Mondo
Trump condannato: andrà in carcere? E può correre alle elezioni?
Che cosa succede ora a Donald Trump, dopo la condanna per aver falsificato i conti e aver pagato la pornostar Stormy Daniels per il suo silenzio? L’impatto del giudizio e il futuro del candidato repubblicano
La notizia della condanna di Donald Trump è stata letta con tono severo sulla CNN da Jake Tapper, che modererà il primo dibattito presidenziale tra Trump e Biden il 27 giugno. Tapper ha aggiunto: «Se vi chiedete quali saranno le conseguenze politiche di questo verdetto, la risposta breve è: nessuno ne ha idea. Punto». Sulla tv di destra Fox News, Jeanine Pirro, spesso presente in aula durante il processo, ha affermato che nessuno a parte Trump sarebbe mai stato condannato a New York per accuse simili. Tucker Carlson, ex commentatore di Fox ora su X, ha dichiarato apocalitticamente che i 13 giurati di New York hanno decretato «la fine del sistema giudiziario più giusto del mondo» e ha assicurato che Trump vincerà comunque se «non viene ucciso prima».
La condanna di Trump: un evento storico senza precedenti
La condanna di Trump nel tribunale penale di New York, la città che segnò la sua ascesa, è un evento storico: è la prima volta che accade a un ex presidente degli Stati Uniti e al candidato alla Casa Bianca di uno dei due maggiori partiti. La costituzione non vieta a un condannato (anche eventualmente in carcere) di correre per la Casa Bianca. Il socialista Eugene Debs fece campagna elettorale per la presidenza negli anni Venti da una prigione federale di Atlanta, con una condanna a dieci anni di carcere per sedizione.
Le conseguenze politiche del verdetto restano incerte
Le conseguenze del verdetto per le elezioni di novembre sono incerte. Un sondaggio della Quinnipiac University del mese scorso indicava che il 6% degli elettori di Trump sarebbe meno disposto a votare per lui se condannato: un numero piccolo ma che, in una elezione testa a testa come quella con Biden, potrebbe essere significativo. Altri credono che tra cinque mesi, questa condanna conterà poco in un’elezione in cui la priorità degli americani è l’economia. Inoltre, Trump ha usato questo processo per presentarsi come una vittima del sistema e motivare il suo elettorato.
La pena: deciderà il giudice Merchan l’11 luglio
Decidere la pena toccherà al giudice Juan Merchan, più volte accusato da Trump di essere «corrotto». Lo farà in un’udienza fissata per l’11 luglio, quattro giorni prima della convention repubblicana di Milwaukee che incoronerà Trump come candidato alla Casa Bianca. La pena potrebbe variare da una multa di 5.000 dollari alla libertà condizionata, fino agli arresti domiciliari o, possibilmente (ma è improbabile), tra i 16 mesi e i quattro anni di carcere. Il giudice dovrà tenere conto di diversi aspetti: l’età di Trump (77 anni), la mancanza di precedenti penali, il fatto che si tratta di un crimine non violento, e la violazione da parte dell’imputato dell’ordine di non attaccare i procuratori, i testimoni, il giudice e i loro familiari durante il processo.
Le implicazioni di una potenziale incarcerazione di Trump
Mettere in carcere Trump comporterebbe problemi non solo perché è candidato alla Casa Bianca, ma anche per questioni pratiche: in quanto ex presidente, ha diritto alla protezione dei servizi segreti, che dovrebbe continuare anche in prigione. I servizi segreti stanno analizzando questa eventualità, prendendo in considerazione Rikers Island, ma sarebbe estremamente complicato per il sistema carcerario e costoso. Anche gli arresti domiciliari o la libertà vigilata implicherebbero complicazioni: il candidato alla Casa Bianca dovrebbe essere autorizzato a fare i comizi fuori dallo Stato e chiedere il via libera all’ufficiale assegnatogli, per esempio, per partecipare al dibattito presidenziale con Biden ad Atlanta il 27 giugno.
