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Politica

Aumentano le pensioni minime… di sei euro: giusto il caffè in più ogni tre mesi! Il governo promette grandi riforme ma regala solo spiccioli

Il governo ha finalmente inviato la legge di Bilancio 2025 alla Camera con due giorni di ritardo, ma emergono particolari che lasciano l’amaro in bocca: le pensioni minime aumentano solo di sei euro. Intanto, il tetto degli stipendi dei dirigenti pubblici potrebbe scendere a 160 mila euro, scatenando la furia di Forza Italia.

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    Chissà se qualcuno stava sognando un lauto aumento della pensione. Un piccolo extra per concedersi qualcosa in più, magari un viaggio, o anche solo una pizza. E invece no. Il sogno finisce qui, con la realtà di un’elemosina da sei euro al mese. Avete capito bene, sei euro. È questa la cifra con cui il governo ha deciso di gratificare i pensionati con l’assegno minimo, portandolo da 615 a 621 euro. Sei euro che fanno il giro dei titoli dei giornali come se ci stessero regalando una Ferrari. Invece, nemmeno il pieno di benzina per una 500.

    Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha firmato la manovra, che è stata inviata alla Camera con due giorni di ritardo rispetto ai grandi proclami del ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti. “Faremo un grande lavoro”, avevano detto. E infatti, ci hanno messo pure due giorni in più per regalarci un aumento che basterà giusto per un cappuccino al bar (se non è in centro a Milano, s’intende).

    Ma la vera chicca arriva con la battaglia che sta per scatenarsi nelle retrovie della politica: Forza Italia è pronta a difendere con le unghie e con i denti i “poveri” manager pubblici, quelli che oggi guadagnano 240 mila euro e che, secondo i nuovi piani, dovrebbero accontentarsi di 160 mila euro. “Solo” 80 mila euro in meno. E poveretti, come potranno mai cavarsela con “solo” 160 mila euro all’anno? Una tragedia moderna.

    Mentre Forza Italia cerca di salvare gli stipendi dorati, il resto del Paese è alle prese con una crescita economica sempre più vicina allo zero. Il Fondo Monetario Internazionale e Confindustria hanno ridotto le stime di crescita per quest’anno allo 0,8%, ma Giorgetti sembra avere altre priorità. Lui tira dritto e sventola l’ennesimo taglio al cuneo fiscale come se fosse la manna dal cielo. Peccato che anche qui la realtà sia ben diversa: nel 2025, un milione e trecentomila lavoratori in più godranno di una nuova detrazione fiscale, ma per molti sarà solo un’altra illusione a termine.

    E mentre i pensionati si ritrovano con i loro sei euro in più, e i manager si preoccupano per il “drastico” calo dei loro stipendi, il Paese è al palo. La manovra, che doveva segnare la grande svolta del governo, sembra invece uno scivolone annunciato. Un cuneo fiscale che non taglia come dovrebbe, pensioni che non crescono davvero e manager che continuano a intascare cifre da capogiro.

    Ma non dimentichiamo il grande spettacolo di Giorgetti, che tra i “gufi” e i “corvacci” che prevedevano il fallimento, riesce comunque a raccontarci che stiamo “migliorando il rating” e abbassando lo spread. Peccato che a chi ha solo sei euro in più in tasca, del rating frega ben poco.

    L’ultima chicca? Il “bonus in busta paga” per i dipendenti verrà trasformato, come ha spiegato lo stesso Giorgetti, in una detrazione fiscale. Non scomparirà di colpo quando si superano i 35 mila euro di reddito, ma inizierà a scendere fino a esaurirsi a 40 mila. Insomma, non si tratta di un bonus, ma di un premio che ti tolgono appena provi a guadagnare di più.

    Intanto, Forza Italia e Noi Moderati alzano le barricate contro il taglio degli stipendi dei manager pubblici. Perché in questo Paese, le priorità sono chiare: proteggere chi guadagna 240 mila euro all’anno, mentre chi sopravvive con una pensione minima può accontentarsi di sei euro. O forse di un caffè amaro.

