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Cronaca

Rischia fino a 20 anni di carcere Sean “Diddy” Combs, più di cento donne lo accusano

Prima udienza per Sean “Diddy” Combs, accusato di svariati abusi sessuali a partire dal 2009, accusato da oltre un centiniaio di donne. Il rapper rischia fino a 20 anni di carcere.

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    Le accuse sonodavvero pesanti e rischiano di compromettere per sempre la sua vita, da oggi in avanti. Arrestato con scalpore lo scorso 16 settembre, dopo un blitz della polizia nelle sue ville a Los Angeles e Miami avvenuto a marzo, è accusato di aver abusato di molte donne (almeno un centinaio le accuse contro di lui), a partire dl 2009.

    Per l’esattezza le vittime sarebbero 120

    Tutto questo con la complicità di una rete di collaboratori e dipendenti, ricorrendo al ricatto e ad atti violenti tra cui rapimenti, incendi dolosi e percosse per impedire alle vittime di parlare e denunciare quello che avevano subito. E purtroppo la drammaticità della questione non sio ferma qui, c’è dell’altro. Durante una conferenza stampa il procuratore texano Tony Buzbee ha annunciato di stare rappresentando 120 persone in cause civili per le terribili accuse risalenti agli ultimi tre decenni. Con l’aggravante che almeno 25 di queste, all’epoca dei fatti, sarebbero state minorenni.

    Alcune giovanissime minorenni

    “Voglio concentrarmi sull’età delle vittime – ha tuonato il legale -. Quando parliamo dell’età di queste vittime quando si sono verificati i comportamenti, è scioccante”, aggiungendo un dettaglio terribile: la vittima più giovane di Diddy aveva solo 9 anni quando il rapper l’avrebbe aggredita sessualmente.

    La difesa contrattacca

    Naturalmente il collegio difensivo del musicista fa quadrato, smentendo tutto, citando accuse “false e diffamatorie” e il tentativo di criminalizzare il sesso consensuale praticato dal suo cliente. Ribadendo che Combs intende riabilitare il suo nome al processo. A questo punto e con tali accuse sulla sua testa è lecito chiedersi: vi riuscirà?

    Le prime due richieste di scarcerazione sono state rigettate

    I pubblici ministeri hanno respinto le prime due richieste di scarcerazione su cauzione presentate dai legali di Combs, affermando di essere in possesso di “prove chiare e convincenti”, aggiungendo che l’accusato rappresenti un pericolo concreto per la comunità perché potrebbe ostacolare il processo in corso, le indagini o manomettere le dichiarazioni di alcuni testimoni. In un continuo botta-e-risposta gli avvocati di Combs, tuttavia, hanno sostenuto nei loro atti di appello che non sussisterebbe nessun pericolo di fuga: “In effetti, difficilmente si corre il rischio che fugga, è un 54enne padre di sette figli, un cittadino statunitense, un artista, uomo d’affari e filantropo di straordinario successo e una delle persone più riconoscibili sulla terra”, hanno scritto i difensori.

    I difensori accusano addirittura il governo

    Tra le denunce a carico del rapper dal novembre 2023, la sua ex compagna ‘Cassie’ Ventura lo accusa di avere avuto un comportamento “violento” e “deviante” per circa un decennio. La cantante ha raccontato di essere stata sottoposta a un lungo elenco di abusi, iniziati addirittura poco dopo il loro primo incontro nel 2005, quando lei aveva 19 anni. A proposito di questa accusa, stando alla testata Rolling Stone, i difensori di Combs hanno accusato il governo degli Stati Uniti di “comportamento scorretto in relazione alle fughe di notizie”. Secondo il legale Marc Agnifilo, la concessione ai media di un video di sorveglianza del 2016 in un hotel, che mostra il rapper aggredire fisicamente la cantante Cassie Ventura, avrebbe “portato a una pubblicità pre-processuale gravemente dannosa e pregiudizievole, che può solo contaminare la giuria e privare il signor Combs del suo diritto a un processo equo”.

