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Cronaca

L’Africa da sud a nord per solidarietà…

Il protagonista di questa storia si chiama Russ Cook, britannico 27 anni, non nuovo alle impresa come quella che ha compiuto: percorrere in 352 giorni tutta l’Africa dal sud al nord

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    Il protagonista di questa storia si chiama Russ Cook, britannico 27 anni, non nuovo alle impresa come quella che ha compiuto: percorrere in 352 giorni tutta l’Africa dal sud al nord.

    Lo ha fatto per mettere le sue doti naturali (correre la maratona) al servizio della beneficenza. Project Africa anche grazie a lui ha raccolto 800 mila euro devoluti a favore dei rifugiati africani nel Regno Unito. Cook, come il mitico capitano, non è nuovo a iniziative del genere. Ha già percorso da Istanbul a Londra e, nel 2020, ha trainato una macchina per nove ore e 56 minuti. Insomma un tipo The Hardest Geezer, come ama farsi chiamare. A sostenere questa sua ultima impresa ci hanno pensato le migliaia di benefattori coinvolti nella raccolta fondi sulla piattaforma di fundraising Patreon. L’impresa abbondantemente documentata sui social network, ricorda molto da vicino quella raccontata nel film The Forrest Gump. Il protagonista Forrest percorre tutta l’America da Est a Ovest vedendo ingrossare giorno dopo giorno il gruppo dei sostenitori. Fino a che, nel film, un giorno si ferma esclamando la fatidica frase: “Sono un po’stanchino“.

    Il viaggio di Russ Cook in Africa

    Il percorso è partito lo scorso aprile a Capo Agulhas, il punto più a Sud del Sudafrica e si è concluso domenica 7 aprile 2024 in quello più a nord della Tunisia, nel mare di Ras Angela. Negli ultimi 44 chilometri è stato accompagnato da centinaia di appassionati, giornalisti e maratoneti che lo hanno sostenuto fino alla fine. Ha attraversato 16 Paesi diversi e ha tagliato il continente in altezza, deserto compreso, costeggiando la parte occidentale dell’Africa. In totale ha percorso 16.250 chilometri, l’equivalente di 385 maratone, in 352 giorni.

    Il passaporto tatuato sul polso

    Otre alle migliaia di km ha attraversato decine di peripezie e avventure al limite della sopravvivenza. Dei fuori programma che lo hanno accompagnato per tutta l’Africa centrale. Prevedendo gli ostacoli e i pericoli che puntualmente si sono verificati, Cook prima di partire si era tatuato il numero di passaporto sul polso. L’avventura più pericolosa l’ha vissuta in Congo dove è stato caricato su una moto da due locali e dopo molte ore di guida si è trovato in un villaggio. Quindi in una capanna dove si è ritrovato al centro di un gruppo di numerosi uomini che discutevano della sua sorte. Mentre lui pensava di “essere fatto a pezzi costola per costola e mangiato”, alla fine hanno deciso di liberarlo e di farlo ritornare da dove lo avevano relevato in cambio di un po’ di soldi.

    Depredato di tutto e di niente

    Le sue peripezie sono durate circa un mese. Una volta, tra un flacone di antidolorifici e l’altro, è stato fermato da un gruppo di uomini che, brandendo dei machete, gli chiedevano di svuotarsi le tasche. Ma lui non aveva nulla perché un mese prima in Angola era già stato derubato di tutto. Criminali armati di fucili gli avevano rubato fotocamere, telefoni, soldi e passaporto. “Volevo correre l’Africa in lunghezza anche perché non l’ha mai fatto nessuno, e ora inizio a capire perché ”, ha dichiarato in una delle numerose interviste rilasciate a giornali e canali televisivi. Percorrere 42 km al giorno non è una cosa per tutti. In Namibia, infatti, grazie all’intervento di un medico si è dovuto fermare finché il suo corpo non ha smesso di “mandare il sangue dove il sangue non avrebbe dovuto essere“.

    “Ora me ne vado affanc…”

    All’arrivo è stato abbastanza contenuto in perfetto stile britannico. Un sorriso tirato e una mano alzata alla tempia a favore dei fotografi. Si è tuffato nelle acque del mare per rinfrescarsi. Una volta emerso si è rivolto verso una tv britannica e ha esclamato: “Sono un po’ stanco”. Aggiungendo “Ora me ne vado affanc…”. Ciao Russ alla prossima.

