Mondo
Torri Gemelle patteggiano i terroristi. Ergastolo in cambio della pena di morte
Khalid Shaikh Mohammed, Walid bin Attach e Mustafa al-Hawsawi evitano la pena di morte patteggiando l’ergastolo per il loro ruolo nell’attentato alle Torri Gemelle. L’accordo, approvato dal Pentagono, ha sollevato critiche tra i familiari delle vittime.
È arrivato al capolinea il processo per l’attentato alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001. Khalid Shaikh Mohammed, Walid bin Attach e Mustafa al-Hawsawi, sotto custodia americana dal 2003, hanno patteggiato l’ergastolo in cambio di evitare un processo che avrebbe potuto concludersi con la pena di morte a Guantanamo.
Si dichiarano colpevoli
In una lettera inviata alle famiglie delle vittime, pubblicata dal New York Times, si legge che i tre imputati, “in cambio dell’abolizione della pena di morte come possibile punizione, hanno accettato di dichiararsi colpevoli dei reati che gli sono contestati, compreso l’omicidio di 2.976 persone”. Questa intesa evita un processo che avrebbe potuto durare 12-18 mesi. Mohammed, ingegnere che ha studiato negli Stati Uniti, ha ammesso di aver pianificato il dirottamento degli aerei contro i due edifici della Grande Mela.
Arrestati in Pakistan
Secondo quanto accertato, l’uomo espose il suo piano a Osama bin Laden nel 1996 e contribuì fattivamente alla sua realizzazione. Mohammed e Hawsawi sono stati arrestati in Pakistan nel 2003 e detenuti in prigioni segrete cinesi fino al loro trasferimento a Guantanamo.
I familiari contrari
I familiari delle vittime dell’11 settembre hanno criticato l’accordo raggiunto dagli Stati Uniti con l’ideatore degli attacchi e due dei suoi complici. “Hanno commesso il peggior crimine della storia e dovrebbero ricevere la pena maggiore”, ha detto al New York Post l’ex agente della polizia di New York Jim Smith, che ha perso sua moglie negli attacchi.
Arrabbiati e delusi
“Sono arrabbiato e deluso dal fatto che i nemici che hanno ucciso migliaia di americani sono ora in grado di aggirare il sistema giudiziario a loro beneficio”. Ha dichiarato Kathy Vigiano, il cui marito è una delle vittime degli attacchi.
Queste critiche mettono in evidenza il dolore e la rabbia che continuano a persistere tra coloro che hanno perso i propri cario. La decisione di patteggiare, sebbene comprensibile da un punto di vista legale, non è riuscita a placare il senso di giustizia insoddisfatta di molte famiglie.
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Mondo
Trump elogia i generali di Hitler: “Vorrei uomini così leali”. E poi insulta la soldatessa uccisa e la sua famiglia
L’ammirazione di Trump per l’obbedienza cieca dei generali di Hitler riaccende le critiche sulla sua visione autoritaria del potere. E nel frattempo emergono nuove inquietanti rivelazioni sulla gestione del caso Guillén, con commenti razzisti che svelano un lato oscuro del suo carattere.
Donald Trump non smette mai di far parlare di sé, e questa volta è il suo presunto apprezzamento per i generali di Adolf Hitler a creare scalpore. Secondo un articolo pubblicato dalla prestigiosa rivista The Atlantic, durante una conversazione privata alla Casa Bianca, l’ex presidente americano avrebbe espresso il desiderio di avere “il tipo di generali che aveva Hitler”. Un’affermazione che ha subito infiammato il dibattito pubblico, sollevando interrogativi sul rapporto di Trump con i valori democratici e la sua comprensione della storia.