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      Politica

      Meloni-Salvini, la resa dei conti: Giorgia minaccia di svuotargli il partito, Matteo fa il bimbominkia della maggioranza

      Dopo l’ennesimo sgarbo sul filo diretto con Trump, Giorgia Meloni perde la pazienza e lancia l’ultimatum a Salvini: “Se continua così, gli svuoto la Lega”. Ma il vicepremier rilancia, tra ripicche e provocazioni da scuola media.

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        Giorgia Meloni ha finito la pazienza. Non con Putin, non con Bruxelles e neppure con Macron, ma con il suo vicepremier Matteo Salvini. Un logoramento silenzioso che adesso diventa guerra aperta. Perché Meloni lo ha detto chiaro ai suoi fedelissimi e il messaggio è già rimbalzato nelle redazioni: “Se dopo il congresso della Lega del 6 aprile non la smette, gli svuoto il partito”.

        Sì, avete letto bene: “gli svuoto il partito”. Altro che diplomazia tra alleati, qui si ragiona a colpi di sprangate politiche. È l’avviso da ultimatum che Giorgia ha consegnato ai suoi, stanca di quello che definiscono il “sabotaggio sistematico” di Salvini. L’irritazione di Palazzo Chigi è ai massimi storici: l’uomo che dovrebbe essere il suo alleato più leale si comporta come uno scolaretto che fa i dispetti alla maestra.

        Matteo, infatti, non fa che infilare bastoni tra le ruote: da Macron all’Ucraina, dai dazi alle intese con Trump, fino al dossier Starlink. L’ultima provocazione è la telefonata a sorpresa con J.D. Vance, braccio destro di Donald Trump. Uno smacco istituzionale per la premier, che nel frattempo sta lavorando al suo viaggio a Washington. Così, mentre Giorgia si prepara per la Casa Bianca, Salvini si accredita di soppiatto come interlocutore privilegiato degli ambienti trumpiani.

        “Non se ne può più”, sospirano a Palazzo Chigi. “O Matteo rientra nei ranghi o lo svuotiamo in Aula e nei territori”. E mentre i colonnelli di FdI pregustano già il colpo basso, Salvini ride sotto i baffi, minimizza e continua a fare capolino in ogni vicolo possibile del centrodestra per mettere Giorgia all’angolo.

        Lo scontro si è consumato anche alla Camera: Galeazzo Bignami, uomo ombra della premier, ha lanciato la frecciatina velenosa a Salvini parlando di “chi baciava la pantofola a Mosca”. Il riferimento era chiaro e il destinatario ha incassato senza fiatare.

        Nel frattempo, la faida è ormai sotto gli occhi di tutti. L’unico a fingere che sia ancora tutto rose e fiori è Salvini stesso: “Guerra con Meloni? Non scherziamo”, dice ai giornalisti. Ma ormai persino tra i meloniani si sente mormorare: “Matteo gliel’ha giurata da quando è uscito quel libro del Fatto che lo ridicolizzava, dando a intendere che dietro ci fosse proprio Giorgia”.

        Così, mentre l’Europa si prepara al caos geopolitico e gli Stati Uniti osservano da lontano, in Italia la politica sembra inchiodata a una lite da cortile, tra sgarbi da bar sport e minacce da film di quartiere. E nel mezzo ci siamo noi, spettatori ormai assuefatti che forse – chissà – un giorno troveranno la forza di chiedere: ma quando la finite?

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          Politica

          Giorgia Meloni e l’acqua “miracolosa” di Palazzo Chigi: ordinate 100 mila bottigliette di Acqua Santa

          La premier porta a Palazzo Chigi una “benedizione” in vetro: assegnata la maxi fornitura a una società dal nome mistico. con qualche ironia, mentre l’esecutivo affronta tempeste politiche

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            Pare che Giorgia Meloni non si fidi solo della cabina di regia e delle riunioni di maggioranza. Per tenere a bada le tensioni che negli ultimi tempi agitano Palazzo Chigi e i suoi alleati, la presidente del Consiglio ha deciso di affidarsi anche… ai santi. O meglio, all’Acqua Santa. Sì, perché a ristorare ministri e staff nei prossimi due anni saranno proprio le bottigliette marchiate “Acqua Santa di Roma Srl”, società di famiglia Mari, che dal 1948 imbottiglia sotto etichette dalle sfumature celestiali come Egeria e Tullia.

