Cronaca
Pietro Orlandi: “Vorrei parlare con papa Francesco, penso che Emanuela sia ancora viva”

A più di quarant’anni dalla scomparsa di Emanuela Orlandi, il mistero sulla giovane cittadina vaticana continua a restare irrisolto. Ma Pietro Orlandi, suo fratello, non si arrende.
Ospite a Verissimo, ha ribadito ancora una volta il suo desiderio di incontrare papa Francesco, un incontro che però – stando alle sue parole – non sarebbe mai stato concesso.
“Io non mi fermo mai perché non posso fermarmi. Devo trovare la verità e dare giustizia a mia sorella”, ha dichiarato con fermezza.
Il suo appello arriva in un momento delicato, dopo la notizia del ritrovamento di un fascicolo vuoto all’Archivio Centrale dello Stato, un documento che avrebbe dovuto contenere informazioni su Emanuela e che invece è stato trovato inspiegabilmente privo di contenuti.
Un colpo durissimo per la famiglia Orlandi, che da decenni cerca risposte.
L’appello a papa Francesco: “Perché non vuole parlarmi?”
Nel corso dell’intervista, Pietro Orlandi ha spiegato di aver provato in più occasioni a ottenere un’udienza con papa Francesco, senza successo.
“Da quando mi ha detto che Emanuela era in cielo, ho sempre cercato di incontrarlo, ma lui non ha mai voluto”, ha raccontato.
Un rifiuto che solleva domande. Perché il pontefice non accetta di incontrarlo? Secondo Orlandi, la risposta potrebbe essere nel timore delle ripercussioni di un colloquio del genere.
“Mi sono sempre chiesto perché vada da Fazio o a Sanremo e non da noi. Mi è stato riferito che lui ha detto di avere ‘troppi occhi puntati addosso’. Non è normale che il Papa abbia paura di parlare; probabilmente chi gli sta vicino teme che possa dire qualcosa che non dovrebbe.”
Parole forti, che gettano ulteriori ombre sulla gestione del caso da parte delle autorità vaticane.
Emanuela potrebbe essere ancora viva?
Ma l’affermazione più sorprendente di Pietro Orlandi riguarda proprio la sorte della sorella.
“Può essere accaduto di tutto. E, se è accaduto di tutto, può anche essere che sia ancora viva.”
Un’ipotesi che il fratello di Emanuela non ha mai abbandonato e che alimenta ancora più interrogativi su ciò che potrebbe essere successo davvero nel 1983, quando la giovane scomparve nel nulla.
Nel frattempo, la battaglia della famiglia Orlandi per la verità continua. Ma con troppe domande ancora senza risposta.
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Italia
Che fine farà il carcere Beccaria di Milano? Quale progetto per il futuro dei detenuti minorili?
Un progetto innovativo punta a trasformare il Beccaria in un modello di riabilitazione per i detenuti minorili, superando le criticità storiche di sovraffollamento e fragilità, ma il Decreto Caivano solleva nuove sfide.

L’Istituto penale per minorenni “Cesare Beccaria” di Milano si trova al centro di una grave emergenza di sovraffollamento, una situazione condivisa da molti altri istituti penali per minorenni in Italia. Alla fine del 2023, i ragazzi detenuti al Beccaria erano 66, a fronte di una capienza di circa 45 posti. Secondo la relazione del Ministero della Giustizia del 2024 sull’esecuzione delle pene per minorenni, il numero di ingressi negli istituti penali ha superato i livelli pre-pandemia. Ha raggiunto un totale di 1.258 nel 2024. Questo aumento si riflette in una presenza media giornaliera negli istituti che è passata da 320 detenuti nel 2021 a 556 nel 2024.
Beccaria un centro di detenzione fragile
Il profilo dei detenuti minorenni al Beccaria offre uno spaccato di grande fragilità e sofferenza. Molti di questi ragazzi provengono da contesti di migrazione e, in molti casi, sono minori stranieri non accompagnati. La relazione ministeriale evidenzia le difficoltà legate alle loro storie personali, spesso segnate da traumi profondi, come viaggi pericolosi o detenzioni in condizioni estreme nei campi libici. La mancanza di legami familiari e di una rete di supporto esterna aggrava ulteriormente la loro condizione e rende il percorso riabilitativo una sfida particolarmente complessa. Questa situazione è stata ulteriormente compromessa da frequenti avvicendamenti nella gestione dell’Istituto, che hanno influito negativamente sul suo funzionamento. Come sottolineato nella relazione, il Beccaria necessita di interventi urgenti, sia strutturali che gestionali, per garantire la sicurezza dei detenuti e degli operatori.