“Generali fedeli come quelli di Hitler”
Trump, stando all’articolo, si lamentava del fatto che i generali americani non fossero leali nei suoi confronti, come lo erano stati quelli del dittatore nazista. “Ho bisogno del tipo di generali che aveva Hitler”, avrebbe detto, lodando la cieca obbedienza di cui godeva il Führer, ignorando che molti di quei generali finirono per complottare contro di lui. Non è la prima volta che Trump viene accusato di dichiarazioni simili. Nel libro The Divider: Trump in the White House, pubblicato nel 2022, si racconta di un episodio in cui Trump chiese al suo allora capo di stato maggiore, John Kelly, perché i generali americani non potessero essere come quelli tedeschi. Alla risposta ironica di Kelly, che ricordava l’epilogo tragico di molti ufficiali nazisti, Trump avrebbe ribadito la sua ammirazione per la “lealtà” di quei militari.
La risposta di Trump e la negazione dello staff
Non sorprende che lo staff di Trump abbia prontamente negato queste affermazioni. Alex Pfeiffer, portavoce della campagna di Trump, ha definito l’articolo di The Atlantic “assolutamente falso”, ma l’inquietudine sollevata da queste parole rimane palpabile. Per quanto smentite, le dichiarazioni di Trump trovano terreno fertile in un passato di commenti controversi e spesso maldestri sulle forze armate.
Il caso Vanessa Guillén e la controversia sul funerale
L’articolo di The Atlantic non si ferma qui. In un altro episodio che ha fatto discutere, Trump avrebbe reagito in modo insensibile alla notizia dei costi del funerale della soldatessa Vanessa Guillén, uccisa nel 2020 a Fort Hood, Texas. Nonostante Trump avesse pubblicamente promesso alla famiglia di coprire le spese, quando scoprì che il funerale sarebbe costato 60.000 dollari, reagì con rabbia, secondo l’articolo: “Non costa 60mila bigliettoni seppellire una fottuta messicana”. La frase, oltre a rivelare un lato oscuro del suo carattere, ha riacceso le polemiche sulla sua retorica razzista e sulla sua gestione delle questioni legate alle forze armate e alle minoranze.
Generali di Hitler, funerali e retorica razzista
Le accuse rivolte a Trump dipingono un quadro che alimenta una narrazione già critica. L’elogio ai generali di Hitler, con tutte le implicazioni storiche che ne derivano, e la cruda reazione alla questione del funerale di Vanessa Guillén offrono uno spaccato di un leader apparentemente scollegato dalla sensibilità comune. La preoccupazione non è solo legata alla natura delle sue affermazioni, ma anche all’immagine che continua a dare di se stesso: un leader che sembra affascinato da regimi autoritari e che spesso fatica a trattenere commenti controversi su questioni razziali e culturali.
Una questione di lealtà o di democrazia?
La questione fondamentale che emerge da queste dichiarazioni è quella della lealtà. Trump sembra confondere la lealtà personale con la lealtà istituzionale. I generali americani giurano fedeltà alla Costituzione, non al Presidente, un principio fondamentale della democrazia americana che Trump sembra non aver compreso appieno. Questo richiamo ai generali nazisti solleva domande sulla sua visione del potere e sul rispetto per i valori democratici che dovrebbero guidare un leader.
Mondo
Kamala Harris nella tana del leone: scontro acceso su Fox News, la tv pro Trump
Nell’intervista a Fox News, Kamala Harris ha cercato di fare breccia negli elettori repubblicani, ma l’incontro è diventato subito incandescente. Tra interruzioni e affermazioni pungenti, la vicepresidente si è detta pronta a portare idee fresche alla Casa Bianca, voltando pagina rispetto all’era Biden e l’era Trump.
Kamala Harris si è trovata faccia a faccia con il giornalista veterano di Fox News, Bret Baier, in una delle interviste più combattive della sua campagna elettorale. Fox News, da sempre vicina a Donald Trump, non è certo il terreno più amichevole per un’esponente democratica, ma Harris ha deciso di giocare d’attacco. L’attuale vicepresidente, che ha dichiarato di voler voltare pagina rispetto all’era Biden, ha cercato di conquistare un pubblico tradizionalmente ostile, quello degli elettori repubblicani, cercando di mostrare una visione di leadership personale e indipendente.
