possono trasformarsi in tragedie. La piccola Oaklynn è salva, ma l’impatto emotivo di questa esperienza richiederà un lungo processo di guarigione.

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              Cronaca Nera

              Ergastolo per Filippo Turetta: i giudici decidono la pena massima per l’omicidio di Giulia Cecchettin

              Dopo un processo con rito abbreviato, il caso che ha scosso l’Italia si conclude con la sentenza più dura. Decisivi il memoriale dell’imputato e la requisitoria del pm.

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                Il processo a Filippo Turetta, accusato dell’omicidio volontario della ex fidanzata Giulia Cecchettin, si è concluso con una condanna all’ergastolo. La sentenza, emessa dai giudici del tribunale di Venezia, è arrivata al termine di un procedimento in cui l’accusa ha dimostrato una premeditazione brutale, mentre la difesa ha chiesto invano il riconoscimento delle attenuanti generiche.

                Un delitto pianificato con crudeltà

                Turetta, reo confesso, era accusato di un omicidio aggravato da premeditazione, crudeltà, efferatezza, stalking e occultamento di cadavere. Secondo la ricostruzione del pm Andrea Petroni, l’imputato aveva preparato il delitto con meticolosità, stilando una lista di oggetti da acquistare e studiando le mappe dell’area per nascondere il corpo e fuggire.

                La requisitoria del pm, pronunciata il 25 novembre durante la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, aveva sottolineato l’evidenza della premeditazione: «È stata pianificata con azioni preparatorie quotidiane, in un rapporto costante con la persona offesa. Mi sembra difficile trovare una premeditazione più provata di questa».

                La dinamica dell’omicidio

                Durante il processo, Turetta ha ricostruito in aula l’omicidio avvenuto l’11 novembre. Nel memoriale di 80 pagine presentato dalla difesa, ha descritto con vaghezza e contraddizioni il momento del delitto: «Non ricordo bene, ma devo essermi girato a colpirla mentre eravamo in macchina. Forse le ho dato almeno un colpo sulla coscia, tirando colpi a caso».

                Turetta ha ammesso di aver coperto il corpo della vittima per evitare che fosse trovato in quelle condizioni. Ha anche dichiarato di aver tentato il suicidio subito dopo, senza successo: «Ho provato a uccidermi con un sacchetto di plastica in testa, ma non ci sono riuscito».

                La difesa invoca l’emotività dell’imputato

                Gli avvocati della difesa, Giovanni Caruso e Monica Cornaviera, hanno cercato di ottenere attenuanti generiche, sostenendo che Turetta avesse agito in preda a un’alterazione emotiva. «Filippo Turetta merita le attenuanti generiche», ha dichiarato Cornaviera, definendo il giovane come «un ragazzo che ha commesso un atto efferato, privando una ragazza meravigliosa dei suoi sogni e delle sue speranze».

                Tuttavia, i giudici hanno ritenuto prevalenti le aggravanti contestate nel capo di imputazione, confermando la linea dell’accusa e condannando l’imputato alla pena massima.

                Una sentenza simbolo

                Il caso ha profondamente colpito l’opinione pubblica italiana, diventando un simbolo della lotta contro la violenza di genere. La famiglia di Giulia Cecchettin, presente durante il processo, ha accolto la sentenza con commozione, sottolineando l’importanza di un verdetto che rende giustizia alla memoria della giovane.

                Il processo, iniziato con rito abbreviato il 23 settembre 2024, si è concluso rapidamente, ma ha lasciato una ferita aperta nella società italiana, ricordando ancora una volta l’urgenza di combattere la violenza contro le donne.

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