Italia
Gli slip del vigile costano al comune di Sanremo 266mila euro
Dopo otto anni di battaglie legali, il Comune di Sanremo dovrà risarcire il vigile Muraglia per il licenziamento ingiusto. La Cassazione conferma il reintegro e il risarcimento, ma il duello potrebbe non essere finito.
Immaginatevi di timbrare il cartellino al lavoro in mutande. Sì, proprio così. È quello che è successo ad Alberto Muraglia, il “vigile in mutande” di Sanremo, che è diventato famoso per essere stato ripreso dalle telecamere di sorveglianza mentre, in slip, timbrava l’entrata al lavoro. Quello che sembra un episodio da barzelletta ha portato a una lunga odissea giudiziaria che si è conclusa con il Comune di Sanremo che dovrà sborsare circa 227mila euro di risarcimento.
La fine dell’epopea giudiziaria
La storia di Muraglia è diventata il simbolo dell’indagine sui “furbetti del cartellino” del 2015. Dopo essere stato licenziato e reintegrato dalla sezione lavoro della Corte d’Appello di Genova, e poi assolto in sede penale, l’ex vigile ha finalmente visto chiudersi il suo caso con la conferma della Cassazione. Nonostante la sentenza definitiva, il Comune di Sanremo potrebbe continuare a opporsi sul nodo del risarcimento.
Le dichiarazioni di Muraglia
“Sono contento che sia arrivata la parola fine a questa vicenda”, ha detto Muraglia, “anche se nessuno mi ridarà gli otto anni persi tra battaglie in tribunale, sofferenze psicologiche e pressioni mediatiche”. L’ex vigile ha rinunciato a tornare a lavorare in divisa, scegliendo di dedicarsi alla sua nuova attività di manutentore.
Il paradosso dei soldi pubblici
Muraglia ha espresso il suo disappunto per il continuo spreco di risorse pubbliche: “Io sono stato accusato ingiustamente di aver rubato soldi al Comune senza lavorare, quando lo stesso Comune continua a spendere soldi pubblici per fare ricorsi assurdi”. Il solo ricorso del Comune è costato 18mila euro, una cifra che si aggiunge alle spese legali e al risarcimento imposto dall’ultimo verdetto.
Le motivazioni della sentenza
Nelle motivazioni dell’assoluzione in ambito penale, si legge che “timbrare in abiti succinti è irrilevante quando non accompagnato dalla prova dell’assenza effettiva dal servizio”. Muraglia ha sempre spiegato che timbrava in mutande perché lavorava in un ufficio distaccato dove aveva anche l’alloggio. Nonostante le riprese, nessuna prova ha dimostrato che non svolgesse il suo lavoro regolarmente.
La questione del risarcimento
La battaglia potrebbe continuare sul fronte del risarcimento. Muraglia lamenta che gli spettano ancora circa 60mila euro tra trattenute non motivate, giorni di ferie non riconosciuti e rivalutazione degli stipendi. “E se non mi verranno riconosciuti, chiederò con un decreto ingiuntivo di farmeli corrispondere”, ha concluso l’ex vigile.
La saga del “vigile in mutande” si avvia verso la conclusione, ma lascia dietro di sé una serie di questioni irrisolte e di sprechi di denaro pubblico che fanno riflettere.