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Il ritorno del Papa tra la sua gente: “Grazie a tutti”, e il sorriso di chi sa amare anche nella sofferenza
Dopo oltre un mese di ricovero, Papa Francesco è tornato tra le mura di Santa Marta, accolto dall’abbraccio di Roma e del mondo intero. Un pastore stanco ma sorridente, che continua a indicare la strada con la forza semplice del Vangelo.
Il Papa è tornato a casa. E già questa frase, semplice e potente, scalda il cuore. Francesco è rientrato a Santa Marta, nella sua “abitazione” dentro le mura del Vaticano, ma per chi lo segue da anni, la sensazione è che sia tornato tra di noi, al suo popolo, là dove la sua voce mancava, là dove serviva più che mai. Dopo 38 giorni di ospedale, la battaglia contro la polmonite è stata vinta, ma il volto affaticato, i gesti rallentati, ci ricordano che non è un ritorno qualsiasi. È il ritorno di un uomo fragile, sì, ma anche di un gigante del nostro tempo.
Se c’è una parola che oggi risuona forte, quella parola è gratitudine. Quella che Francesco ha pronunciato subito affacciandosi dal balconcino del Gemelli: “Ringrazio tutti”. Due parole, niente retorica, niente fronzoli. Semplice e diretto, come sempre. Eppure in quel “tutti” ci siamo finiti dentro noi, con le nostre preghiere sussurrate, i messaggi di affetto, gli articoli che in questi giorni hanno riempito i giornali di apprensione per le sue condizioni. Ci sono i medici e gli infermieri che non lo hanno mai lasciato solo, c’è l’infermiera che oggi lo ha aiutato a salutare i fedeli. E c’è una donna qualsiasi, con dei fiori gialli tra le mani, che il Papa ha voluto portare come omaggio personale a Santa Maria Maggiore, una tappa fuori programma di chi conosce il valore dei simboli.
Perché Francesco non è mai stato solo il capo di una Chiesa. È stato ed è un pastore che sa stare accanto al suo gregge, anche da un letto d’ospedale. Anche con il respiro corto, anche con la fatica negli occhi. È il Papa che non ha bisogno di salire in cattedra, perché ha sempre scelto la strada dell’umiltà, del vangelo fatto carne, del messaggio che scende tra la gente e lì si ferma.
Oggi, tornando a casa, il Papa ci ha ricordato quanto sia difficile non amarlo. Non perché sia un Papa perfetto – e lui per primo non vorrebbe esserlo – ma perché è tremendamente vero. Un uomo che, mentre fatica a parlare senza ossigeno, continua a intercedere per la pace nel mondo. Un pastore che, con i polmoni ancora deboli, trova la forza di sorridere a quella signora fuori dalla Porta del Perugino, che lo saluta con un semplice “bentornato” e si commuove davanti alla sua risposta: “Grazie”.
E allora sì, oggi più che mai lo vediamo per ciò che è: un Papa eroico, non perché lotti contro la malattia come un guerriero, ma perché continua a testimoniare il suo amore per gli ultimi, per chi soffre, per chi si sente dimenticato. Amato dal popolo più che dalle élite, Francesco non ha mai avuto paura di sporcarsi le mani con la realtà, di alzare la voce contro le ingiustizie, di percorrere sentieri che a volte lo hanno lasciato solo.
Sappiamo bene che la convalescenza sarà lunga, che la sua età peserà come un macigno, che dovrà dosare ogni parola e ogni impegno. Sappiamo che dovrà fare fisioterapia, respirare ossigeno ancora per settimane, mangiare con cura e riposare il più possibile. Ma sappiamo anche che il Papa è tornato. E questo basta a rasserenare la Chiesa, i fedeli e chiunque, oggi, si è fermato a guardare quel balcone del Gemelli dove Francesco ha sventolato il vessillo più potente: quello della resilienza.
Certo, non è mancato nemmeno il clamore mediatico. “È tornato!” titolano i siti di tutto il mondo. Dalla Bild alla Bbc, da Le Monde alla Cnn, l’immagine del Papa che si affaccia stanco ma sorridente ha fatto il giro del globo. Ma, a ben guardare, la scena più bella è rimasta quella della signora Stefania che da una finestra di fronte a Santa Marta ha scambiato un sorriso e poche parole con il suo vicino di casa speciale: “Molto provato, ma siamo felici che sia tornato”.
Siamo tutti un po’ quella signora, oggi. Stretti davanti a quella portiera aperta, a ripetere sottovoce “bentornato Francesco”. E a pregare che la stella polare del suo pontificato, il Vangelo della misericordia, continui a illuminare il nostro cammino, nonostante tutto.