Nonostante i tentativi, il dialogo si è trasformato presto in un botta e risposta incandescente. Harris ha più volte chiesto al giornalista di lasciarla terminare, in quello che è sembrato un déjà vu delle sue strategie nei dibattiti al Congresso. “Deve lasciarmi finire”, ha affermato all’inizio dell’intervista, cercando di rispondere a domande pungenti su immigrazione e altre questioni calde.
Un momento particolarmente teso è stato quando Baier ha incalzato Harris sui suoi precedenti commenti a favore dell’uso dei fondi pubblici per il supporto di genere ai detenuti transgender. Ma Harris non ha arretrato di un millimetro, ribadendo con fermezza le sue posizioni progressiste.
La discussione è poi virata su Trump, con Harris che ha colto l’occasione per lanciare un monito agli elettori americani. “Le persone sono stufe di qualcuno che si professa leader, ma che passa il suo tempo a fare rimostranze personali e sminuire gli altri. Trump non è stabile”, ha dichiarato con tono perentorio.
In conclusione, mentre Harris ha cercato di dimostrarsi combattiva, consapevole del contesto in cui si trovava, Baier ha continuato a insistere su questioni scottanti per il pubblico conservatore, compresi i crimini commessi da immigrati clandestini.
Sia Harris che Fox News hanno ottenuto quello che cercavano: da una parte, una vicepresidente decisa a farsi valere anche tra i leoni della stampa conservatrice, dall’altra una rete capace di mettere in difficoltà uno degli avversari più temibili di Trump.
Mondo
Scoperto a Jebel Irhoud il volto del più antico Homo Sapiens
Il cranio di Jebel Irhoud ha una rilevanza fondamentale poiché ha permesso di anticipare la data di nascita della nostra specie di Homo sapiens di almeno 100 mila anni. Definito un volto forte e sereno da Moraes e dall’aspetto moderno dal Max Planck Institute, il cranio rappresenta una pietra miliare nello studio dell’evoluzione umana.
Il nostro antenato visse 315 mila anni fa in Marocco. Secondo lo scienziato brasiliano Cicero Moraes aveva un viso forte e sereno e dall’aspetto moderno.
L’istantanea ricavata da un fossile
Il fossile del cranio era stato trovato per caso negli anni ’60 a Jebel Irhoud, in Marocco, durante un’estrazione mineraria. Oggi, grazie al lavoro del ricercatore brasiliano Moraes, quel teschio di 315 mila anni fa, il più antico mai scoperto di Homo Sapiens, ha finalmente un volto. Moraes ha pubblicato il suo studio sulla rivista di computer grafica 3D OrtogOnLineMag. Recentemente, lo studioso aveva anche ricostruito anche il volto di una donna di Neanderthal.
Come funziona il processo di ricostruzione
Moraes, esperto nella ricostruzione di volti, ha delineato i lineamenti facciali di Irhoud utilizzando la Ricostruzione Facciale Forense (RFF). Ha scansionato in 3D il teschio utilizzando uno strumento di fotogrammetria, OrtogonBlender. Il lavoro è stato reso possibile grazie ai dati forniti dal Max Planck Institute, che ha contribuito con informazioni su vari elementi appartenenti ad altri individui. Moraes ha usato la tomografia di un umano moderno, deformandola per adattarla al cranio di Jebel Irhoud.
Il volto del nostro antenato
Il risultato finale mostra una scatola cranica grande ma arcaica, mentre la dentatura è già moderna. Moraes ha generato due gruppi di immagini: uno oggettivo con elementi tecnici, senza capelli e in scala di grigi. Un altro artistico con colore della pelle e capelli.
Per Moraes, il fossile assomiglia al teschio di Homo sapiens Skhul V, ritrovato nel 1932 in Israele e datato intorno ai 120 mila anni fa.
L’importanza di questa scoperta
Il cranio di Jebel Irhoud ha una rilevanza fondamentale poiché ha permesso di anticipare la data di nascita della nostra specie di Homo Sapiens di almeno 100 mila anni. Definito un volto forte e sereno da Moraes e dall’aspetto moderno dal Max Planck Institute, il cranio rappresenta una pietra miliare nello studio dell’evoluzione umana.
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