Mistero
La Città Eterna? Scomparirà col suo ultimo Papa. Parola di profezia!
La profezia di Malachia è un testo davvero affascinante che ha fatto arrovellare fior di catastrofisti. La fine di Roma è imminente: scomparirà con il suo ultimo Papa.

Dopo Papa Francesco Roma scomparirà. Non c’è nessun punto di domanda alla fine della precedente frase. E’ certo. La Città Eterna con la morte di Papa Bergoglio è destinata a scomparire nel nulla.
Città Eterna tra mistero e terrore
Questa terribile profezia aleggia da secoli sulla sua storia. E unisce in un filo di terrore e di mistero la fine dei papi (con Papa Francesco) e la possibile distruzione della Capitale. Questa predizione è attribuita a Malachia O’Morgair, cattolico irlandese abate e Arcivescovo di Armagh vissuto tra il 1095 e il 1148. L’abate scrisse la Profezia di Malachia (il cui titolo originale in latino sarebbe Prophetia Sancti Malachiae Archiepiscopi, de Summis Pontificibus). Si tratta di un testo contenente 112 brevi motti in latino con la descrizione dei papi (compresi alcuni antipapi) a partire da Papa Celestino II, eletto nel 1143.
Una descrizione molto particolare
Alla fine dei brevi motti, la Profezia di Malachia presente un testo in latino che prevede la sciagura che si dovrebbe abbattere su Roma. Durante il pontificato – si legge – di un certo Petrus Romanus, e della distruzione di una città dai sette colli nel Giudizio Finale. Si tratta di un testo enigmatico che ha alimentato l’immaginario catastrofista per le sue attribuzioni ai vari papi, alcune delle quali sembrano corrispondere con la realtà. Tuttavia, questo manoscritto va analizzato con discernimento, distinguendo tra le attribuzioni fino all’anno 1590, che corrispondono con i papi dell’epoca dell’autore sconosciuto, e quelle successive, che sono più arbitrarie e speculative. Di seguito alcuni esempi emblematici.
Giovanni Paolo I: De medietate Lunae
Il motto “De medietate Lunae” si riferisce a Giovanni Paolo I, il cui pontificato brevissimo corrisponde a una fase lunare. Questa attribuzione sembra suggestiva e ha destato molto interesse.
Giovanni Paolo II: De labore solis
Il motto “De labore solis” è particolarmente intrigante. Gli interpreti hanno associato Giovanni Paolo II a questo motto in due modi. Primo attraverso le eclissi solari che coincisero con la sua nascita e morte, e tramite un riferimento all’eliocentrismo di Copernico, proveniente dalla stessa Cracovia di Giovanni Paolo II. Secondo si aggiunge un curioso collegamento con la facoltà di Magia di Cracovia e il leggendario dottor Faust.
Benedetto XVI: De Gloria olivae
“De Gloria olivae” è stato inizialmente interpretato come il presagio di un papa nero. Tuttavia, con l’elezione di Benedetto XVI (Joseph Ratzinger) l’attenzione si è spostata sul nome Benedetto, collegato agli Olivetani, e sul suo stemma raffigurante un moro incoronato. Questa attribuzione ha generato molte interpretazioni, anche se alcune sembrano forzate.
L’ultimo motto: in persecutione extrema S.R.E. sedebit
L’ultimo motto, “In persecutione extrema S.R.E. sedebit”, ovvero “Siederà durante l’ultima persecuzione della Santa Romana Chiesa” ha scatenato numerose speculazioni. Il soggetto potrebbe essere il Papa o la Santa Romana Chiesa, e si presume che si riferisca a Francesco I, suggerendo che il suo pontificato potrebbe essere l’ultimo secondo la profezia. Che continua con una descrizione più dettagliata: “Pietro Romano, che pascerà il gregge fra molte tribolazioni; passate queste, la città dai sette colli sarà distrutta e il tremendo Giudice giudicherà il suo popolo. Fine.“
La profezia dei Papi dopo una visione
La famosa di Malachia fu pubblicata per la prima volta nel 1595 dallo storico benedettino Arnoldo Wion, conosciuto anche come Arnoldo de Wyon, fu editore e monaco cristiano francese. Si racconta che Malachia stilò questa lista dopo una visione avuta nella Basilica di San Paolo a Roma. Il manoscritto sarebbe poi stato consegnato al Papa dell’epoca e depositato nell’Archivio Segreto Apostolico Vaticano, dove rimase dimenticato fino alla sua riscoperta da parte di Wion.
Vero o falso. Imprevisti o probabilità?
Molti storici ritengono che la profezia sulla Citta Eterna sia un falso, soprattutto perché non esisterebbe un manoscritto originale redatto dallo stesso Malachia. L’ipotesi più probabile è che si tratti di una speculazione. Che il testo possa essere stato creato per influenzare i conclavi papali o per fini economici. E nonostante questi legittimi dubbi sulla veridicità della profezia, continua a suscitare fascino e preoccupazione.
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Mistero
Quel morso nell’anca: la scoperta choc che riscrive la storia dei gladiatori in Britannia
Fino a oggi le prove dei sanguinosi spettacoli tra fiere e gladiatori fuori da Roma erano solo artistiche o letterarie. Ora, per la prima volta, uno scheletro umano con segni compatibili con un morso di leone fornisce la prova materiale che anche nelle province più periferiche dell’Impero si celebrava il macabro culto della violenza. Il teatro? L’antica Eboracum, la moderna York.

