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Politica

Meloni e La Russa a tavola: nel menù le dimissioni di Santanchè, ma la ministra non vuole mollare la poltrona

Giorgia Meloni mette le carte in tavola: il caso è un danno d’immagine e va chiuso in fretta. Ma lei, barricata a Cortina, non sembra avere intenzione di farsi dare il benservito senza combattere. Tocca a Ignazio La Russa convincerla a digerire la decisione della premier.

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    Giorgia Meloni ha fretta. Appena rientrata da Washington, ha convocato Ignazio La Russa per un pranzo riservato a Palazzo Chigi. Non un incontro di cortesia, ma una missione vera e propria: convincere Daniela Santanchè a dimettersi. La ministra del Turismo, dopo il rinvio a giudizio per false comunicazioni sociali sui bilanci di Visibilia, è diventata un problema. Un macigno che rischia di pesare troppo sul governo. Ma lei non ci sta.

    «Giorgia deve parlarmi direttamente. Se vuole che me ne vada, me lo deve dire lei», ripete Santanchè dal suo rifugio di Cortina, blindata nel suo bunker dorato. Parole che suonano come una sfida, ma anche come un avvertimento. Nessun portavoce, nessun intermediario: se Meloni vuole chiudere la partita, dovrà metterci la faccia.

    A Roma, però, i giochi sono già partiti. La premier e il presidente del Senato discutono della sua uscita, che ormai pare inevitabile. Il problema è il modo in cui avverrà. La Russa, che della ministra è stato il principale sponsor politico, deve trovare la formula giusta. Un addio senza traumi, senza clamorosi strappi pubblici.

    Ma Meloni ha già deciso. La ministra deve lasciare. Il caso Santanchè non è più solo un imbarazzo: è un danno d’immagine. Un problema che mina la credibilità dell’esecutivo e che può trasformarsi in un boomerang per Fratelli d’Italia. La Russa, da sempre il grande mediatore del partito, è stato chiamato a gestire l’operazione con delicatezza. Ma sa bene che Santanchè non è tipo da farsi accompagnare educatamente alla porta.

    La ministra, infatti, gioca sulla resistenza. Qualche giorno fa si diceva che avrebbe deciso dopo il 29 gennaio, quando la Cassazione si pronuncerà sulla richiesta di spostare il processo da Milano a Roma. Ma la versione ufficiale è diversa: «Non ho nulla da dire», ha dichiarato all’Ansa.

    Nel partito, però, sono tutti consapevoli che la questione va risolta in fretta. La sostituzione è già in fase di studio. Per il dopo-Santanchè circolano alcuni nomi: Gianluca Caramanna, consigliere fidato della ministra, è il favorito. Seguono Manlio Messina, vicecapogruppo di FdI alla Camera, e Marina Chiarelli, assessora piemontese al Turismo.

    Il pressing su Santanchè è diventato evidente. Anche l’agenda della premier parla chiaro. Meloni ha rivisto i suoi piani per il viaggio in Arabia Saudita, dove avrebbe dovuto partecipare alla presentazione del tour mediterraneo del veliero Amerigo Vespucci. Evento a cui era attesa anche Santanchè, che però non vedrà: la premier arriverà prima e ripartirà prima. Un segnale inequivocabile, una distanza studiata a tavolino.

    La diretta interessata, però, non molla. «Sono a Milano per impegni, non ho appuntamenti con Giorgia», dice ai giornalisti che la tampinano. In privato, però, il suo entourage ammette che il clima si è fatto pesante. «Se non si dimette ora, lo farà dopo il primo grado di giudizio», confessa una fonte vicina al partito.

    In questa guerra di nervi, Santanchè non sembra intenzionata a cedere facilmente. È convinta che, in un partito fondato sulla fedeltà assoluta alla leader, un atto di ribellione possa risultare indigesto anche a Meloni. Se fosse costretta a rimuoverla di forza, sarebbe un segnale di debolezza.

    Ma le pressioni sono continue e il tempo stringe. Il pranzo “segreto” tra Meloni e La Russa è finito sulle prime pagine di tutti i giornali, segno che la strategia è ormai chiara: chiudere il caso in tempi rapidi. La Russa è stato incaricato di fare da pontiere, ma Santanchè non sembra avere alcuna intenzione di agevolare il compito.