Il ricorso di Trump: un processo lungo e complesso
In ogni caso, Trump farà ricorso in appello: ha trenta giorni per presentarne richiesta e sei mesi per consegnare l’intero appello, il che potrebbe significare mesi o anni prima di una sentenza definitiva, che nessuno si aspetta possa arrivare prima delle elezioni di novembre. Anche se condannato al carcere, rimarrebbe libero su cauzione durante il processo di appello. Se eletto presidente, Trump non può graziare se stesso in questo caso, poiché la grazia può essere utilizzata solo per casi federali, come due di quelli ancora in sospeso e che probabilmente non si chiuderanno prima delle elezioni. Tuttavia, questo è un caso deciso dallo Stato di New York.
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Mondo
Il governo MAGA come un circo: wrestler, dietologi e miliardari pronti a smantellare l’America
Un’ex manager del wrestling alla guida dell’istruzione, un dietologo televisivo responsabile della salute di milioni di poveri e anziani, e un magnate della finanza per i dazi. Dietro le nomine di Trump si nasconde una strategia per distruggere le istituzioni e consolidare un potere personale senza precedenti.
Dopo il novax alla sanità, il ministro della giustizia inquisito per stupro e il negazionista climatico all’ambiente, Donald Trump cala il tris con una wrestler per l’Istruzione, un dietologo televisivo per occuparsi dei poveri e anziani, e un miliardario esperto di criptovalute per i dazi. Le nuove nomine per il suo futuro governo non solo sfidano ogni logica, ma sembrano studiate per minare alle fondamenta ciò che resta delle istituzioni americane.
Ogni nome è una provocazione, ogni incarico è un tassello di un disegno che confonde le competenze con la fedeltà personale. La squadra MAGA, già ribattezzata da alcuni osservatori come la più surreale della storia americana, somiglia più a un circo itinerante che a un’amministrazione governativa. E il rischio, ormai evidente, è che dietro l’intrattenimento si nasconda il vuoto.
Linda McMahon: dal wrestling all’Istruzione
Tra tutte le nomine, quella di Linda McMahon spicca per la sua assoluta improbabilità. Cofondatrice della WWE, il colosso mondiale del wrestling, McMahon è una veterana del mondo dei body slam e dei combattimenti coreografati. La sua esperienza educativa? Probabilmente si limita a gestire i copioni degli scontri sul ring e a supervisionare la vendita di gadget e figurine dei suoi wrestler.
Ora, questa figura è chiamata a guidare il Dipartimento dell’Istruzione, un’agenzia federale già nel mirino dei repubblicani, che considerano le scuole americane focolai di ideologie “liberal”. Trump stesso, durante la sua campagna elettorale, aveva promesso di chiudere gli “edifici popolati da persone che odiano i nostri figli”. Con McMahon al comando, quel piano sembra avere finalmente trovato la sua esecutrice.
Ma cosa può offrire un’ex manager di wrestling al sistema educativo americano? Difficile immaginare una strategia che non si basi su urla da ring e mosse teatrali. McMahon, d’altronde, è più abituata a ruggire minacce alle avversarie in bikini che a elaborare piani per combattere il divario educativo o migliorare il pensiero critico degli studenti.
Il messaggio è chiaro: l’istruzione non è una priorità per Trump. Anzi, è vista come un ostacolo, un campo da smantellare per consolidare il controllo ideologico su una nuova generazione di elettori.
Mehmet Oz: pillole miracolose per milioni di poveri e anziani
Se la nomina di McMahon è una provocazione, quella di Mehmet Oz rasenta il surreale. Meglio conosciuto come Dr. Oz, il cardiochirurgo televisivo è diventato famoso per il suo show, dove ha promosso diete miracolose, pillole dimagranti e rimedi privi di alcuna base scientifica. Ora, sarà responsabile di Medicare e Medicaid, le agenzie federali che forniscono assistenza sanitaria a poveri e anziani, ovvero ben 150 milioni di americani.
Oz non è nuovo alle polemiche. Nel 2022, Trump lo aveva imposto come candidato al Senato per la Pennsylvania. Il risultato? Una sconfitta disastrosa, che non solo ha fatto perdere il seggio, ma ha anche contribuito a far cadere il controllo repubblicano della Camera Alta.
Eppure, Trump lo ripesca, dimostrando ancora una volta che la fedeltà conta più delle competenze. Affidare a Oz la salute pubblica è come mettere un venditore di elisir miracolosi alla guida della FDA. Una scelta che potrebbe avere conseguenze devastanti per i milioni di americani che dipendono da Medicare e Medicaid per sopravvivere.
