Cronaca
Atenei, quanto costano quelli tradizionali e quanto quelli telematici
Una crescita degli atenei privati telematici significa un minor costo complessivo – per la comunità – per ogni studente. Inoltre aiuterebbe a ridurre l’esorbitante prelievo fiscale che grava su imprese, famiglie e lavoratori.

Il confronto tra gli atenei tradizionali e quelli telematici in termini di costi per i contribuenti solleva questioni importanti sul finanziamento dell’istruzione superiore in Italia.
Per lo Stato il costo per singolo studente nelle università telematiche è di 12,5 euro
Secondo i dati riportati da Aurelio Mustacciuoli di Free Academy, gli studenti delle università statali tradizionali costano allo Stato molto di più rispetto a quelli delle università telematiche. Ogni studente di un’università statale tradizionale costa al contribuente circa 5.701 euro l’anno diversamente dal costo annuo di uno studente delle università private di solo 195 euro. Il divario diventa più evidente quando si considerano gli atenei telematici. In questi casi lo studente grava sullo Stato per soli 12,5 euro all’anno.
Le telematiche contribuiscono di più alle entrate fiscali
Le università telematiche contribuiscono comunque alle entrate fiscali dello Stato in maniera maggiore rispetto alle altre. Ad esempio, il gruppo universitario Multiversity, controllato dal fondo CVC Capital Partners, che include atenei come Unipegaso, Mercatorum e San Raffaele Roma, nel 2022 ha versato 43 milioni di euro in imposte dirette.
Serve maggiore diversificazione
Ma quindi per lo Stato le università telematiche sarebbero più convenienti rispetto alle altre? E ancora quanto è efficace il sistema attuale di finanziamento dell’istruzione superiore in Italia. Forse sarebbe il caso di promuovere una maggiore presenza di atenei telematici. Una maggiore diversificazione nell’offerta formativa potrebbe da una parte ridurre i costi complessivi per gli studenti e per lo Stato. E soprattutto alleggerire il carico fiscale sulle imprese, sulle famiglie e sui lavoratori.
Ancora pochi soldi per lo studio
Anche se l’Italia è tra gli ultimi Paesi europei per numero di laureati (in Europa solo la Romania ha risultati peggiori), il comparto universitario pesa ancora troppo all’interno del bilancio pubblico. Secondo l’ultimo rapporto dell’Anvur (Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca), il Fondo per il finanziamento ordinario delle università è di 9,205 miliardi di euro. Una cifra che copre più dei due terzi delle necessità degli atenei statali. Ma di questa somma, soltanto lo 0,73% (68 milioni di euro) è destinato alle università non statali, sia tradizionali sia telematiche.
Tipo ateneo a.a. 2022/23 %
Statale (tradizionale) 1.537.074 studenti 80,5%
Non statale (tradizionale) 121.269 studenti 6,35%
Non statale (telematico) 251.017 studenti 13,15%
Totale 1.909.360 studenti 100%
Fonte: Mur (Ministero dell’Università e della Ricerca)
Uno spot per le università Telematiche
Quindi una crescita degli atenei privati telematici, la cui retta è inferiore al costo che ogni studente comporta per le casse statali, condurrebbe a un minor costo complessivo per ogni studente. E aiuterebbe anche a ridurre l’esorbitante prelievo fiscale che grava sulle imprese, sulle famiglie e sui lavoratori.
Secondo Mustacciuoli, lo studente tradizionale costa allo Stato 5.701 euro soltanto per l’Ffo, mentre ognuno degli oltre 144 mila studenti di Unipegaso, Mercatorum e San Raffaele Roma (anno accademico 2022-23) porta alle casse statali 331 euro. Cifre che devono far riflettere.
