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Musk Jr e il dito nel naso: Trump rimuove la scrivania presidenziale

Durante la visita di Elon Musk, il figlio di quattro anni esplora lo Studio Ovale e lascia il segno sulla scrivania presidenziale con un gesto che imbarazza la Casa Bianca. Trump, ossessionato dall’igiene, fa rimuovere in tutta fretta il leggendario Resolute Desk usato da Kennedy, Reagan e Obama. Sarà davvero solo un restauro?

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    Una visita memorabile, un gesto infantile e una scrivania che finisce sotto restauro con una velocità sospetta. Non è la trama di un film comico, ma l’ultima trovata della Casa Bianca targata Trump. Tutto è successo quando il piccolo X Æ A-12, figlio di Elon Musk, ha messo piede nello Studio Ovale durante la visita del padre e, con la naturalezza di un bambino di quattro anni, ha deciso di lasciare il segno. Letteralmente.

    Nei video della giornata, il rampollo di casa Musk appare intento a esplorare l’ufficio presidenziale, mentre il padre discute con Trump delle strategie di taglio alla spesa pubblica. Nulla di strano, finché il piccolo non si infila un dito nel naso e poi lo strofina con disinvoltura sul leggendario Resolute Desk, la scrivania simbolo della presidenza americana dal 1960, usata tra gli altri da John F. Kennedy, Ronald Reagan e Barack Obama.

    Trump, noto per la sua attenzione quasi ossessiva all’igiene e al decoro (perlomeno quando non si tratta del suo self-tan), ha impiegato pochi minuti per prendere una decisione drastica: via la scrivania! La notizia, riportata inizialmente dal New York Post, ha rapidamente infiammato i social. Il comandante in capo ha confermato l’accaduto con un post su Truth Social, evitando elegantemente di menzionare il fattore muco presidenziale nella rimozione del pezzo storico: “Il Presidente, dopo l’elezione, può scegliere una scrivania su sette. Questa scrivania, la ‘C&O’, anch’essa molto nota e utilizzata dal presidente George H.W. Bush e altri, è stata temporaneamente installata alla Casa Bianca mentre il Resolute Desk è in fase di un leggero restauro, un lavoro molto importante. Questa è una sostituzione temporanea, ma bellissima!”.

    E così, la sacra reliquia del potere americano si trova ora sotto restauro per un non meglio specificato “lavoro molto importante”, mentre la nuova scrivania, più umile ma pulita, prende il suo posto. L’episodio segna una nuova frontiera nel rapporto tra politica e impronta infantile (nel senso letterale del termine), lasciando aperte domande fondamentali: basterà un restauro per cancellare il segno di Musk Jr? E soprattutto, quanto ci metterà Trump a ribattezzare l’accaduto come il Booger-Gate?

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      Mondo

      Maria Elena Bergoglio, l’unica sorella di Papa Francesco: “Era il fratello che giocava a pallone e non faceva mai arrabbiare i nostri genitori”

      Divorziata e madre di due figli, oggi Maria Elena vive vicino a Buenos Aires e, nonostante una grave malattia, ha continuato a mantenere un legame fortissimo con il fratello divenuto Pontefice.

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        Quando Papa Francesco fu eletto nel 2013, nella casa alla periferia di Buenos Aires il telefono squillava senza sosta. Non era facile per Maria Elena Bergoglio, sorella minore di Jorge Mario, rispondere all’ondata di curiosità, affetto e domande. Quel fratello maggiore, che per lei era semplicemente il compagno di giochi e il riferimento sicuro dell’infanzia, era diventato il leader spirituale di oltre un miliardo di cattolici.

        Nata il 7 febbraio 1948 da Mario Bergoglio e Regina María Sivori, Maria Elena è l’ultima di cinque fratelli. Con Jorge Mario aveva ben 13 anni di differenza, ma questo non aveva mai creato una distanza affettiva: al contrario, dopo la morte improvvisa del padre, quando lei aveva solo 11 anni, fu proprio lui a farsi carico — con dolcezza e discrezione — di quel ruolo paterno che il destino aveva lasciato vuoto.

        “Jorge Mario era per me il fratello più grande, quello che giocava a pallone, che andava all’Azione Cattolica e che studiava. Davvero non mi ricordo che abbia mai fatto arrabbiare papà o mamma”, raccontava qualche anno fa Maria Elena in una rara intervista a Repubblica, nella sua villetta semplice, a un’ora dal centro di Buenos Aires.