Howard Lutnick: miliardari e conflitti d’interesse
Il quadro si completa con Howard Lutnick, magnate di Cantor Fitzgerald, scelto per guidare il Dipartimento del Commercio. Lutnick, noto per i suoi legami con il mondo delle criptovalute e della finanza speculativa, è l’ennesimo miliardario con conflitti d’interesse grandi quanto un grattacielo.
Il suo compito sarà quello di gestire i dazi, uno degli strumenti preferiti di Trump per negoziare con il resto del mondo. Ma la sua nomina solleva più di una domanda. Elon Musk, sponsor pubblico di Lutnick, aveva spinto per un incarico ancora più prestigioso. Il risultato? Un compromesso che non fa che aumentare il sospetto che il governo MAGA sia ormai una cerchia chiusa di amici e alleati.
Il governo come provocazione
Ogni nomina di Trump è un affronto alle istituzioni che dovrebbe servire. Linda McMahon non rappresenta l’istruzione, Mehmet Oz non rappresenta la scienza, e Howard Lutnick non rappresenta l’interesse pubblico. Ognuno di loro è stato scelto non per le sue competenze, ma per la sua fedeltà a Trump e per la capacità di distruggere dall’interno i settori che sono chiamati a guidare.
Un’America sull’orlo del collasso
Nel frattempo, l’America affronta sfide enormi. Il debito pubblico ha superato i 36 mila miliardi di dollari, l’inflazione minaccia di risalire e le divisioni sociali sono più profonde che mai. Ma Trump sembra più interessato a trasformare il governo in uno spettacolo, dove ogni nomina è una provocazione e ogni decisione è un colpo di scena.
Quando le luci dello show si spegneranno, l’America potrebbe scoprire che dietro le mosse teatrali non c’è niente. Nessun piano, nessuna strategia, nessuna visione. Solo il vuoto lasciato da un leader che ha scambiato il governo per un reality. E mentre Trump si prepara a salire sul ring, milioni di americani si chiedono se ci sarà qualcuno a proteggere i loro interessi.
Ma nel mondo di MAGA, la risposta sembra essere già scritta: non è lo spettacolo che conta, ma chi resta in piedi quando il sipario cala.
Mondo
Medjugorie e lo storico sì al culto del Vaticano: “Ma non parlateci dei veggenti…”
Dopo 43 anni di dibattiti, arriva il nulla osta per i pellegrinaggi a Medjugorje, riconoscendo i benefici spirituali del fenomeno senza confermare la veridicità delle apparizioni. Il Prefetto Fernandez: “Si conclude una storia lunga e complessa”.
È un via libera parziale ma significativo quello che arriva dal Vaticano su Medjugorje, luogo di apparizioni mariane al centro di controversie e dibattiti da oltre quattro decenni. La Dottrina della Fede, con l’approvazione di Papa Francesco, ha dato il nulla osta ai pellegrinaggi e al culto, riconoscendo “frutti spirituali positivi e abbondanti”, senza tuttavia autenticare i presunti eventi soprannaturali che dal 1981 avrebbero avuto luogo nel piccolo paese bosniaco.
Il documento pubblicato dal Prefetto della Dottrina della Fede, cardinale Victor Manuel Fernandez, è chiaro: il permesso non equivale a una conferma della veridicità delle apparizioni, ma vuole evidenziare che “lo Spirito Santo agisce fruttuosamente per il bene dei fedeli”. Le migliaia di pellegrini che ogni anno si recano a Medjugorje sono invitati a farlo “non per incontrare i presunti veggenti”, ma “per vivere un’esperienza di fede, per incontrare Maria, Regina della Pace, e Cristo”.
Un dibattito lungo 43 anni
Il percorso che ha portato a questo verdetto è stato lungo e complesso. Dalla prima apparizione, segnalata nel 1981, fino ad oggi, si sono succeduti opinioni diverse e contrastanti, coinvolgendo vescovi, teologi e commissioni. Una delle più importanti, guidata dal cardinale Camillo Ruini, aveva già evidenziato nel 2014 come molti messaggi fossero in linea con la dottrina cattolica, pur non certificando l’autenticità delle apparizioni.
