Mondo
Caroline Kennedy contro Robert Kennedy Jr.: “JFK sarebbe disgustato da lui”
Robert Kennedy Jr., candidato da Trump per il Dipartimento della Salute, è sotto attacco dalla sua stessa famiglia. Caroline Kennedy rompe il silenzio e lo accusa di aver sfruttato l’eredità politica dei Kennedy per i suoi interessi. “Ha spinto fratelli e cugini alla tossicodipendenza, ora vuole arricchirsi negando l’accesso a un vaccino salvavita”.

Robert F. Kennedy Jr. è nel pieno delle audizioni al Congresso per la sua nomina a ministro della Sanità, un incarico di peso che lo metterebbe a capo di 90.000 dipendenti e di un budget annuale di 1.700 miliardi di dollari. Ma la vera tempesta non arriva dai senatori, bensì dalla sua stessa famiglia.
Caroline Kennedy, figlia di John F. Kennedy, ha scritto una lettera indirizzata ai membri del Senato chiedendo loro di bocciare la nomina del cugino. E lo fa con toni durissimi: “Mio padre e mio zio Robert sarebbero disgustati dalle sue azioni”, afferma. Poi lo accusa di essere un predatore e un ipocrita, di aver sfruttato il nome della famiglia per alimentare una crociata contro i vaccini e di aver spinto fratelli e cugini sulla strada della tossicodipendenza.
Non è la prima volta che i Kennedy prendono le distanze da Robert Jr., ma mai con una simile durezza. Caroline, ex ambasciatrice degli Stati Uniti in Giappone e Australia, aveva già criticato in passato le sue posizioni, ma ora alza il tiro e lo definisce un uomo che ha tradito l’eredità politica della sua famiglia. La sua lettera, letta pubblicamente anche in un video pubblicato dal figlio Jack Schlossberg, arriva a poche settimane dalla scomparsa di Ethel Kennedy, la madre di RFK Jr. e ultima matriarca di quella che fu definita “Camelot”.
Nel suo attacco frontale, Caroline Kennedy accusa Robert di aver condotto una campagna anti-vaccini non per convinzione, ma per interesse economico. “Ha vaccinato i suoi figli, ma dice agli altri di non farlo”, scrive, riferendosi alla sua opposizione all’HPV, il vaccino che previene quasi tutte le forme di cancro alla cervice e che, secondo Caroline, lui vorrebbe rendere inaccessibile per “arricchirsi sulla pelle della gente”.
A rincarare la dose, anche un’accusa che affonda le radici nei drammi interni alla famiglia Kennedy. “Ha spinto fratelli e cugini più giovani sulla strada dell’abuso di droghe”, scrive Caroline, sottolineando come David Kennedy, fratello minore di RFK Jr., sia morto per overdose nel 1984, mentre altri membri della famiglia abbiano pagato un prezzo altissimo per la dipendenza.
Ma Robert Kennedy Jr. non è solo accusato dalla famiglia. Eliza Cooney, che lavorava come babysitter per la famiglia Kennedy negli anni Novanta, ha dichiarato a Vanity Fair di aver subito un’aggressione sessuale da parte sua. Una testimonianza che aggiunge un ulteriore tassello alla controversia che avvolge la sua figura e che, secondo Cooney, potrebbe non bastare a fermarne la nomina.
Nel tentativo di placare i senatori, RFK Jr. ha provato a ridimensionare la sua immagine di anti-vax, negando di esserlo e cercando di rassicurare i repubblicani, ai quali ha promesso di attenuare le sue posizioni pro-aborto e di non penalizzare l’industria alimentare con le sue battaglie per una dieta più sana.
L’ultima speranza per chi si oppone alla sua nomina è la Commissione Salute, Istruzione, Lavoro e Pensioni, che oggi terrà un’altra audizione, sebbene non vincolante. Se il Senato dovesse confermarlo, Robert Kennedy Jr. avrebbe in mano il settore sanitario americano, con poteri enormi sulle politiche vaccinali e sulla gestione della salute pubblica.
Ma la sua famiglia non è disposta a concedergli neanche un centimetro di quell’eredità politica che lui continua a brandire come un’arma. E questa volta, il messaggio di Caroline Kennedy è forte e chiaro: Robert non è uno di loro.
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Mondo
Ali di pollo, mutande e ostie: la lista dei dazi Ue contro Trump (e la guerra commerciale si infiamma)
L’Unione europea risponde alle tariffe americane con una lista di 99 pagine di prodotti da colpire: dal pollo alle sigarette elettroniche, passando per i jeans e i bourbon

Altro che diplomazia: la guerra commerciale tra Stati Uniti e Unione europea è ufficialmente entrata nel vivo. Dopo l’entrata in vigore dei dazi del 25% imposti da Donald Trump su alluminio e acciaio europei, Bruxelles ha deciso di rispondere con una lista di contromisure degna di una sceneggiatura da guerra fredda economica.