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Mondo
Pasqua con Vance: il vice di Trump sbarca a Roma e agita Palazzo Chigi
Visita programmata tra il 18 e il 20 aprile. Meloni disponibile all’incontro, Salvini rivendica il rapporto diretto, Tajani frena: la diplomazia italiana si ritrova a fare i conti con l’attivismo elettorale made in USA.

La visita non è ancora confermata ufficialmente, ma i motori della diplomazia si sono già accesi. Secondo quanto riportato da Bloomberg, il vicepresidente degli Stati Uniti JD Vance starebbe programmando un viaggio in Italia tra il 18 e il 20 aprile, in concomitanza con il weekend di Pasqua.
L’ambasciata americana avrebbe già informato la Farnesina, chiedendo espressamente di organizzare un incontro con la presidente del Consiglio Giorgia Meloni. La risposta, da quanto si apprende, sarebbe stata positiva, sebbene il calendario della premier e la complessità del quadro internazionale rendano ancora incerta la conferma.
La mossa di Vance, senatore dell’Ohio e considerato uno dei principali candidati alla vicepresidenza in un’eventuale nuova amministrazione Trump, si inserisce in un quadro geopolitico in fermento, tra la guerra in Ucraina, il riarmo europeo e il rischio di una frattura sempre più marcata tra Washington e Bruxelles.
Vance è già stato in Europa nei mesi scorsi: a febbraio aveva partecipato alla conferenza di Parigi sull’intelligenza artificiale e al vertice sulla sicurezza di Monaco, dove aveva ribadito le sue posizioni scettiche nei confronti dell’impegno americano in Ucraina e criticato l’evoluzione “illiberale” di alcune democrazie europee. Una posizione che gli ha attirato la diffidenza di vari partner del continente, ma che ha trovato un’eco inattesa proprio a Roma.
Vicinanza con Giorgia
In una recente intervista al Financial Times, Giorgia Meloni ha dichiarato di condividere l’attacco di Vance all’Europa per il presunto abbandono dei valori fondanti della libertà di espressione e della democrazia. “Devo dire che sono d’accordo”, ha affermato la premier, aprendo di fatto un canale di dialogo diretto con uno dei principali esponenti dell’area trumpiana.
Nuove tensioni tra Salvini e Meloni
Sul piano politico interno, tuttavia, la visita di Vance rischia di riaccendere le tensioni nella maggioranza. Il vicepresidente americano è considerato vicino a Matteo Salvini, che già lo scorso 21 marzo aveva rivelato di aver avuto una conversazione telefonica di 15 minuti con lui.
Secondo il leader della Lega, nel colloquio si sarebbe parlato di Ucraina, ma anche della possibilità che l’Italia firmi un contratto con Starlink, la rete di telecomunicazioni satellitari di Elon Musk. Un’apertura che ha fatto storcere il naso al ministro degli Esteri Antonio Tajani, che aveva ricordato come la politica estera sia prerogativa della Farnesina e di Palazzo Chigi, non dei singoli ministri.
Il viaggio italiano di Vance si inserisce in un contesto di crescente competizione interna alla coalizione di centrodestra, dove è in corso una silenziosa corsa all’accreditamento con la futura — e possibile — amministrazione repubblicana. Un pressing a più mani su Washington che, però, rischia di generare confusione e interferenze tra canali ufficiali e relazioni personali.
Sul tavolo dell’eventuale incontro con Meloni, oltre al tema dell’impegno europeo nella difesa comune e al conflitto ucraino, ci sarebbero anche i rapporti commerciali tra Stati Uniti e Unione Europea, e il dossier sempre più strategico della sovranità digitale e tecnologica, a partire dalle infrastrutture satellitari.
Nel frattempo, anche la stessa presidente del Consiglio avrebbe in programma un viaggio a Washington, benché non sia ancora stata fissata una data. Un incastro diplomatico che potrebbe trovare nella visita di Vance un’occasione per allineare le posizioni in vista delle elezioni americane e degli equilibri futuri della NATO.
