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Anno scolastico 2024/2025. Forse non ve ne siete accorti ma siamo tutti coinvolti

Famiglie, studenti e personale scolastico iniziano il nuovo anno affrontando molte novità dal punto di vista didattico e organizzativo. Siamo tutti coinvolti.

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    Con l’inizio del nuovo anno scolastico 2024/2025, sono molte le novità che riguardano famiglie, studenti e soprattutto il personale scolastico. Si va dalla riforma degli istituti tecnici alla creazione dei campus, fino al nuovo voto in condotta e al divieto dell’uso del cellulare in classe. Ecco i principali cambiamenti.

    Istituti Tecnici: una riforma molto attesa

    La riforma degli Istituti Tecnici Professionali coinvolgerà circa 150 scuole. La nuova formula “4+2” riduce il percorso scolastico a 4 anni, seguiti da un biennio di specializzazione presso gli ITS (Istituti Tecnici Superiori), con l’obiettivo di formare tecnici altamente qualificati in grado di rispondere alle esigenze del mondo industriale. Una novità è l’impiego di docenti esterni provenienti dalle imprese, per garantire una formazione pratica e specializzata.

    Istituzione dei campus

    Per favorire l’integrazione dell’offerta formativa, vengono istituiti i “campus”. Si tratta di poli tecnico-professionali che riceveranno 10 milioni di euro nel 2024 e 5 milioni di euro annui fino al 2026. I campus mirano a rafforzare la connessione tra istruzione e mondo del lavoro.

    Rapporto scuola-famiglia

    Per semplificare la comunicazione tra scuole e famiglie, è stata istituita la piattaforma digitale “ComUnica“, che automatizzerà e velocizzerà lo scambio di documenti e informazioni, senza aggravare il lavoro delle segreterie scolastiche.

    Via il cellulare dalle classi

    Una delle novità più rilevanti riguarda gli studenti. E’ vietato l’uso del cellulare in classe, anche per fini educativi. Rimane possibile l’uso di dispositivi digitali solo sotto il controllo diretto dei docenti, o nei casi specifici previsti dai PEI (Piano Educativo Individualizzato) e PDP (Piano Didattico Personalizzato) per alunni con disabilità o disturbi specifici dell’apprendimento.

    Il ritorno della condotta. Era ora

    Si attende l’entrata in vigore, tra ottobre e novembre 2024, della riforma del voto in condotta. L’obiettivo è responsabilizzare gli studenti e ristabilire il rispetto in ambito scolastico. La riforma prevede interventi educativi specifici e, nei casi più gravi, la possibilità di bocciatura.

    Quel sostegno che troppo spesso viene a mancare

    Il decreto 71/2024 introduce nuovi percorsi di specializzazione per i docenti di sostegno. Oltre ai corsi da 60 CFU organizzati dalle Università, fino al 31 dicembre 2025 saranno disponibili percorsi di 30 CFU offerti da INDIRE. Per garantire la continuità didattica agli alunni disabili, sarà possibile confermare docenti a tempo determinato su indicazione delle famiglie.

    Docenti tutor e collaboratori

    Viene confermata la figura del docente tutor orientatore, che guiderà studenti e famiglie nella scelta del percorso di studio più adeguato. Inoltre, è stata avviata una formazione volontaria triennale per i docenti che collaborano nella gestione della scuola. Questo programma potrebbe rappresentare l’avvio del “middle management” nelle scuole italiane.

    Il ritorno dell’educazione civica. Ce la farà…?

    Infine, si attende il testo definitivo delle linee guida sull’insegnamento dell’educazione civica, che promuoverà valori fondamentali come il rispetto dei diritti umani, la solidarietà, l’educazione ambientale, la sicurezza stradale e l’uso responsabile delle tecnologie digitali.

      Cronaca

      SPECIALE CRONACA: Ennesimo assalto al pronto soccorso. Così la Sanità italiana è scesa in trincea…

      Negli ultimi mesi, le aggressioni ai danni del personale sanitario sono aumentate in maniera allarmante in tutta Italia, trasformandosi in una vera e propria emergenza nazionale.

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      Assalto al pronto soccorso. Sanità italiana in trincea

        Ormai non passa giorno che un ospedale, un pronto soccorso o uno studio privato diventino campi di battaglia per atti di violenza contro medici, infermieri e impiegati sanitari. E’ una vera e propria escalation quella registrata nei mesi scorsi. L’ultima in ordine di tempo è accaduto nel reparto di psichiatria dell’Ospedale San Maurizio di Bolzano da parte di un 57enne, incensurato, in cura in passato nello stesso reparto, che si è scagliato con un coltello da cucina contro uno dei dottori in servizio e, dopo aver abbandonato il coltello per terra, è scappato. Per essere subito dopo rintracciato e denunciato in stato di libertà per lesioni volontarie aggravate.