            Una scelta che ha già fatto sorridere molti: con i dossier che si ammucchiano e i venti di guerra interna nella maggioranza, la Meloni sembra aver voluto portare in ufficio una sorta di benedizione preventiva. Laica, certo, ma sempre ben gradita. Che sia la soluzione a frizioni con Salvini, tensioni sulla Rai, sondaggi ballerini e persino la grana dell’Autonomia differenziata? Magari l’idea è: meglio giocare d’anticipo, ché tra qualche acciacco e qualche mal di pancia di governo, un bicchiere d’acqua “santa” può fare il miracolo.

            Centomila bottigliette: l’acqua santa si fa… politica

            La commessa parla chiaro: 66 mila bottigliette da mezzo litro di acqua naturale e altre 34 mila di acqua frizzante. Tutte rigorosamente in vetro (vuoto a rendere, ovviamente, per rispetto dell’ambiente e forse anche della Provvidenza). Totale: 100 mila bottiglie da qui al 2026. Insomma, se in aula o nelle riunioni riservate qualcuno dovesse improvvisamente avere la gola secca, nessun problema: l’Acqua Santa è già a portata di mano.

            Lo sconto “divino”: solo 23 centesimi a bottiglia

            Va detto che l’Acqua Santa non ha nemmeno fatto miracoli sul prezzo, ma quasi: ogni bottiglietta costerà 0,23 euro più IVA, per un totale di 23 mila euro circa (più tasse). Una cifra contenuta, tanto che in rete qualcuno ironizza: “È l’unica cosa che costa meno del caffè al bar a Palazzo Chigi”.

            Superstizione o semplice idratazione?

            A chi fa notare che il richiamo all’Acqua Santa suona vagamente scaramantico, c’è già chi risponde: con i tempi che corrono, meglio avere a portata di mano un piccolo “esorcismo” in bottiglia, anche solo contro i continui fuochi incrociati della politica. E poi, va detto, a Roma l’Acqua Santa è famosa da secoli per sgorgare fresca dalla sorgente delle Capannelle, amata da imperatori e plebei. Perché allora non affidarsi a una buona tradizione romana per fronteggiare le rogne quotidiane da premier?

            Acqua, sudore e un pizzico di ironia

            Di certo questa fornitura è destinata a diventare il tormentone tra i corridoi del potere: “Hai bevuto l’Acqua Santa oggi?”, potrebbe essere il nuovo mantra tra funzionari e sottosegretari. Soprattutto nei momenti in cui il governo appare più assetato di miracoli che di voti.

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              Politica

              Ministri, nomine e una storia d’amore finita male: il caso Sangiuliano-Boccia diventa un thriller giudiziario

              Sfregi, litigi, minacce e una presunta gravidanza: la Procura cerca di capire chi ricattava chi nella soap politica della scorsa estate

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                Altro che commedia romantica, questa è una soap opera di potere, intrighi e colpi di scena. Una relazione lampo, poi la rottura, poi il dramma, poi il tribunale. Sul banco degli interrogati oggi c’è Maria Rosaria Boccia, imprenditrice dal curriculum brillante e, soprattutto, ex compagna di Gennaro Sangiuliano, costretto alle dimissioni dopo lo scandalo scoppiato la scorsa estate. Gli inquirenti della Procura di Roma stanno cercando di capire chi ha ricattato chi in questa vicenda che sembra uscita direttamente da un manuale su come bruciare una carriera in pochi mesi.

                Dall’amore alla guerra: una consulenza saltata e la vendetta

                Tutto sarebbe iniziato con una relazione segreta, nata tra maggio e agosto 2024. Tre mesi di idillio, se così vogliamo chiamarlo, tra il ministro e l’imprenditrice. Poi qualcosa si rompe. Forse l’assegnazione di un incarico di consulenza – non retribuito, si badi bene – a Boccia, prima concesso e poi revocato. Insomma, il classico “non è come sembra” che si trasforma in un inferno. Da quel momento la donna avrebbe cominciato a fare pressione sull’ex compagno, con messaggi, chiamate e richieste sempre più insistenti.