Il verdetto della Dottrina della Fede giunge in un momento storico in cui le nuove regole del Vaticano permettono un ventaglio di risposte più ampio rispetto al tradizionale ‘sì’ o ‘no’ riguardo ai fenomeni soprannaturali. “È arrivato il momento di concludere questa lunga storia”, afferma Fernandez, e il documento rappresenta un tentativo di pacificazione tra le diverse posizioni in campo.
I “frutti positivi” e le questioni ancora aperte
Nonostante il nulla osta, il Vaticano mantiene una certa prudenza. I benefici spirituali del fenomeno sono riconosciuti, ma non si vuole creare l’illusione che l’autenticità delle apparizioni sia stata confermata. La maggior parte dei messaggi è ritenuta coerente con l’insegnamento cattolico, ma il documento sottolinea anche la presenza di alcuni elementi “confusi” che potrebbero offuscare l’immagine positiva dell’insieme.
La posizione sui veggenti rimane cauta. Pur non avendo trovato evidenze di falsificazioni o mitomanie, la Santa Sede evita di esprimere un giudizio definitivo sulla moralità delle persone coinvolte. Alcuni messaggi “si allontanano” dai contenuti edificanti riconosciuti, e il documento invita i fedeli a non farsi distrarre da questi pochi elementi discordanti.
Medjugorje, tra fede e cautela
Questo verdetto rappresenta un importante punto di svolta per Medjugorje. Se da un lato autorizza e incoraggia i pellegrinaggi, dall’altro mantiene un certo distacco critico nei confronti dei veggenti e delle loro presunte esperienze. Un equilibrio delicato che rispecchia la prudenza della Chiesa nel maneggiare fenomeni così controversi e seguiti a livello globale.
Il messaggio è chiaro: Medjugorje deve essere un luogo di incontro con la fede, non con la spettacolarizzazione delle apparizioni. In un mondo spesso attratto dal sensazionale, il Vaticano sembra voler riportare l’attenzione sull’essenza spirituale del luogo, valorizzandone i frutti positivi senza cadere nel culto della personalità o nell’idolatria dei veggenti.
Mondo
Trump si proclama 47esimo presidente USA: «Questa sarà l’età dell’oro dell’America»
Dal palco di Palm Beach, affiancato dalla famiglia, l’ex presidente dichiara di aver vinto Stati chiave come la Pennsylvania e il Wisconsin, e annuncia un “mandato potente” con il controllo del Senato. Tra elogi a Elon Musk e promesse di fine dei conflitti, Trump ringrazia la First Lady Melania e il nuovo vicepresidente JD Vance, delineando una visione ambiziosa per l’America
In un evento che ha sfidato i tempi ufficiali dello spoglio elettorale, Donald Trump è salito sul palco di Palm Beach, circondato dalla famiglia, per autoproclamarsi vincitore delle elezioni. «Sono il 47esimo presidente degli Stati Uniti», ha dichiarato con enfasi, «l’America non ha mai visto nulla di simile. Abbiamo superato ostacoli che nessuno pensava fosse possibile superare».
Nonostante lo scrutinio non sia ancora concluso, Trump ha annunciato vittorie in stati chiave come la North Carolina, la Georgia, la Pennsylvania e il Wisconsin. «Siamo in vantaggio anche in Nevada e Arizona», ha aggiunto, «e prevediamo di avere oltre 300 grandi elettori. Abbiamo vinto anche il voto popolare, il che è fantastico».
Dal palco, Trump ha ringraziato con passione gli americani per il “mandato potente” che afferma di aver ricevuto. «Ogni giorno combatterò per voi, con ogni respiro», ha dichiarato. «Questa sarà l’età dell’oro dell’America». Non sono mancati i ringraziamenti per la famiglia, in particolare per Melania, definita “una meravigliosa First Lady”. Ha poi rivolto parole di stima a Elon Musk, senza fare menzione di Kamala Harris, e ha ringraziato il nuovo vicepresidente JD Vance.
Una dichiarazione che fa discutere
Trump ha parlato della sua visione ambiziosa per il futuro: «Gli americani ci permetteranno di fare di nuovo grande l’America. Sentiamo l’amore delle persone in questa stanza, vi renderemo felici e orgogliosi del vostro voto». Con questa dichiarazione di vittoria, l’ex presidente ha acceso i riflettori su una nuova fase politica che promette di essere segnata dal suo movimento. Anche Marine Le Pen, leader della destra francese, ha commentato l’evento, definendolo “l’inizio di una nuova era”.
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