    Immagini tratte dal profilo twitter.

      Cronaca

      Affondamento del Bayesian: nuove ipotesi emergono con una foto. I portelloni erano chiusi?

      Le indagini della guardia costiera e della procura di Termini Imerese si concentrano ora sul chiarire ogni dettaglio dell’accaduto, in un naufragio che ha lasciato dietro di sé molte domande ancora senza risposta

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        A 45 giorni dall’affondamento del veliero Bayesian, che ha causato la morte di sette persone nelle acque di Porticello, Palermo, nuovi dettagli emergono dall’inchiesta. La principale ipotesi investigativa parla di una catena di errori umani e di una tempesta che ha colpito la nave in modo drammatico, con raffiche di vento che hanno superato i 100 km/h, inclinando pericolosamente il veliero fino a farlo inabissare.

        Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, la nave di 56 metri e 750 tonnellate sarebbe stata esposta al vento perpendicolarmente, rendendola estremamente vulnerabile all’effetto “vela” provocato dagli alberi alti. “Aveva l’intero lato sinistro esposto alle raffiche e alle onde,” ha dichiarato un investigatore coinvolto nell’inchiesta. Il punto critico sembra essere stata la mancata accensione tempestiva dei motori per contrastare la tempesta e portare la prua della nave contro il vento, una manovra fondamentale in queste circostanze.

        Durante quei fatidici minuti, l’acqua ha cominciato a riversarsi all’interno del Bayesian attraverso la zona living, travolgendo gli occupanti della nave. Le sette vittime, tra cui membri dell’equipaggio e ospiti, sono state travolte dall’acqua che ha invaso il ponte inferiore attraverso le scale. Solo alcuni membri dell’equipaggio e ospiti, allertati dal peggioramento repentino delle condizioni meteo, erano riusciti a rendersi conto del pericolo incombente.

        La foto che cambia le carte in tavola

        Finora, una delle ipotesi più accreditate era che il veliero fosse affondato perché i portelloni di poppa o quelli del vano tender fossero stati lasciati aperti, permettendo all’acqua di entrare. Tuttavia, una foto scattata dagli ospiti di un altro veliero, il Sir Robert BP, potrebbe ribaltare questa teoria. La foto, pubblicata dal quotidiano tedesco Der Spiegel, mostra il Bayesian da poppa circa un quarto d’ora prima dell’affondamento. L’immagine, sebbene sgranata e scattata nell’oscurità, sembra suggerire che i portelli di poppa fossero effettivamente chiusi, smentendo così la ricostruzione che circolava nei primi giorni.

        La foto non è comunque decisiva: l’oscurità e la qualità non permettono di escludere del tutto che i portelloni fossero chiusi correttamente o meno. Questo nuovo elemento, però, potrebbe spostare l’attenzione degli inquirenti su altre possibili cause dell’affondamento, come errori nelle manovre o nel coordinamento dell’equipaggio.

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          Cronaca Nera

          La scomparsa della piccola Maddie McCann: il compagno di cella del pedofilo Brueckner fa una confessione scioccante

          Un racconto agghiacciante che potrebbe dare una svolta al mistero della bambina inglese scomparsa. Il testimone chiave, compagno di cella di Brueckner, rivela dettagli inediti e inquietanti: «Mi ha detto che cercava soldi, ma ha trovato lei». Intanto, l’uomo, attualmente detenuto per altri reati sessuali, rischia di essere liberato a breve se non verrà condannato nel processo in corso.

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            Un testimone chiave potrebbe riaccendere le speranze di fare chiarezza sul destino della piccola Maddie McCann. Laurentiu Codin, compagno di cella di Christian Brueckner, ha dichiarato che il principale sospettato avrebbe confessato di aver rapito una bambina da un appartamento in Algarve. Un racconto dettagliato, quello di Codin, che getta nuova luce sulla vicenda ancora avvolta dal mistero.

            Il racconto della confessione:
            Secondo quanto riportato dal Daily Mail, durante un’udienza in Germania, Codin ha rivelato che Brueckner gli avrebbe confidato di aver rapito una bambina durante un furto con scasso. L’ex pugile, attualmente detenuto per altri reati sessuali, avrebbe raccontato di essere entrato in un’abitazione nella zona di Algarve, alla ricerca di denaro. Invece dei soldi, però, si sarebbe trovato di fronte a una bambina. “L’ho presa e sono scappato,” avrebbe detto Brueckner, descrivendo la scena con dettagli agghiaccianti. Il sospetto parla anche di una persona che era con lui durante l’accaduto, presumibilmente la sua compagna di allora.