    Quanto potrà ancora resistere?

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      Politica

      “Meloni, la bugiarda del secolo”: il PD attacca sui social e infiamma lo scontro politico

      Il Partito Democratico alza i toni con un post che definisce Giorgia Meloni “la bugiarda del secolo”, accusandola di aver falsato la narrazione sul caso Almasri. Il premier risponde parlando di un mandato di arresto della Corte penale internazionale. Ma il dibattito si accende e la politica italiana si spacca ancora una volta.

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        Il clima politico in Italia è sempre più rovente. Questa volta a incendiare il dibattito è un post pubblicato sui social dal Partito Democratico, che accusa la presidente del Consiglio Giorgia Meloni di aver mentito sul caso Almasri, definendola senza mezzi termini “la bugiarda del secolo”. Un attacco frontale che ha subito scatenato polemiche, non solo per il tono utilizzato, ma anche per la grafica scelta dai Dem, che richiama la copertina di M. Il figlio del secolo, il libro di Antonio Scurati su Benito Mussolini.

        L’accusa del PD è chiara: Meloni avrebbe mentito sulle comunicazioni relative all’indagine che la coinvolge, in particolare sulle informazioni ricevute dal ministro della Giustizia Carlo Nordio. Secondo il partito di Elly Schlein, il governo era stato ripetutamente sollecitato sul caso, ma ha cercato di minimizzare la vicenda. La polemica riguarda anche la terminologia usata dalla destra: il governo ha parlato di avviso di garanzia, quando in realtà si trattava di una semplice comunicazione di iscrizione nel registro degli indagati, un atto che non implica automaticamente un’incriminazione formale.

        La risposta del premier non si è fatta attendere. Con un videomessaggio, Meloni ha respinto le accuse, spostando l’attenzione sul contesto internazionale. Ha ricordato che la Corte penale internazionale ha emesso un mandato di arresto internazionale nei confronti del capo della polizia giudiziaria di Tripoli, proprio mentre l’uomo si trovava in procinto di entrare in Italia, dopo aver trascorso giorni in altri Paesi europei. Secondo Meloni, la tempistica del provvedimento solleva più di un interrogativo e apre scenari complessi sul piano diplomatico.

        Le tensioni in Parlamento sono alle stelle. Matteo Orfini, tra i volti più critici dell’opposizione, ha ribadito che il governo non ha mai chiarito del tutto la propria posizione e che le dichiarazioni di Meloni servono solo a confondere l’opinione pubblica. Il PD, infatti, insiste sul fatto che il caso non sia una “rappresaglia” contro la premier, come insinuato dalla destra, ma un atto dovuto in seguito a un esposto.

        Ma lo scontro non si limita ai contenuti. Anche la forma scelta dal PD per lanciare il suo attacco ha fatto discutere. L’accostamento tra Meloni e Mussolini, per quanto graficamente evocativo, ha sollevato dubbi sull’efficacia della strategia comunicativa Dem. Da destra, si parla di “ossessione antifascista fine a sé stessa”, mentre alcuni osservatori ritengono che si tratti solo di una provocazione studiata per polarizzare il dibattito.

        In un clima già teso, la vicenda si aggiunge a una lunga lista di scontri istituzionali e politici che hanno caratterizzato gli ultimi mesi. Il governo Meloni resiste agli attacchi, ma il PD non sembra intenzionato ad abbassare il tiro. E, ancora una volta, l’Italia si ritrova con una politica sempre più infiammata, dove la dialettica si gioca più sui social che nelle sedi istituzionali.

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          Politica

          Meloni indagata: avviso di garanzia per il caso Almasri, coinvolti anche Nordio, Piantedosi e Mantovano

          La premier denuncia un’azione politica contro il governo: “Lo stesso pm del processo a Salvini”.

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            La presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha annunciato di aver ricevuto un avviso di garanzia per i reati di favoreggiamento e peculato in relazione al rimpatrio del cittadino Almasri. Il provvedimento è stato firmato dal procuratore della Repubblica Francesco Lovoi. Noto per aver seguito il processo per sequestro di persona contro Matteo Salvini, poi conclusosi con un nulla di fatto – è stato notificato anche ai ministri Carlo Nordio, Matteo Piantedosi e al sottosegretario Alfredo Mantovano.