Dall’ufficio del vicepresidente statunitense, per ora, nessun commento ufficiale. Ma la data, che coincide con il Venerdì Santo, la dice lunga sulla volontà di segnare l’agenda anche simbolicamente. E Roma, ancora una volta, si ritrova crocevia di tensioni globali e calcoli politici molto terreni.
Cronaca
Malore nella notte per Davide Lacerenza: ricoverato in Neurologia, probabile un ictus per il patron delle notti brave di Milano
Il titolare della “Gintoneria” è stato trasportato al Policlinico alle 4 del mattino. Inizialmente si è parlato di ictus, ma si tratterebbe di un disturbo neurologico lieve. Resta ai domiciliari, piantonato in ospedale. Parlato con l’avvocato: “È vigile e cosciente”

Un malore improvviso nella notte e la corsa in ospedale, mentre attorno si infittisce il silenzio. Davide Lacerenza, 59 anni, titolare della “Gintoneria” e volto noto della movida milanese, è stato trasportato d’urgenza al Policlinico di Milano alle quattro del mattino. Respirava a fatica, e la prima ipotesi formulata dai sanitari è stata quella di un ictus cerebrale. Solo in un secondo momento, fonti ospedaliere hanno parlato di un “lieve problema neurologico”, smentendo la gravità inizialmente temuta.
Al momento Lacerenza si trova ricoverato nel reparto di Neurologia, piantonato dalle forze dell’ordine e ancora sottoposto al regime degli arresti domiciliari, a cui è costretto dal 4 marzo scorso nell’ambito dell’inchiesta su droga, prostituzione e autoriciclaggio che ha portato al sequestro dei suoi locali e all’arresto di tre persone, tra cui anche Stefania Nobile, sua ex compagna e socia d’affari, nonché figlia di Wanna Marchi.
A dare l’allarme, stando alle prime ricostruzioni, sarebbe stata la sua attuale compagna, Clotilde, 21 anni, che vive con lui nell’appartamento di viale Lunigiana. È stata lei a insistere per chiamare i soccorsi. All’arrivo in pronto soccorso, i medici hanno riscontrato sintomi compatibili con un evento neurologico. Solo più tardi, dopo i primi accertamenti, si è parlato di condizioni “non gravi”. Lacerenza è vigile e cosciente, come confermato dal suo legale Liborio Catalioti: “Ho parlato con lui appena è stato ricoverato. È stata una telefonata rassicurante”.
Nelle prossime ore, i magistrati valuteranno le cartelle cliniche per stabilire la necessità della permanenza in ospedale. Nel frattempo, l’avvocato Catalioti ha presentato una richiesta in procura per permettere al suo assistito di riprendere a frequentare il Sert, nell’ambito del percorso di disintossicazione da alcol e sostanze avviato in parallelo alla misura cautelare.
La posizione giudiziaria di Lacerenza resta delicata. Arrestato meno di un mese fa, è accusato di aver trasformato i suoi locali — la “Gintoneria” e il bistrot gemello “La Malmaison”, entrambi in via Napo Torriani — in un centro di spaccio e prostituzione mascherato da club esclusivo. Secondo la ricostruzione della procura, i clienti abituali potevano accedere a “pacchetti su misura” che comprendevano champagne, cocaina e escort, anche con consegna a domicilio.
Nella stessa indagine sono finiti ai domiciliari anche Stefania Nobile e Davide Ariganello, cameriere e factotum del gruppo. L’11 marzo, tutti gli indagati si sono avvalsi della facoltà di non rispondere durante l’interrogatorio di garanzia davanti al giudice per le indagini preliminari.
Il caso Lacerenza ha assunto in poche settimane un profilo pubblico molto alto, anche per via del personaggio coinvolto. Autodefinitosi “King di Milano”, Lacerenza era diventato un punto di riferimento della nightlife cittadina, noto per la clientela altolocata e per lo stile ostentato dei suoi locali. Proprio per “motivi di ordine pubblico”, il questore di Milano Bruno Megale ha recentemente disposto la revoca della licenza della Gintoneria.