                La ciliegina sulla torta? Una presunta gravidanza, usata – secondo la versione di Sangiuliano – come leva per ottenere qualcosa in cambio. Un’arma di ricatto perfetta. O almeno, così sospetta la Procura.

                Minacce, botte e una fede sparita nel nulla

                Se fosse un film, saremmo alla scena del litigio furioso. Solo che qui non siamo in un film, e il protagonista è un ex ministro della Repubblica. Tra le prove presentate da Sangiuliano c’è un selfie che lo ritrae con una ferita alla testa. Il motivo? Un’aggressione avvenuta durante una lite con la Boccia. E non è finita qui. Pare che nel mezzo della tempesta sentimentale sia sparita anche la fede matrimoniale dell’ex ministro, a cui ora – oltre alla reputazione politica – mancherebbe pure un simbolo di unione.

                Per non parlare delle accuse di hackeraggio del telefono, perché la storia non sarebbe completa senza un bel sospetto di spionaggio tecnologico. Insomma, tutto il repertorio di una battaglia che di romantico ormai ha ben poco.

                Sanremo, lo sfregio e la lite che ha fatto crollare tutto

                Se questa storia fosse un romanzo, la notte tra il 16 e il 17 luglio sarebbe il capitolo che prelude al gran finale. Siamo a Sanremo, un’ambientazione perfetta per drammi sentimentali. I messaggi tra i due raccontano una tensione alle stelle. “Sfregiato (…) Se non fossi stata tu, avrei picchiato durissimo”, scrive Sangiuliano. Dall’altra parte, Boccia non fa nulla per placare gli animi: “Mi hai portato a un punto imbarazzante (…) Mi hai fatto diventare una iena”.

                Insomma, l’idillio è definitivamente svanito e ora siamo alla parte in cui volano insulti, accuse e, a quanto pare, anche schiaffi.

                La gravidanza: bluff o verità?

                Ma ecco la questione più spinosa: Maria Rosaria Boccia era davvero incinta? O si trattava di un tentativo disperato di tenere in pugno il ministro?

                La Procura ha acquisito un altro scambio di messaggi piuttosto ambiguo. “Sei incinta?”, chiede Sangiuliano. Lei risponde con un enigmatico: “Sono disposta ad andare anche all’estero”. Come dire: se servisse, potrei anche farmi da parte. Ma lui, a quanto pare, cerca di giocare d’anticipo e prova a chiudere la questione nel modo più diplomatico possibile: “Da me non devi temere nulla”.

                Poi, il colpo di scena. Il 2 agosto, l’ex ministro si lascia sfuggire una frase che suona quasi come una resa: “Se tu fossi incinta di me, sarei stato felicissimo”. Qualche giorno dopo, la Boccia risponde con una frase altrettanto ambigua: “Sarai libero di viverti questa esperienza come vorrai nel rispetto di tuo figlio”. Un modo elegante per dire che il bambino c’è davvero? Oppure solo un ultimo colpo di scena in un copione già fin troppo intricato?

                Ora decide la Procura: stalking, lesioni e un finale ancora aperto

                Adesso Boccia è sotto interrogatorio. Davanti a lei ci sono il pm Giulia Guccione e l’aggiunto Giuseppe Cascini, che stanno esaminando ogni dettaglio del suo racconto. Se le accuse venissero confermate, il finale sarebbe tutt’altro che romantico. La Procura potrebbe chiudere l’indagine con accuse pesantissime: lesioni personali, minacce e stalking ai danni di un ex ministro.

                Sangiuliano, dal canto suo, ha fornito un dossier dettagliato: messaggi, audio, foto. La difesa dell’imprenditrice, invece, punta a smontare tutto, parlando di un attacco mediatico e di una storia trasformata in farsa.

                Chi ha ragione? Per ora, la sceneggiatura è aperta. Quello che è certo è che questa storia non è più un affaire privato, ma una bomba politica e giudiziaria.

                Se ne parlerà ancora a lungo. E chissà, magari un giorno diventerà anche un film.

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