        La vita di Maria Elena non è stata priva di prove. Divorziata, madre di due figli, ha affrontato una grave malattia: un ictus che l’ha colpita duramente e che ha limitato la sua mobilità. Proprio per questa ragione, non ha mai potuto recarsi in Vaticano a trovare il fratello dopo la sua elezione al soglio pontificio. Ma il legame con Jorge Mario è rimasto saldo e profondo: “Anche quando affrontai il divorzio da mio marito mi appoggiò, mi aiutò”, aveva confidato. Un sostegno incondizionato, malgrado le regole tradizionali della Chiesa che in altri tempi avrebbero potuto scoraggiarlo.

        Durante i lunghi mesi di riabilitazione dopo l’ictus, Francesco le è stato accanto anche a distanza, telefonandole ogni giorno per infonderle coraggio. Nonostante gli impegni sempre più pressanti del pontificato, Papa Francesco non ha mai fatto mancare la sua presenza, sia pure attraverso brevi, preziose telefonate.

        Oggi Maria Elena Bergoglio è l’unico legame di sangue rimasto di Papa Francesco. Tutti gli altri fratelli sono scomparsi. La loro relazione, cresciuta negli anni e rinsaldata dalla fede e dall’affetto, racconta molto anche dell’uomo che è stato Jorge Mario Bergoglio: un Papa capace di vedere il prossimo sempre come un fratello o una sorella, a partire dalla propria famiglia.

        In una Chiesa che si prepara a rendere omaggio al suo Pontefice defunto, c’è una donna discreta, lontana dai riflettori, che più di ogni altro può testimoniare la semplicità, la dolcezza e la fermezza che hanno fatto di Jorge Mario Bergoglio “il Papa della gente”. Per lei, non sarà mai stato un Pontefice, ma semplicemente quel fratello maggiore che, da ragazzino, le insegnava a giocare a pallone nei cortili polverosi di Buenos Aires.

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          Mondo

          Cena a lume di dollari: Trump offre un pasto con lui a Mar-a-Lago per cinque milioni

          La campagna di Donald Trump non si ferma: dopo i gala da un milione di dollari a posto, ora arriva la cena privata per pochi (e ricchissimi) eletti. Tra raccolta fondi e dubbi sulla sicurezza, l’ex tycoon continua a macinare milioni.

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            Se avete sempre sognato di cenare con il presidente degli Stati Uniti, ora potete farlo. Basta avere a disposizione almeno due milioni di dollari, meglio ancora cinque, e la porta di Mar-a-Lago si aprirà per voi. Donald Trump ha lanciato il Candlelight Dinner, un evento esclusivo in cui il donatore si ritroverà seduto a lume di candela con il presidente, faccia a faccia nel suo lussuoso resort a Palm Beach, in Florida.

            Non è la prima volta che l’ex tycoon utilizza il cibo come pretesto per raccogliere fondi. Già nel fine settimana ha organizzato una cena di gala nel suo resort, dove ogni ospite ha dovuto versare un milione di dollari per partecipare. Eventi simili erano stati proposti anche a novembre e gennaio, alla vigilia del suo ritorno alla Casa Bianca.

            Un affare milionario (e qualche dubbio di sicurezza)

            L’iniziativa, svelata da Wired, solleva inevitabilmente interrogativi: quanto è sicuro un presidente che offre una cena privata a chiunque sia disposto a sborsare milioni? La Casa Bianca avrà previsto un protocollo per verificare che tra i donatori non ci sia un aspirante villain da romanzo di spionaggio?

            Ma a Trump interessa soprattutto un’altra questione: i soldi. Secondo Axios, la sua campagna punta a raccogliere mezzo miliardo di dollari entro l’estate, denaro destinato a rafforzare il suo apparato politico e, pare, anche a vendicarsi dei suoi nemici. Un dettaglio che fa sorgere una domanda ancora più inquietante: perché un presidente al secondo mandato ha bisogno di raccogliere così tanto denaro?

            Cena con Trump: il network dei grandi donatori

            Dietro l’operazione Candlelight Dinner c’è il comitato Maga Inc., che vede tra i suoi volti noti Miriam Adelson, vedova del magnate dei casinò Sheldon Adelson. Il gruppo fa parte di un network di potenti finanziatori trumpiani, che include Never Surrender e Building America’s Future, una no-profit collegata a Elon Musk.