C’è un foro nell’osso dell’anca. Profondo, netto, senza margini di guarigione. Un taglio che non lascia spazio ai dubbi: chi ha subito quella ferita non è sopravvissuto. La cosa davvero sorprendente è che quel foro non lo ha provocato una spada, né una lancia, né uno dei tanti strumenti di morte dei gladiatori. È un morso. Di leone.





La scoperta arriva da York, nel Regno Unito, un tempo colonia romana nota come Eboracum, e cambia radicalmente la narrazione storica sugli spettacoli gladiatori fuori dalle mura di Roma. Lo scheletro appartiene a un uomo tra i 26 e i 35 anni, morto circa 1.800 anni fa, il cui corpo è stato sepolto con una cerimonia che suggerisce un certo rispetto. Eppure, di lui oggi resta solo quel foro nell’osso, la firma inconsapevole di un grande felino. E l’ipotesi di una morte sotto le zanne di una belva, in uno spettacolo pubblico.
Il ritrovamento è parte di un’indagine archeologica durata oltre vent’anni, coordinata dalla Maynooth University e da un consorzio di università e istituti britannici. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Plos One e rappresenta la prima prova osteologica diretta di un combattimento tra uomo e leone in territorio britannico.
La ferita, ricostruita in 3D, è stata confrontata con diversi modelli di dentature animali: quella del leone, per forma e dimensioni, è l’unica compatibile. “Una scoperta che apre una finestra terribile ma concreta sulla brutalità del potere romano”, spiega John Pearce del King’s College.
La tomba è stata rinvenuta nel sito di Driffield Terrace, noto per essere una delle necropoli gladiatorie meglio conservate del mondo romano. Già nel 2010 erano stati ritrovati 82 scheletri, molti dei quali con segni evidenti di vita da combattente: corpi robusti, fratture cicatrizzate, articolazioni rovinate dall’eccesso di sforzi. Uno di questi, oggi, parla con un morso.
Secondo l’archeologa Malin Holst, si trattava di un bestiario, il tipo di gladiatore addestrato a combattere con animali feroci. Le ossa di cavallo trovate accanto a lui, i traumi multipli e persino le tracce di malnutrizione infantile raccontano una vita di fatica, addestramento e probabilmente schiavitù. Un’esistenza passata a sfidare la morte — fino a che, un giorno, la morte ha vinto.
Eppure York non ha mai restituito tracce dirette di un anfiteatro romano. E allora dov’è avvenuto lo scontro? Forse in una struttura lignea temporanea. Forse in un’arena più piccola e già scomparsa. Di certo la ricchezza di Eboracum — la città che vide l’ascesa dell’imperatore Costantino nel 306 d.C. — giustifica la presenza di simili spettacoli. La provincia non era poi così lontana dal cuore pulsante dell’Impero.
Non erano solo giochi, erano messaggi politici. Simboli della forza romana, della sua capacità di domare le bestie, reali e metaforiche. La presenza di un leone a York ci ricorda un dettaglio spesso ignorato: l’impero catturava e deportava migliaia di animali esotici. Leoni, pantere, orsi dai monti dell’Atlante, tigri dall’India, giraffe, coccodrilli e ippopotami dall’Egitto. Viaggi impossibili, durissimi, solo per garantire al popolo quel miscuglio di orrore e meraviglia che teneva in piedi il consenso imperiale.
Quello che oggi possiamo chiamare intrattenimento era, in realtà, propaganda fatta carne. Carne umana, carne animale. E sangue.
Il foro nel bacino dell’uomo di York racconta tutto questo. Non servono mosaici, né affreschi, né epigrafi. Basta un morso. E un osso che ha atteso quasi due millenni per farsi sentire.
Mistero
Rituali e miti Egizi: il mistero del vaso di Bes e l’intruglio allucinogeno del passato
Gli antichi Egizi bevevano un mix di alcol, fluidi corporei e allucinogeni: la prova in una tazza di Bes.