Un progetto per il futuro del Beccaria
Per affrontare queste criticità, il Ministero della Giustizia ha ottenuto un finanziamento dal Fondo Asilo Migrazione e Integrazione (FAMI) per sviluppare un progetto innovativo. Gli obiettivi principali includono il miglioramento della governance interna del Beccaria, l’incremento delle competenze degli operatori, il supporto ai percorsi riabilitativi per minori e giovani adulti provenienti da paesi terzi. E inoltre il sostegno agli Uffici di Servizio Sociale per i Minorenni (USSM) lombardi nel reinserimento dei ragazzi in uscita dall’Istituto.
Un “laboratorio di sperimentazione”
Questo progetto punta a trasformare il Beccaria in un “laboratorio di sperimentazione”, i cui risultati potrebbero essere replicati in altre realtà territoriali. Si tratta di un’occasione preziosa per migliorare il sistema penale minorile, nonostante le preoccupazioni legate ai recenti provvedimenti governativi. Uno degli ostacoli principali alla piena realizzazione di questo progetto è rappresentato dal cosiddetto “Decreto Caivano”. Entrato in vigore a settembre 2023, il decreto preclude l’accesso alla messa alla prova per alcuni reati. Secondo quanto denunciato da garanti dei detenuti, magistrati e associazioni di volontariato carcerario, questa misura potrebbe aumentare il sovraffollamento degli istituti penali minorili, aggravando le già critiche condizioni attuali.
Quali misure alternative alla detenzione
Nella relazione del Ministero si ammette che sarà necessario monitorare l’impatto del decreto sulle misure alternative alla detenzione. Come la messa alla prova, per verificare se tali restrizioni penalizzeranno i percorsi riabilitativi. Questo sembra essere in contrasto con le dichiarazioni del Ministro della Giustizia, Carlo Nordio, che ha negato un orientamento “carcerocentrico” dell’attuale amministrazione. Pur ammettendo le difficoltà del comparto minorile legate al sovraffollamento.
Una strada ancora da costruire
Nonostante le contraddizioni tra le diverse visioni politiche e operative, il progetto per il Beccaria rappresenta una speranza per il futuro dei detenuti minorili. Se attuato con successo, potrebbe non solo migliorare la vita all’interno dell’Istituto, ma anche fornire un modello innovativo per affrontare le sfide del sistema penale minorile in Italia.
Cronaca Nera
“Finalmente luce”: arrestata l’amante-insegnante di Messina Denaro. Le immagini con il boss smentiscono tutto
Era stata lei stessa a presentarsi in procura dopo l’arresto del boss, dicendo di averlo conosciuto come “Francesco Salsi”, ex anestesista in pensione. Ma le telecamere e i pizzini raccontano tutt’altro: incontri in auto, pranzi insieme, borse griffate e un legame molto più profondo.

Un altro tassello si aggiunge al mosaico oscuro che ruota attorno alla lunga latitanza di Matteo Messina Denaro, arrestato nel gennaio 2023. E questa volta il nome è quello di Floriana Calcagno, 50 anni, insegnante di matematica presso l’istituto Ruggiero D’Altavilla di Mazara del Vallo. Secondo gli inquirenti, non solo amante del boss, ma anche sua complice, pronta a fare da staffetta, a coprirne gli spostamenti, a facilitare – consapevolmente – la vita dell’uomo più ricercato d’Italia.
Floriana, sposata con Paolo De Santo (imparentato con figure vicine al boss), si era presentata spontaneamente in procura dopo l’arresto di Messina Denaro. “L’ho conosciuto per caso, in un supermercato”, aveva raccontato, “disse di chiamarsi Francesco Salsi, ex anestesista in pensione”. Una versione che la procura ha subito messo in discussione, tanto da iscriverla nel registro degli indagati con accuse pesanti: favoreggiamento aggravato e procurata inosservanza della pena.
Ora è scattato l’arresto. A incastrarla, immagini inequivocabili raccolte dalla Sisco e dal Ros nel corso della lunga caccia al boss. Si vedono lei e Messina Denaro in auto insieme, al ristorante, fuori dalla scuola dove la donna insegnava. A volte era lui ad andarla a prendere, altre volte era lei a precederlo nei tragitti, come una vera “scorta affettiva”. In una sequenza, li si vede entrare nell’appartamento del boss. E ogni incontro veniva segnato con cura da Messina Denaro sul suo calendario con parole emblematiche: “luce”, “finalmente luce”, “preso tutto”.