            La cena di gala dello scorso weekend era riservata ai grandi donatori della campagna. Gli invitati hanno ricevuto un invito diretto da Meredith O’Rourke, consigliera e responsabile finanziaria del tycoon, con la precisazione che Trump non avrebbe chiesto donazioni, ma semplicemente parlato. Il prezzo per ascoltarlo? Un milione di dollari.

            Il messaggio, insomma, è chiaro: i soldi non dormono mai, nemmeno quando si spengono le luci e si accendono le candele di Mar-a-Lago.

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              Putin annuncia una tregua pasquale in Ucraina, speriamo che sia la volta buona!

              Da Mosca l’ordine di cessare il fuoco fino a domenica sera. Zelensky denuncia: «Allarmi antiaerei in tutto il Paese». Il precedente del Natale ortodosso del 2023 pesa come un macigno.

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                Vladimir Putin ha annunciato un cessate il fuoco in Ucraina in occasione della Pasqua. Il presidente russo ha ordinato una sospensione delle ostilità a partire dalle 17 di sabato 19 aprile (ora italiana) fino alla mezzanotte di domenica 20, data in cui ortodossi e cattolici celebrano contemporaneamente la resurrezione di Cristo. Un gesto che, secondo il leader del Cremlino, risponderebbe a “considerazioni umanitarie” e rappresenterebbe un tentativo per testare la disponibilità di Kiev a intraprendere un percorso di pace.

                «Ordino la cessazione di tutte le azioni militari per questo periodo», ha dichiarato Putin durante un incontro televisivo con il capo di Stato maggiore Valery Gerasimov, specificando che le truppe dovranno comunque restare pronte «a respingere eventuali provocazioni».

                Ma in Ucraina le parole del Cremlino sono accolte con profonda diffidenza. «Quanto all’ennesimo tentativo di Putin di giocare con le vite umane, in questo momento gli allarmi antiaerei si stanno diffondendo in tutta l’Ucraina», ha scritto su X il presidente Volodymyr Zelensky. «Alle 17:15, appena quindici minuti dopo l’inizio della presunta tregua, droni d’attacco russi sono stati rilevati nei nostri cieli», ha aggiunto il leader ucraino, denunciando l’ipocrisia dell’iniziativa russa. Secondo Zelensky, il vero volto del cessate il fuoco proclamato da Mosca si nasconderebbe dietro i droni Shahed iraniani ancora attivi e visibili nei cieli ucraini.

                Anche il sindaco di Kiev, Vitaliy Klitschko, ha confermato l’attivazione della difesa aerea nella capitale, invitando i cittadini a restare nei rifugi. «Le forze di difesa stanno lavorando contro i droni nemici sulla riva sinistra della città», ha scritto su Telegram, evidenziando la fragilità di una tregua che, nella pratica, sembra già infranta.

                Al momento, da Kiev non sono arrivate risposte ufficiali all’offerta di cessate il fuoco, mentre sul terreno la situazione appare tutt’altro che stabile. Il ricordo della precedente “tregua natalizia” proposta da Putin nel gennaio 2023 pesa ancora sulle valutazioni ucraine. All’epoca, il Cremlino aveva annunciato una sospensione di 36 ore in coincidenza con il Natale ortodosso, promessa violata poche ore dopo con un’intensa offensiva missilistica che colpì città come Kharkiv e Bakhmut, causando vittime tra i civili.

                Anche stavolta, l’impressione da Kiev è che la mossa di Mosca sia più una manovra propagandistica che un reale gesto di distensione. Il messaggio di Putin appare destinato più al pubblico internazionale che al nemico sul campo, nella speranza di mostrarsi come leader magnanimo e ragionevole mentre, nei fatti, le operazioni militari proseguono.

                La decisione di proclamare il cessate il fuoco arriva in un momento particolarmente critico per Mosca, alle prese con sanzioni economiche sempre più dure e con una guerra che, nonostante la propaganda interna, sta comportando costi altissimi in termini di vite umane e risorse.

                Resta da vedere se e quanto effettivamente questa tregua durerà. Per ora, a parlare più delle dichiarazioni ufficiali sono i radar ucraini che continuano a segnalare minacce nei cieli e il suono inconfondibile delle sirene antiaeree. In una guerra dove la parola “fiducia” è da tempo uscita dal vocabolario, anche la Pasqua sembra non riuscire a fermare la violenza.

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