        Quella di ieri nel capoluogo altoatesino è stata solo l’ultima aggressione a medici e infermieri. Qualche giorno fa le cronache ci hanno raccontato l’episodio che ha interessato l’ospedale Jazzolino di Vibo Valentia da mesi teatro di attacchi e violenze da parte di pazienti e loro famigliari ai danni degli operatori sanitari.

        Vibo Valentia: l’esercito a guardia dell’ospedale

        Di fronte all’escalation di aggressioni, il prefetto del capoluogo calabrese Paolo Giovanni Grieco ha deciso di intervenire in modo deciso disponendo la presenza di militari dell’Esercito all’interno della struttura nell’ambito dell’operazione “strade sicure” avviata da tempo in tutta Italia. Si tratta di una misura eccezionale adottata per garantire la sicurezza dei medici e degli infermieri e scoraggiare ulteriori atti di violenza. Sempre in Calabria, ma questa volta a Reggio, lo scorso venerdì un paziente che pretendeva di essere visitata immediatamente ha aggredito una dottoressa del Pronto Soccorso del Grande Ospedale Metropolitano. Una situazione insostenibile che sta ricalcando la strada di violenza percorsa lo scorso anno quando i casi registrati sono stati oltre 16mila.

        Medici che lasciano il posto di lavoro

        Secondo il rapporto dell’Osservatorio Nazionale sulla Sicurezza, lo scorso anno 123 operatori sanitari sono stati vittime di aggressioni. Medici e infermieri sono i più colpiti, soprattutto nei pronto soccorso, nei servizi psichiatrici e nelle aree di degenza. Aggressioni che, sempre secondo l’Osservatorio, mettono a rischio la sicurezza dei professionisti e compromettono la qualità dell’assistenza ai pazienti. Inoltre molti medici che si sentono minacciati rischiano di abbandonare e lasciare la loro attività per trasferirsi in altre strutture lontano dai territori dove si manifestano con più facilità atti violenza.

        Dal Sud al Nord e viceversa una sequenza di attacchi e abbandoni

        Aggressioni e abbandoni sono ormai all’ordine del giorno in tutte le regioni d’Italia. Esemplare l’ultimo caso che ha coinvolto la dottoressa Maria Laura Riggi alla quale sono bastati sei mesi trascorsi tra i pazienti dell’ambulatorio di Giavera del Montello, in provincia di Treviso, per decidere di cambiare sede e trasferirsi a Volpago, dicendo addio ai suoi assistiti. L’ex oncologa ha spiegato la sua scelta in maniera un po’ortodossa ma assai efficace dal punto di vista mediatico. Ha affisso un cartello scritto a mano in cui riporta tutta una serie di aneddoti che l’avrebbero spinta ad andarsene. Dall’inseguimento fino alla sua macchina con una catena d’acciaio lunga tre metri, alle minacce di essere colpita con l’acido, e infine alle minacce di morte con frasi discriminatorie legate alla sua origine meridionale.

        Un fenomeno allarmante e difficile da arginare

        Poco prima dei fatti di Vibo Valentia durante questi ultime settimane estive abbiamo assistito inermi all’assalto del reparto di oncologia del Policlinico di Foggia. Un gruppo di persone, tra cui i familiari di un paziente deceduto, ha assaltato e distrutto letteralmente gran parte del reparto costringendo il personale a barricarsi in una stanza in attesa che la Polizia svolgesse il suo compito: ristabilire l’ordine e soprattutto fermare i colpevoli. Alcune ore prima campo di battaglia era stata Nocera, in provincia di Salerno, dove una dottoressa del Pronto Soccorso dell’ospedale Umberto I è stata aggredita fisicamente da una paziente e da un suo familiare. Pochi giorni prima a Caserta un uomo aveva aggredito l’autista di un’ambulanza e danneggiato il mezzo, minacciando anche il personale della guardia medica.

        Risalendo verso Nord anche l’ospedale di Pescara è stato al centro di un episodio sconcertante. Un gruppo di persone ha invaso il reparto di oncologia, devastando la struttura e minacciando il personale. Anche Genova è stata testimone di due distinti episodi. Questa volta a essere coinvolti sono stati gli infermieri dell’ospedale Galliera e di Villa Scassi, aggrediti rispettivamente da un senza fissa dimora e da un paziente.