Non era affatto un legame occasionale. Tant’è che Laura Bonafede, la storica amante del boss, ora condannata a 11 anni e 4 mesi, scriveva pizzini velenosi pieni di rabbia e gelosia nei confronti della Calcagno. La definiva “handicap”, “gatta morta” e la accusava di ricevere borse e regali dal boss. “Regali borse come un distintivo? Fuck”, scriveva con rabbia. E poi ancora, con disprezzo: “Aveva un Moncler un po’ datato e un paio di anfibi… secondo me c’è il tuo zampino”.
La Bonafede annotava persino gli incontri con la rivale: “Abbiamo incontrato l’handicappata, ci ha fermate per salutarci. Era vestita meglio. Cugino le ha fatto i complimenti. Terribile”.
Ma dietro il triangolo amoroso si cela una rete molto più complessa e pericolosa, che unisce affetti, complicità e omertà. Donne che – secondo la procura – potrebbero custodire segreti cruciali, forse persino il più importante: il luogo dove il boss teneva nascosti i suoi pizzini, quei messaggi cifrati attraverso cui gestiva affari, contatti e ordini di morte.
Il giudice per le indagini preliminari Filippo Serio ha firmato l’ordinanza di custodia cautelare su richiesta del pool antimafia della procura di Palermo. La Calcagno, interrogata come indagata a gennaio, si era avvalsa della facoltà di non rispondere. Ma oggi il cerchio si stringe: l’insegnante che si dichiarava ignara è ora al centro di una delle pagine più inquietanti della latitanza di Messina Denaro. E forse – come per la Bonafede – sarà proprio la gelosia, questa volta documentata, a trasformarsi nella più inaspettata delle prove d’accusa.
Italia
Il caso Morgan-Angelica Schiatti e la giustizia italiana al rallentatore
Stalking, giustizia riparativa e un processo infinito: la vicenda tra Morgan e Angelica Schiatti è il perfetto esempio di come il sistema giudiziario italiano spesso protegga più l’imputato che la vittima.

Era il 2020 quando Angelica Schiatti, cantautrice nota anche per la sua militanza nei Santa Margaret, ha denunciato Marco Castoldi – in arte Morgan – per stalking e diffamazione. Da allora sono passati cinque anni tra rinvii, cambi di tribunale per “incompetenza territoriale” e nessuna misura cautelare. A oggi, il processo sembra ancora fermo al palo.
Giustizia riparativa: soluzione o strategia dilatoria?
Nel settembre 2023 il Tribunale di Lecco ha concesso a Morgan l’accesso alla giustizia riparativa, un percorso volontario tra vittima e imputato che può alleggerire eventuali condanne. Angelica ha inizialmente accettato, partecipando a due incontri. Poi, la decisione: “Non ci sono più i margini per proseguire”, ha comunicato la sua avvocata, denunciando che questo percorso è stato usato come “strumento per prendere tempo”.
“Il sistema protegge l’imputato”: la voce di Angelica
Attraverso dichiarazioni pubbliche e social, Angelica ha puntato il dito contro un sistema giudiziario lento e inadeguato nella tutela delle vittime di violenza. “In cinque anni non è stato fatto nulla per proteggermi”, ha detto. Il suo sfogo diventa universale: “Io ho potuto stravolgere la mia vita per salvarmi. Ma ci sono donne che non possono cambiare casa o lavoro. Denunciare non basta: bisogna resistere ed esistere”.
Le versioni di Morgan: tra scuse, affinità elettive e disperazione
Morgan, dal canto suo, si è difeso parlando di dipendenze e fragilità emotiva. In interviste e podcast ha raccontato il suo dolore, la “storia d’amore intensa” con Angelica e la difficoltà nel gestire il distacco. Ha parlato di ghosting, di proposte di matrimonio respinte, di “messaggi frutto della malattia”, e di una vita professionale compromessa dopo lo scandalo: concerti annullati, contratti svaniti, isolamento artistico.
Una sentenza ancora lontana
La prossima udienza è fissata per il 1° luglio 2025, un’ulteriore attesa per una vicenda che mette in luce tutte le criticità della giustizia italiana nei casi di stalking. Angelica ha già detto tutto: “Cinque anni, due rinvii a giudizio, anni di paura e fiducia tradita. E poi ci dicono ancora: ‘Denunciate donne’. Ma a che prezzo?”.
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