Il piano dell’Unione europea è stato annunciato da Ursula von der Leyen, che ha chiarito i tempi della vendetta commerciale: “Le nostre controtariffe saranno introdotte in due fasi, a partire dal 1° aprile e pienamente operative entro il 13 aprile”. Il messaggio è chiaro: colpire gli Stati Uniti dove fa più male, economicamente e politicamente.
Ma la domanda è: quali prodotti saranno coinvolti? La lista è lunga ben 99 pagine, e dentro c’è di tutto. Ali di pollo, mutande, bourbon, sigarette elettroniche, persino ostie.
L’Europa risponde a Trump: una lista esplosiva
Se qualcuno si aspettava un elenco di prodotti di nicchia, si sbagliava di grosso. Bruxelles ha messo a punto una vera e propria lista della spesa (o della non-spesa, in questo caso), che prende di mira alcuni tra i prodotti più tipici del mercato americano.
Si parte dagli alimenti, e qui l’Unione europea ha deciso di puntare su prodotti che negli USA valgono miliardi di dollari di esportazioni. Oltre ai famosi polli (rigorosamente interi, a pezzi, con o senza testa), l’elenco include:
- Anatre, oche, tacchini e faraone (non si sa mai, meglio essere completi).
- Quarti di carne bovina, sia interi che separati meccanicamente.
- Carne equina (perché no?).
- Carne surgelata, con testa, senza testa, in ogni variante possibile.
E poi c’è l’elemento più surreale della lista: le ostie. Sì, proprio quelle per la comunione. A quanto pare, anche la Chiesa dovrà fare i conti con la guerra commerciale.
Ma non è tutto. Bruxelles ha inserito anche frutta, verdura, bevande alcoliche e una serie di prodotti alimentari strategici.
Dazi sulle mutande e sulle Harley-Davidson: il piano per colpire gli Stati repubblicani
Se pensavate che l’elenco fosse già abbastanza variegato, aspettate di leggere la sezione “prodotti vari”. Tra i beni colpiti dai dazi europei compaiono:
- Sigarette elettroniche e cerotti alla nicotina (perché far smettere di fumare gli americani dovrebbe essere una priorità).
- Jeans, pigiami, slip e mutande (sia da uomo che da donna, perché la parità di genere è importante anche nei dazi).
- Dopobarba, shampoo e dentifrici (l’Europa non si fida dell’igiene personale degli americani?).
- Spazzaneve, macchinari industriali e mobili di legno e metallo (per non farli stare comodi né caldi).
Ma il vero colpo di genio di Bruxelles sta nel colpire prodotti simbolo di specifiche aree politiche degli Stati Uniti. L’obiettivo? Mettere pressione sugli Stati governati dai repubblicani, quelli che hanno più da perdere in termini economici.
Ecco perché tra i prodotti colpiti ci sono anche:
- Il bourbon, il re degli alcolici americani, prodotto principalmente in Kentucky (terra repubblicana).
- Le Harley-Davidson, un’icona americana fabbricata in Wisconsin, anch’esso roccaforte conservatrice.
- I jeans, simbolo del Made in USA, prodotti in diversi Stati a guida repubblicana.
Bruxelles colpisce Trump dove fa più male
L’idea dell’Unione europea è geniale nella sua semplicità: non solo colpire l’economia americana, ma creare problemi politici a Trump. Se le industrie colpite dai dazi iniziano a perdere soldi, è probabile che gli elettori repubblicani inizino a fare pressione sul presidente.
E questo potrebbe diventare un grosso problema per Trump in un anno elettorale.
Non è la prima volta che l’Europa usa questa strategia. Già nel 2018, in risposta ai dazi di Trump, Bruxelles aveva colpito il bourbon e le motociclette Harley-Davidson, scatenando il malcontento di intere categorie produttive negli USA.
E adesso? La guerra commerciale è appena cominciata
Il rischio di un’escalation commerciale tra Unione europea e Stati Uniti è sempre più concreto. Se Trump deciderà di rispondere ai dazi europei con nuove misure punitive, lo scenario potrebbe diventare ancora più teso.
Nel frattempo, in attesa che la guerra commerciale si plachi, le aziende americane produttrici di mutande, bourbon e pollo stanno già facendo i conti con un futuro meno roseo.