            I tabulati telefonici:
            I tabulati telefonici confermano che la sera del 3 maggio 2007, data della scomparsa di Maddie McCann, Brueckner si trovava nei pressi dell’Ocean Club di Praia da Luz, il complesso turistico dove la famiglia McCann stava trascorrendo le vacanze. Lì, dal loro appartamento, Maddie scomparve mentre i genitori erano a cena a pochi metri di distanza. Brueckner descrisse in diverse deposizioni un luogo nelle vicinanze, un’area intorno al bacino dell’Arade, come un “piccolo paradiso” dove era solito appartarsi. È la stessa area che recentemente è stata oggetto di nuove ricerche.

            Chi è Christian Brueckner:
            Brueckner è attualmente in carcere in Germania, dove sta scontando una pena di sette anni per lo stupro di una turista americana di 72 anni, avvenuto nel 2005 sempre in Algarve. È sotto processo per ulteriori accuse di violenza sessuale, tra cui lo stupro di un’adolescente e l’aggressione sessuale a una ragazza tedesca nel 2017. I suoi crimini risalgono a un lungo periodo, dal 2000 al 2017, e includono reati gravi come l’esibizione indecente e l’aggressione. Se non verrà condannato nei processi in corso, Brueckner potrebbe essere rilasciato a breve.

            La speranza nei nuovi esami:
            Le nuove informazioni emerse dalle dichiarazioni del compagno di cella di Brueckner potrebbero dare un’importante svolta al caso di Maddie McCann. La polizia e i familiari della piccola sperano che queste rivelazioni possano portare finalmente alla verità, dopo anni di incertezze e teorie contrastanti.

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              Storie vere

              La felicità? Fare pascolare le mucche. Dall’ufficio all’alpeggio l’ingegnere cambia vita

              Stufo della vita in ufficio, otto ore al giorno alla scrivania davanti al pc, un giovane ingegnere di Bologna lascia tutto e va a vivere in alpeggio.

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                Si chiama Federico Moretti il giovane ingegnere che ha deciso di abbandonare la carriera promettente e il posto fisso per vivere immerso nella natura. Tra montagne e animali. “Altro che ufficio, la vera felicità è tra i prati di montagna“. A pascolare le mucche in alpeggio.

                Dal sogno del posto fisso all’alpeggio

                Federico è figlio di una famiglia che ha sempre creduto nel posto sicuro. Ha seguito il classico percorso di un giovane serio e a modo. Prima il diploma, poi la laurea in ingegneria con un master sulla meccanica delle moto. Quindi inizia a lavorare ma anche ad annoiarsi del tran tran quotidiano. Cambia lavoro e lo ricambia ancora. Così dopo varie esperienze lavorative, arriva inesorabile la crisi: “Ero stufo della vita da ufficio“. E quindi? Quindi prende e parte. Ma per andare dove?

                Tra l’officina e la montagna

                All’inizio è stato difficile fare l’ultimo miglio. Staccarsi definitivamente. Anche se durante il tempo libero, Federico scappava dalla città per arrampicare sulle Dolomiti o pedalare in montagna dove trovava quella pace così tanto agognata. E soprattutto silenzio, tempi lenti…Ed ecco che un giorno gli si apre l’interruttore e la luce illumina il suo futuro percorso di vita. Decide che vuole vivere all’aria aperta, lassù in montagna. Così quando un giorno gli si prospetta di firmare un nuovo contratto di lavoro, ci pensa una giornata e alla fine prende la decisione giusta: rifiuta il contratto e decide di andare a lavorare in un alpeggio.

                Il colpo di fulmine dell’alpeggio

                Si rivolge agli amici finché uno di questi gli suggerisce un lavoro come factotum in un agriturismo a Gressoney, Valle d’Aosta. “Altro che ufficio, qui faccio di tutto!” racconta Federico: dalla cucina al pascolo delle mucche, passando per la produzione di formaggi e la gestione degli ospiti.

                Stanco morto ma felice

                La sua nuova vita è faticosa, ma appagante. Dice: “Arrivo a sera distrutto, ma felice“. A questo punto Federico non rimpiange il vecchio lavoro. Ora è felice tra gli animali, i clienti soddisfatti e le giornate piene. Ha trovato la vera libertà e la serenità che cercava.

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