Anche Stefania Nobile, secondo quanto trapelato, avrebbe necessità di cure mediche, e sulla compatibilità delle sue condizioni con la misura cautelare si pronuncerà a breve la procura. Nel frattempo, è circolata voce che possa presentarsi al Policlinico per far visita all’ex compagno, ma si tratta di un’ipotesi al momento poco plausibile, considerato il vincolo detentivo a cui entrambi sono sottoposti.
L’inchiesta va avanti, così come le verifiche cliniche. Per ora, da parte del Policlinico, bocche cucite. L’unica certezza, al momento, è che Davide Lacerenza resterà piantonato in ospedale, almeno fino a nuovo ordine.
Cronaca
“Insulti nazisti”, Liliana Segre si oppone all’archiviazione per Chef Rubio
Il legale di Liliana Segre chiede nuove indagini per chi l’ha offesa sui social, contestando la decisione della Procura di Milano di archiviare la posizione di 17 indagati. Il giudice dovrà ora decidere se accogliere la richiesta o procedere con l’imputazione coatta.

“Nel 90 per cento dei casi gli insulti che riceve sono nazisti”. Così l’avvocato Vincenzo Saponara, legale della senatrice a vita Liliana Segre, ha sintetizzato davanti al gip di Milano la posizione della sua assistita contro la richiesta di archiviazione per 17 presunti haters, tra cui figura anche Gabriele Rubini, meglio noto come Chef Rubio. Il giudice Alberto Carboni, davanti al quale si è svolta l’udienza, deciderà nei prossimi giorni se accogliere l’istanza della Procura, disporre nuove indagini o ordinare l’imputazione coatta.
Il nodo della questione sta tutto nella qualificazione delle offese ricevute dalla senatrice. Per la Procura, i messaggi andrebbero “contestualizzati all’interno del dibattito social” e valutati in rapporto alle “funzioni politiche ed istituzionali” della senatrice. Per l’avvocato Saponara, invece, non si tratta di normali espressioni di dissenso, per quanto dure: «Non sono insulti alla sua veneranda età o alle sue posizioni politiche. Sono insulti nazisti, ed è questo il punto».
Tra gli episodi al vaglio anche alcuni messaggi offensivi provenienti da profili non identificati, dunque attualmente “contro ignoti”. Ma la senatrice non intende lasciare nulla cadere nel vuoto. L’opposizione all’archiviazione, infatti, è stata estesa anche a questi casi. «Ci sono situazioni in cui si tenta di giustificare parole gravi inserendole in un contesto preteso politico, ma resta l’elemento discriminatorio, l’odio razziale», ha aggiunto il legale.
La vicenda nasce da una più ampia indagine della Procura milanese su insulti e minacce rivolti a Liliana Segre, sopravvissuta alla Shoah e da anni impegnata contro ogni forma di odio e antisemitismo. A gennaio, il pm Nicola Rossato aveva chiuso le indagini proponendo il rinvio a giudizio per dodici persone – tra cui No vax e sostenitori della causa palestinese residenti anche all’estero – accusate di diffamazione e minacce aggravate dall’odio razziale.
Per altri 17 indagati, tra cui appunto Chef Rubio, era stata invece richiesta l’archiviazione, nonostante l’ammissione che i toni utilizzati fossero “aspri, rozzi e sintomo di maleducazione e ignoranza”. Parole che, secondo il pm, non configurerebbero un reato, ma rappresenterebbero un eccesso retorico nel contesto del dibattito pubblico.
Una lettura che la senatrice e il suo legale rigettano con forza. La posta in gioco, dicono, non è solo la difesa della dignità personale, ma la protezione del significato storico e civile dell’antifascismo. La decisione finale è ora nelle mani del giudice.
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