Nel cuore del Tampa Museum of Art, tra le collezioni permanenti esposte nella mostra “Prelude: An Introduction to the Permanent Collection”, riproposta dopo varie integrazioni, brilla un pezzo unico che svela un aspetto intrigante dell’Antico Egitto. Si tratta di un vaso di Bes, la cui analisi scientifica ha rivelato segreti di antichi rituali religiosi. Questo manufatto, datato al periodo tolemaico, custodiva al suo interno residui di una miscela affascinante e allo stesso tempo molto inquietante. Si tratta di un intruglio di alcol, sostanze allucinogene e fluidi corporei. Questo miscuglio sembra aver avuto un ruolo simbolico e rituale, aiutando i partecipanti a rievocare la potenza di un mito epico legato alla divinità Bes e alla dea Hathor.
La scoperta scientifica dietro il mito di Bes
Il vaso di Bes è stato sottoposto a una serie di analisi avanzate, tra cui la spettroscopia infrarossa in trasformata di Fourier (FTIR) e l’estrazione di DNA antico. Le analisi hanno rivelato la presenza di sostanze come ruta selvatica, loto egiziano e una pianta del genere Cleome, tutte note per le loro proprietà psicotrope. Il contenuto era arricchito con ingredienti simbolici come miele, uva, semi di sesamo e pinoli, che contribuivano a rendere la miscela simile al sangue, evocando il mito dell’Occhio Solare. Secondo la leggenda, Bes riuscì a calmare l’ira della dea Hathor offrendole una bevanda allucinogena camuffata da sangue, inducendo in lei un sonno profondo e pacificante.
Riti di evocazione e significato religioso
Questa miscela non era solo una bevanda, ma un ponte verso il trascendente. Gli antichi Egizi la utilizzavano probabilmente in rituali che combinavano l’assunzione della sostanza con danze, canti e preghiere, tentando di ricreare un momento mitico di grande significato. La presenza di fluidi corporei nel composto, come saliva e sangue, potrebbe essere un simbolo di connessione tra umano e divino, oppure il risultato di pratiche di preparazione rituale.
Bes, il protettore di tutti
La divinità Bes, rappresentata come un nano grottesco con tratti leonini, è una figura enigmatica del pantheon egizio. Protettore della fertilità, delle partorienti e degli infanti, Bes era anche un dio popolare e accessibile. La sua immagine, spesso associata a rituali di protezione e gioia, viaggiò fino a raggiungere il Mediterraneo occidentale, portata dai navigatori fenici e cartaginesi.
Una nuova luce sul passato
Come ha sottolineato il professor Davide Tanasi della University of South Florida, il ritrovamento scientifico non solo conferma la veridicità di certi aspetti dei miti egizi, ma apre una finestra sui rituali poco conosciuti legati al culto di Bes e di altre divinità. Grazie a questa scoperta, la ricca cultura spirituale dell’Antico Egitto si arricchisce di nuovi dettagli, rivelando l’intima connessione tra mito, rituale e sostanze simboliche.
Mistero
Dracula sepolto a Napoli? Decifrata l’iscrizione sulla tomba misteriosa che riaccende la leggenda
Secondo una nuova ipotesi, Vlad l’Impalatore – ispiratore del Dracula letterario – non sarebbe morto in battaglia ma portato a Napoli dalla figlia e sepolto in una tomba nobiliare. La recente decifrazione di un’antica iscrizione potrebbe confermare tutto.

Dracula potrebbe essere morto a Napoli. Non è il plot di un film, ma una teoria che da anni incuriosisce studiosi, turisti e appassionati di misteri storici. Al centro di tutto, una tomba nel complesso monumentale di Santa Maria la Nova, a due passi dal cuore antico della città. E ora, una svolta clamorosa: la decifrazione di un’iscrizione funebre finora rimasta oscura rilancia la possibilità che sia davvero la sepoltura di Vlad III di Valacchia, il famigerato Impalatore passato alla leggenda come Dracula.
Ad anticiparlo è Giuseppe Reale, direttore del complesso, che dalla Romania fa sapere che un gruppo di studiosi ha interpretato la scritta come un elogio funebre dedicato proprio al principe valacco vissuto tra il 1431 e il 1477. Secondo la teoria, Vlad non sarebbe morto in battaglia, ma catturato dai turchi e poi liberato dalla figlia Maria Balsa, rifugiatasi a Napoli dopo essere stata adottata da una nobile famiglia locale.
Alla sua morte, Vlad sarebbe stato tumulato nella cappella Turbolo, nella tomba del suocero della figlia. La tomba, decorata con simboli egizi, draghi e iconografie non riconducibili alla tradizione locale, era già al centro di speculazioni fin dal 2014. Ora, però, la decifrazione dell’epigrafe – datata attorno al Cinquecento – dà nuova linfa alla leggenda.
Napoli, del resto, è abituata a ospitare l’impossibile: santi che fanno miracoli, sangue che si scioglie, teschi che parlano. E ora anche un Dracula… in trasferta definitiva. Non resta che attendere conferme, ma intanto il fascino resta intatto. Perché forse l’Impalatore non è mai tornato in Transilvania. Ha solo cambiato castello.
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