Cronaca
Dietrofront in Vaticano: via kefiah e bambinello dal presepe palestinese, è polemica
La kefiah e la culla spariscono dal presepe nell’aula Paolo VI dopo le critiche di esponenti del mondo ebraico sulla “palestinizzazione di Gesù”. La scelta alimenta il dibattito su religione e politica.
Un presepe donato dalla città di Betlemme e allestito nell’aula Paolo VI in Vaticano è al centro di una controversia che intreccia fede e politica. Il presepe, realizzato da artigiani palestinesi, è stato modificato in seguito a polemiche sollevate da alcuni esponenti del mondo ebraico. Al centro della disputa, il simbolismo legato alla kefiah che rivestiva la culla del Bambinello, ritenuto un simbolo politico più che religioso, e la “palestinizzazione di Gesù” implicita nella rappresentazione.
Ieri mattina, alla vigilia dell’udienza generale, il presepe è apparso privo del Bambinello e della culla decorata con il drappo evocativo della kefiah. La scelta non è passata inosservata, soprattutto perché il Papa stesso è stato immortalato in una fotografia mentre sostava davanti alla scena spogliata del suo elemento centrale. Lo scatto è stato pubblicato dai media vaticani e condiviso sul profilo Instagram di papa Francesco, suscitando reazioni immediate.
La posizione del Vaticano
La sala stampa vaticana ha cercato di smorzare la polemica, dichiarando che la rimozione del Bambinello è conforme alla tradizione: “Il Bambinello sarà collocato nel presepe nella notte tra il 24 e il 25 dicembre”. Tuttavia, l’assenza della kefiah, elemento che aveva attirato critiche nei giorni scorsi, non è stata giustificata.
La kefiah, simbolo tradizionale della cultura palestinese, è spesso associata a rivendicazioni politiche, e alcuni esponenti del mondo ebraico hanno definito la sua presenza nel presepe come una “strumentalizzazione politica” inappropriata in un contesto religioso. Hanno inoltre criticato la presunta “palestinizzazione di Gesù”, affermando che questa rappresentazione si discosta dalla tradizione religiosa cristiana.
Le reazioni
La decisione del Vaticano ha scatenato un acceso dibattito. Da una parte, c’è chi sostiene che la scelta di rappresentare il presepe con elementi culturali palestinesi sia un atto di inclusione e di riconoscimento della terra in cui è nato Gesù. Dall’altra, ci sono critiche che vedono nell’operazione un atto divisivo, in grado di politicizzare un simbolo religioso universale.
“Non si può dimenticare che Gesù è nato in Palestina e che la kefiah è un simbolo della cultura di quella terra,” ha affermato un sostenitore dell’iniziativa. Altri, invece, hanno espresso soddisfazione per la rimozione, ritenendola una scelta necessaria per preservare la neutralità del messaggio religioso.
Una scelta inevitabile?
Questo presepe, donato dalla città di Betlemme, doveva essere un simbolo di pace e di fratellanza tra i popoli, ma si è trasformato in un terreno di scontro. Mentre il Vaticano cerca di minimizzare, la vicenda continua ad alimentare un dibattito più ampio sul confine tra religione e politica, su come rappresentare la figura di Gesù e sul significato universale del Natale.
In attesa che il Bambinello trovi il suo posto nella notte di Natale, il presepe dell’aula Paolo VI resta un simbolo di divisione, anziché di unità.