        Le ragioni di questa violenza sono diverse

        Oltre ai decessi repentini e non prevedibile di un proprio congiunto, tra i principali motivi all’origine di episodi di violenza sono il sovraffollamento e le lunghe attese. Infatti la crescente pressione sulle strutture sanitarie, dovuta al sovraffollamento dei pronto soccorso e alle lunghe liste d’attesa, genera frustrazione e aggressività tra pazienti e familiari. A queste cause si aggiunge la carenza di personale sanitario che fa aumentare il carico di lavoro degli operatori, rendendo gli stessi più vulnerabili allo stress e all’esaurimento. Da non sottovalutare, inoltre, un cambiamento culturale che si sta lentamente manifestando in tutta la società. Da una parte la perdita di rispetto per le figure professionali dall’altra la diffusione di comportamenti antisociali. Insieme questi due fenomeni contribuiscono a creare un clima di tensione e violenza.

        A testimonianza di come questa escalation di violenza negli ospedali è una grave minaccia per il nostro sistema sanitario, stiamo assistendo a un ulteriore deterioramento della qualità dell’assistenza e a una carenza sempre più grave di personale.

        Le prime conseguenze delle aggressioni

        Le continue aggressioni stanno portando molti sanitari a lasciare il lavoro a causa del clima di insicurezza. Inoltre si assiste a un continuo peggioramento della qualità dell’assistenza garantita. E’ un gatto che si morde la coda. Le aggressioni creano un clima di tensione che a sua volta incide negativamente sulla qualità dell’assistenza fornita ai pazienti. Le strutture sanitarie, inoltre, sono costrette a sostenere costi aggiuntivi per la gestione delle emergenze con la sostituzione del personale e il miglioramento delle misure di sicurezza.

        Come si potrebbe intervenire

        Da più parti si chiede di aumentare le pene per chi si macchia di atti violenti contro strutture ospedaliere e personale sanitario. A questo proposito si è tenuto l’incontro tra il ministro della Salute Orazio Schillaci e gli Ordini professionali sanitari per annunciare nuove misure in tema di aggressioni al personale. Secondo il ministro “Lo strumento più utile per cercare di combattere questo fenomeno inaccettabile è introdurre sempre l’arresto in flagranza di reato anche differito”. Nei prossimi giorni su questi argomenti si terrà anche un incontro con i sindacati di categoria. Inoltre il ministro Schillaci ha incontrato il ministro degli Interni Matteo Piantedosi, per chiedere ulteriori aumenti dei posti di polizia negli ospedali. “Si devono trovare rapidamente strumenti per contrastare questo fenomeno inaccettabile “, ha ribadito Schillaci “e poi ci vuole un cambio di marcia culturale“.

        E c’è chi propone anche la Daspo per i pazienti violenti

        Ovvero sospendere la gratuità dell’assistenza sanitaria per tre anni a chi aggredisce il personale medico e paramedico. Una proposta avanzata dal medico Salvatore La Gatta e supportato anche da una petizione su change.org. Una risposta forte, come avviene per i tifosi più facinorosi che frequentano gli stadi di calcio. Sembrerebbe una buona soluzione per contrastare i molteplici episodi di violenza senza fine che punta a proteggere chi lavora in condizioni difficili e spesso senza adeguata tutela.

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          Cronaca

          Atenei, quanto costano quelli tradizionali e quanto quelli telematici

          Una crescita degli atenei privati telematici significa un minor costo complessivo – per la comunità – per ogni studente. Inoltre aiuterebbe a ridurre l’esorbitante prelievo fiscale che grava su imprese, famiglie e lavoratori.

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            Il confronto tra gli atenei tradizionali e quelli telematici in termini di costi per i contribuenti solleva questioni importanti sul finanziamento dell’istruzione superiore in Italia.

            Per lo Stato il costo per singolo studente nelle università telematiche è di 12,5 euro

            Secondo i dati riportati da Aurelio Mustacciuoli di Free Academy, gli studenti delle università statali tradizionali costano allo Stato molto di più rispetto a quelli delle università telematiche. Ogni studente di un’università statale tradizionale costa al contribuente circa 5.701 euro l’anno diversamente dal costo annuo di uno studente delle università private di solo 195 euro. Il divario diventa più evidente quando si considerano gli atenei telematici. In questi casi lo studente grava sullo Stato per soli 12,5 euro all’anno.

            Le telematiche contribuiscono di più alle entrate fiscali

            Le università telematiche contribuiscono comunque alle entrate fiscali dello Stato in maniera maggiore rispetto alle altre. Ad esempio, il gruppo universitario Multiversity, controllato dal fondo CVC Capital Partners, che include atenei come Unipegaso, Mercatorum e San Raffaele Roma, nel 2022 ha versato 43 milioni di euro in imposte dirette.

            Serve maggiore diversificazione

            Ma quindi per lo Stato le università telematiche sarebbero più convenienti rispetto alle altre? E ancora quanto è efficace il sistema attuale di finanziamento dell’istruzione superiore in Italia. Forse sarebbe il caso di promuovere una maggiore presenza di atenei telematici. Una maggiore diversificazione nell’offerta formativa potrebbe da una parte ridurre i costi complessivi per gli studenti e per lo Stato. E soprattutto alleggerire il carico fiscale sulle imprese, sulle famiglie e sui lavoratori.

