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Dalla Russia con (troppo) amore. Il New York Post scarica Trump: “Putin è il dittatore, non Zelensky” e c’è chi lo accusa di essere una spia russa

Trump continua a ostentare indulgenza verso Putin e ostilità nei confronti dell’Ucraina, ma questa volta persino il GOP inizia a scricchiolare. Il New York Post, tradizionale alleato del tycoon, gli ha dedicato una copertina durissima: un’immagine di Vladimir Putin con la scritta “Questo è un dittatore”, accompagnata da dieci verità incontestabili sulla guerra in Ucraina. Intanto, un’ex spia kazaka rilancia vecchi sospetti: Trump sarebbe stato reclutato dal KGB già nel 1987. Realtà o teoria complottista?

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    Donald Trump continua a mostrarsi apertamente ostile all’Ucraina e indulgente nei confronti di Vladimir Putin, ma questa volta persino i suoi alleati storici iniziano a prendere le distanze. Il New York Post, giornale tradizionalmente schierato con il tycoon, ha dedicato la copertina di oggi a un messaggio inequivocabile: un’immagine del presidente russo con la didascalia «Presidente Trump, questo è un dittatore». Una sberla in pieno volto per l’ex presidente, accompagnata da un elenco di dieci verità sulla guerra in Ucraina che, secondo il quotidiano, vengono ignorate «a nostro rischio e pericolo».

    I punti sono chiari e non lasciano spazio alle ambiguità trumpiane: Putin ha iniziato la guerra, la Russia sta combattendo per conquistare un territorio che non le appartiene, l’Ucraina non è russa, la Russia non è un’amica degli Stati Uniti, mentre l’Ucraina sì, e soprattutto: Putin è un dittatore, Zelensky no. Un elenco che appare scontato per chiunque abbia conservato un minimo di lucidità geopolitica, ma evidentemente necessario per un ex presidente che negli ultimi giorni ha definito il leader ucraino un “dittatore” e lo ha escluso d’ufficio da ogni ipotetica trattativa per la pace.

    Il messaggio del New York Post arriva dopo che Trump ha ribadito, senza mezzi termini, la sua avversione agli aiuti militari per Kiev e ha deciso di non firmare una bozza di risoluzione Onu per chiedere alla Russia di ritirare le sue truppe. Non solo: il tycoon ha persino rifiutato di appoggiare un documento del G7 in cui Mosca veniva definita «aggressore». La governatrice di New York, Kathy Hochul, ha immediatamente replicato all’amministrazione Trump con parole dure: «Siamo una nazione di leggi, non governata da un re», aggiungendo che lo Stato farà ricorso contro l’ennesima decisione scellerata dell’ex presidente.

    La copertina del New York Post non è un episodio isolato. Da giorni sui social media circolano meme e video satirici che evidenziano lo stretto rapporto tra Trump e Putin. Uno dei più condivisi mostra il presidente russo con in mano un cappellino MAGA mentre la bandiera americana viene progressivamente trasformata in una bandiera russa. Un’immagine che sintetizza in modo brutale ciò che molti temono: Trump non è più solo un ammiratore di Putin, è il suo più grande alleato negli Stati Uniti.

    Lo stesso Trump non fa nulla per nasconderlo. Il suo astio verso Zelensky è diventato un mantra, un’ossessione che lo porta a ribaltare la realtà con la consueta sfacciataggine. Per lui, chi resiste a un’invasione sanguinosa e combatte per l’indipendenza della propria nazione è un dittatore. Chi invece ordina bombardamenti sulle città e avvelena gli oppositori è un leader da rispettare. Il ribaltamento dei valori è totale, il tradimento dell’Occidente, ormai, è esplicito.