E se pensavate che il prossimo capitolo delle relazioni USA-UE si sarebbe giocato su temi di grande rilevanza politica, be’, vi sbagliavate: la battaglia si combatte a suon di Harley-Davidson, sigarette elettroniche e ostie da messa.
Mondo
Groenlandia al centrodestra: Trump è più lontano, ora si punta all’indipendenza
Vittoria a sorpresa per Jens-Frederik Nielsen. Le divisioni tra i partiti sui tempi della secessione dalla Danimarca

Vittoria a sorpresa nelle elezioni in Groenlandia: i Democratici di centrodestra, guidati da Jens-Frederik Nielsen, hanno ottenuto un risultato clamoroso, triplicando i consensi e ribaltando le previsioni della vigilia. Un successo che apre un nuovo scenario politico per l’isola, sempre più proiettata verso l’indipendenza dalla Danimarca e sempre più nel mirino degli Stati Uniti.
Nielsen, ex campione nazionale di badminton, ha saputo intercettare il malcontento di una popolazione divisa tra il desiderio di autonomia e la paura di un distacco troppo affrettato da Copenaghen. È stato il candidato più fermo nel respingere le mire di Washington, parlando apertamente di una minaccia alla sovranità groenlandese. Eppure, il suo approccio non è di rottura totale: ha promesso di mantenere un dialogo aperto con tutti gli attori in gioco, dagli alleati locali fino ai governi stranieri.
La questione dell’indipendenza, da sempre al centro del dibattito politico groenlandese, resta aperta. Se da un lato tutti i partiti concordano sul distacco dalla Danimarca, dall’altro le tempistiche creano fratture interne. I Democratici, ora primo partito con il 29,9% dei voti, vogliono un percorso graduale, basato sul raggiungimento della sostenibilità economica prima di qualsiasi passo formale. Al contrario, il partito nazionalista Naleraq, che ha ottenuto il 24,5%, spinge per una separazione immediata, prendendo a modello la Brexit e il distacco della Groenlandia dall’Unione Europea nel 1985.
La sfida adesso è trovare una coalizione stabile. Nessuno ha i numeri per governare da solo e la scelta dell’alleanza determinerà il futuro politico dell’isola. Se i Democratici si uniranno a Naleraq, il processo di indipendenza potrebbe subire un’accelerazione drastica, mentre un’alleanza con forze più moderate manterrebbe un equilibrio più prudente.
Nel frattempo, la Danimarca osserva da vicino gli sviluppi, consapevole che l’eventuale indipendenza non sarà una transizione semplice. Oggi il 60% del PIL groenlandese dipende dai finanziamenti di Copenaghen e un distacco senza solide alternative potrebbe esporre l’isola alle pressioni di potenze come Stati Uniti e Cina, entrambe interessate alle risorse naturali dell’Artico.
Nielsen, fresco di vittoria, ha dichiarato che la Groenlandia deve restare unita per affrontare questa nuova fase storica. Ma il cammino è appena iniziato e il finale resta tutto da scrivere.
Mondo
Diversità e inclusione banditi da Trump e dalla sua nuova amministrazione. Vietato usare la parola gay
Il Pentagono censura l’aereo bombardiere di Hiroshima Enola Gay: “Il nome richiama all’omosessualità”.

La recente decisione del Pentagono di censurare l’immagine dell’Enola Gay, che celebrava il bombardiere B-29 Superfortress che il 6 agosto del ’45 sganciò sulla città giapponese di Hiroshima la prima bomba atomica della storia in una guerra, ha suscitato molte polemiche. La motivazione dietro questa scelta risiede nella presenza della parola “gay” nel nome dell’aereo. Un termine che ha portato i revisori a considerarla potenzialmente in contrasto con le direttive che eliminano le politiche DEI – diversità, equità e inclusione – del Segretario alla Difesa Pete Hegseth.
La svolta “machista” del Pentagono
L’Enola Gay, battezzato in onore della madre del pilota, il colonnello Paul Tibbets, è diventato un simbolo nella rivoluzione “machista” lanciata dal Pentagono. Oltre all’immagine dell’Enola Gay, sono state segnalate per la rimozione oltre 26.000 immagini. Tra queste i ritratti di membri delle forze armate con il cognome “Gay” e foto che celebrano il contributo di donne e minoranze nelle forze armate.
L’avanzata del revisionismo made in USA
Questa decisione fa parte di una più ampia revisione avviata dall’amministrazione Trump. Il presidente ha ordinato la cancellazione di tutti i programmi DEI e la rimozione di contenuti che promuovono diversità e inclusione. La mossa ha suscitato critiche e dibattiti, con molti che vedono in essa un tentativo di riscrivere la storia. E soprattutto cancellare il contributo di gruppi marginalizzati.
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