            Ancora pochi soldi per lo studio

            Anche se l’Italia è tra gli ultimi Paesi europei per numero di laureati (in Europa solo la Romania ha risultati peggiori), il comparto universitario pesa ancora troppo all’interno del bilancio pubblico. Secondo l’ultimo rapporto dell’Anvur (Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca), il Fondo per il finanziamento ordinario delle università è di 9,205 miliardi di euro. Una cifra che copre più dei due terzi delle necessità degli atenei statali. Ma di questa somma, soltanto lo 0,73% (68 milioni di euro) è destinato alle università non statali, sia tradizionali sia telematiche.

            Tipo ateneo a.a. 2022/23 %
            Statale (tradizionale) 1.537.074 studenti 80,5%
            Non statale (tradizionale) 121.269 studenti 6,35%
            Non statale (telematico) 251.017 studenti 13,15%
            Totale 1.909.360 studenti 100%
            Fonte: Mur (Ministero dell’Università e della Ricerca)

            Uno spot per le università Telematiche

            Quindi una crescita degli atenei privati telematici, la cui retta è inferiore al costo che ogni studente comporta per le casse statali, condurrebbe a un minor costo complessivo per ogni studente. E aiuterebbe anche a ridurre l’esorbitante prelievo fiscale che grava sulle imprese, sulle famiglie e sui lavoratori.

            Secondo Mustacciuoli, lo studente tradizionale costa allo Stato 5.701 euro soltanto per l’Ffo, mentre ognuno degli oltre 144 mila studenti di Unipegaso, Mercatorum e San Raffaele Roma (anno accademico 2022-23) porta alle casse statali 331 euro. Cifre che devono far riflettere.

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              Italia

              Patente, cos’è la “sospensione breve”

              La misura della “sospensione breve” della patente contenuta nell’articolo 218-ter che, scatta nei confronti di chi viene identificato al momento della violazione.

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                La misura della “sospensione breve” della patente contenuta nell’articolo 218-ter che, scatta nei confronti di chi viene identificato al momento della violazione.

                Se passi col rosso te la sospendo

                Viene adottata nel percorre un senso vietato, nel divieto di sorpasso, mancata precedenza, attraversamento con semaforo rosso. E ancora per il mancato rispetto dell’alt di un agente del traffico, il mancato rispetto delle regole sui passaggi a livello, sorpasso a destra, sorpasso vietato. Inoltre nel mancato rispetto della distanza di sicurezza tra veicoli che abbia provocato un sinistro con grave danno ai veicoli tale da determinare la revisione.

                Attenzione a quell’inversione

                Nel divieto di inversione di marcia in alcune specifici casi, per il mancato o irregolare uso del casco a bordo di ciclomotori e motoveicoli; mancato o irregolare uso dei sistemi di sicurezza per i seggiolini dei bambini. E dei dispositivi anti abbandono. Inoltre per l’uso del cellulare o di altri apparecchi durante la guida; retromarcia sulle autostrade o strade extraurbane principali, anche sulla corsia di emergenza.

                Precedenze, luci e triangolo

                Il mancato rispetto della corsia di accelerazione e mancata precedenza sulle autostrade o strade extraurbane principali; mancato rispetto del divieto di sosta o fermata, sulle autostrade o strade extraurbane principali. Si sospende per il mancato uso luci prescritte durante la sosta, su autostrade o strade extraurbane principali. E per la mancata collocazione del triangolo per veicolo fermo, su autostrade o extraurbane principali.

                Sempre attenti al tasso alcolico

                Patente sospesa per la guida dopo aver assunto bevande alcoliche, con tasso inferiore a 0,5 g/l per conducenti cui è imposto in “tasso zero” e nella mancata precedenza ai pedoni. Per i trasportatori è prevista in diversi casi. Per il superamento di oltre il 20% del periodo di guida giornaliero massimo, o del tempo minimo di riposo, su autoveicoli adibiti al trasporto di persone o cose. E inoltre nel superamento di oltre il 20% del periodo di guida settimanale massimo, o del tempo minimo di riposo, su autoveicoli per il trasporto di persone o cose. I trasgressori che non vengono fermati immediatamente, invece, eviteranno l’applicazione della misura.

                Ma quanto dura la sospensione breve?

                Bisogna incrociare periodo di sospensione al numero di punti presenti sulla patente. Più è basso il numero relativo ai punti, maggiore sarà il periodo di sospensione. Chi ha meno di 10 punti sulla patente, avrà una sospensione di 15 giorni. La sospensione si riduce a una settimana se i punti vanno da 10 a 19.

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