            Indagine innescata dal penalista Luigi Ligotti

            Secondo Meloni, l’indagine sarebbe stata avviata a seguito di una denuncia presentata dall’avvocato Luigi Ligotti. Si tratta del noto penalista ed ex politico di sinistra, vicino a Romano Prodi. Ligotti è conosciuto anche per aver difeso pentiti di peso come Tommaso Buscetta e Giovanni Brusca.

            Per la Meloni è un attacco al governo

            L’annuncio della premier è arrivato tramite un video, in cui ha denunciato l’azione della magistratura come un tentativo di colpire il governo. La vicenda si inserisce in un clima già teso tra esecutivo e toghe, con la giustizia sempre più al centro dello scontro politico.

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              Politica

              Meloni superstar: quasi mezzo milione di euro grazie ai suoi libri, altro che solo politica…

              I redditi dei parlamentari italiani del 2024 sono pubblicati online: la presidente del Consiglio vede un significativo aumento dei suoi guadagni, alimentato dai successi editoriali. La differenza con gli altri leader politici è notevole, e non mancano le sorprese.

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                I redditi dei parlamentari per il 2024 sono finalmente online, e le cifre che emergono hanno già fatto parlare. Chi domina questa classifica è niente meno che Giorgia Meloni, che ha visto i suoi guadagni esplodere in un solo anno, passando da 293.531 a ben 459.460 euro. La premier non ha guadagnato solo con la sua indennità parlamentare, ma soprattutto grazie ai suoi bestseller: “Io sono Giorgia” e “La versione di Giorgia”, scritto in collaborazione con Alessandro Sallusti. Entrambi i libri hanno fatto centro, con le loro tirature capaci di portare cifre da capogiro, e con Meloni che incassa a tutto spiano grazie al gruppo Mondadori, quello di proprietà berlusconiana. Ironia della sorte? Può darsi, ma di certo non dispiace a Giorgia.

                Mentre lei può brindare ai suoi successi editoriali, c’è qualcuno che invece potrebbe guardarla con un pizzico di invidia. Chi? Matteo Salvini, ovviamente. Il vicepremier leghista dichiara un reddito di lavoro di “soli” 99.699 euro, invariato rispetto all’anno scorso. Forse c’è poco da sorprendersi, dato che Salvini non ha (ancora) pubblicato nessun libro capace di generare valanghe di vendite. In più, ha deciso di liberarsi delle azioni che aveva detenuto in A2A, Acea Spa ed Enel, per evitare polemiche, lasciandosi comunque qualche soldino da parte per le spese di ristrutturazione e misure antisismiche che gli hanno fruttato 1.346 euro di detrazioni.

                Quello che manca all’appello, almeno per ora, è Antonio Tajani, il secondo vicepremier e attuale ministro degli Esteri, che non ha ancora presentato la sua dichiarazione. Ma non preoccupatevi, c’è tempo. Anche perché la pubblicazione dei redditi dei parlamentari è un evento che si rinnova ogni anno, come un rituale dove si contano i soldi più che i voti.

                Tra i grandi leader di partito, invece, c’è chi rimane immutato. Elly Schlein, la segretaria del Partito Democratico, dichiara gli stessi 98.471 euro del 2023, il che la posiziona ben lontana dalle vette di Meloni. Non va meglio a Nicola Fratoianni, il leader di Sinistra Italiana, che si ferma a circa 99 mila euro, senza variazioni rispetto all’anno precedente.

                Nel cosiddetto “campo largo” troviamo anche Angelo Bonelli, portavoce dei Verdi, con circa 101 mila euro. Giuseppe Conte, il leader del Movimento 5 Stelle, come anche Matteo Renzi e Carlo Calenda, non hanno ancora consegnato i loro documenti. Anche loro avranno di che fare i conti, sia con il fisco sia con i loro elettori.

                Insomma, mentre Giorgia si gode il successo editoriale e il denaro che ne deriva, molti altri colleghi restano ancorati a stipendi più “umani”. Chissà, magari la politica italiana potrebbe vedere un’ondata di nuove autobiografie, con qualche politico pronto a lanciarsi nel mondo letterario. In fin dei conti, sembra che i libri paghino più della politica.

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