    A complicare il quadro arriva un’accusa che rilancia i sospetti mai sopiti sui legami di Trump con la Russia. Secondo un post pubblicato ieri su Facebook e rilanciato dal collettivo Anonymous, il tycoon sarebbe stato reclutato dal KGB nel 1987. A rivelarlo è Alnur Mussayev, ex agente segreto, che sostiene di essere stato all’epoca in servizio presso il 6° Dipartimento del KGB a Mosca: «L’area di lavoro più importante del 6° Dipartimento era l’acquisizione di spie e fonti di informazione tra gli uomini d’affari dei paesi capitalisti. Fu in quell’anno che il nostro Dipartimento reclutò un quarantenne uomo d’affari americano, Donald Trump, nome in codice ‘Krasnov’».

    Sebbene le prove dirette di un legame così profondo tra il tycoon e il Cremlino siano ancora oggetto di dibattito, alcuni elementi fattuali appaiono quantomeno sospetti. Nel 1987 Trump visitò Mosca per cercare opportunità di business, soggiornando sotto il controllo dell’ente turistico sovietico Intourist, gestito dal KGB. Pochi mesi dopo, acquistò pagine pubblicitarie su New York Times, Washington Post e Boston Globe, spendendo 94.800 dollari per pubblicare una lettera aperta in cui criticava la politica estera americana.

    Un altro episodio controverso riguarda la vendita della sua villa di Palm Beach nel 2008: il magnate russo Dmitry Rybolovlev gliela comprò per 95 milioni di dollari, quando pochi anni prima Trump l’aveva acquistata per 41 milioni. Un’operazione definita “insolita” dagli analisti, considerando che il tycoon stava attraversando un periodo finanziariamente difficile.

    Le voci su legami pericolosi fra Trump e la Russia circolano da anni. Durante il suo primo mandato presidenziale, l’inchiesta di Robert Mueller non riuscì a provare un’effettiva collusione, ma un rapporto del Moscow Project rivelò che la campagna di Trump aveva avuto almeno 38 incontri certi con rappresentanti vicini al Cremlino.

    Nel libro American Kompromat (2017), il giornalista Craig Unger riportò le testimonianze di Yuri Shvets, ex ufficiale del KGB, secondo cui Mosca aveva “coltivato” Trump per anni, sfruttando il suo ego smisurato.

    Ora l’attacco di Mussayev rilancia le teorie complottiste: secondo la ex spia kazaka, «Non ho dubbi che la Russia possieda kompromat (informazioni compromettenti) su di lui e che il Cremlino lo abbia preparato per anni per salire alla presidenza della principale potenza mondiale».

    A Washington qualcuno ha iniziato ad alzare la voce. Joe Walsh, ex deputato repubblicano e candidato alle primarie nel 2020, ha dichiarato alla CNN che Trump «dice tutto quello che direbbe Vladimir Putin. Potrebbe essere una spia, una risorsa dei russi». Il conduttore del talk show si è immediatamente dissociato da questa affermazione, ma il sospetto continua a serpeggiare.

    Anche all’interno del Partito Repubblicano c’è chi comincia a dubitare. La diffusione dell’immagine generata dall’intelligenza artificiale che ritrae Trump in divisa da ufficiale del KGB, con la scritta “President Krasnov”, ha scatenato reazioni miste.

    Quel nome, Krasnov, non è casuale: evoca il generale Piotr Nikolaevic Krasnov, che durante la Seconda Guerra Mondiale appoggiò la Germania nazista contro l’Unione Sovietica, sostenendo il piano di Hitler di creare un corpo cosacco al fianco della Wehrmacht. Alla fine del conflitto, i britannici lo consegnarono ai sovietici, che lo impiccarono nei sotterranei della Lubjanka nel 1947.

    E mentre Trump continua a giocare a fare il leader assoluto, anche i suoi stessi sostenitori iniziano a dubitare di lui. Il New York Post lo ha detto senza mezzi termini: il vero dittatore è Putin. Non Zelensky. Non Biden. E di certo non chi combatte per la propria libertà.

    Ma Trump, come sempre, è sordo a qualsiasi verità che non coincida con il suo ego smisurato. E mentre lui strizza l’occhio al Cremlino, l’America rischia di pagare un prezzo altissimo.

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