    Quelle feste vergognose

    Capitolo “festini”: stando alle accuse delle oltre cento donne, gli abusi sarebbero avvenuti nelle sue ville, tra il 1991 e il 2024, all’interno di feste riservate e sfrenate, gli ormai famosi “White Parties” frequentati da numerosi vip, seguiti da “freak off”, festini a luci rosse in cui vittime drogate di entrambi i sessi erano costrette a accoppiarsi. Ventinove tra le nuove presunte vittime all’epoca erano minorenni.

    Drogati come cavalli

    Tra le droghe somministrate ci sarebbe stata la Xylazine, un analgesico e miorilassante utilizzato in veterinaria per sedare animali di grandi dimensioni come cavalli e bovini durante interventi chirurgici. Combs non sarebbe però stato solo, insieme a lui una lista di “molte persone potenti” coinvolte.

    Cosa rischia il rapper

    Adesso il rapper rischia fino a 20 anni di prigione, attualmente è detenuto in un carcere di Brooklyn, facebdo la sua prima apparizione davanti al giudice della corte federale di Manhattan Arun Subramanian. I legali difensori hanno chiesto che il processo si svolga in primavera e nel frattempo hanno presentato una nuova istanza, la terza, per il rilascio con una cauzione di 50 milioni di dollari. Una bella somma… a garanzia della quale il re dell’hip hop (forse è meglio chiamarlo “ex”) avrebbe anche promesso di vendere il proprio jet privato.

      Storie vere

      Multa da 200 euro per una birra nei vicoli di Genova: “Aiutatemi a pagarla, offritemi una birretta virtuale!”

      Multata di 200 euro per una birra consumata nei vicoli della città della Lanterna, lancia una raccolta fondi sulla piattaforma di crowdfunding GoFundMe.

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        Genova, centro storico. Laura Capini, genovese doc, è diventata protagonista di una storia che mescola ironia, burocrazia e una richiesta decisamente… social. La signora è stata multata di 200 euro per aver portato con sé una bottiglia di birra nei vicoli del centro storico di Genova. Per fare risaltare l’assurda decisione dei vigili urbani – che comunque hanno seguito l’odinanza approvata dal Comune – ha deciso di lanciare una raccolta fondi su GoFundMe per coprire la “mazzata”. La donazione nel momento in cui scriviamo è arrivata a raccogliere l’88% (220 euro) della cifra richiesta che è di 250 euro totali con 21 donatori.

        Chi beve birra campa cent’anni…Meditate gente, meditate…

        Una Moretti in vetro da 66 cl: materiale pericolosissimo, vero arsenale di degrado urbano“, ci scherza sopra la Capini nel suo post, in cui racconta l’accaduto con il suo compagno Massimo. Fermati dalle forze della vigilanza urbana nella notte tra il 16 e il 17 novembre, i due si sono visti sequestrare le birre (una aperta, l’altra intonsa) e recapitare la sanzione di 200 euro. “Me la incornicio questa multa“, ha detto la Capini, passando poi dalle parole ai fatti e pubblicando la foto del verbale come fosse un’opera d’arte moderna. La giovane però non si è fermata all’umorismo. Infatti ha attivato una campagna di crowdfunding, ovvero una raccolta fondi online, invitando chi condivide la sua indignazione a offrirle “una birretta virtuale” per aiutarla a pagare la multa.

        Cosa dice l’ordinanza anti-alcol di Genova?

        La multa ricevuta da Laura si basa sul regolamento di polizia urbana in vigore nel centro storico, che vieta di detenere bevande alcoliche (e non) in contenitori di vetro o metallo all’aperto, dalle 22:00 alle 6:00. La misura, introdotta per contrastare degrado e microcriminalità, si somma all’ordinanza anti-alcol varata nel 2023 e prorogata fino a settembre del 2025. Questa vieta il consumo di alcolici in aree pubbliche in tutta Genova, a meno che non si trovino in dehors autorizzati o contenitori sigillati. In alcune “zone rosse” come Cornigliano, Sampierdarena e il centro storico, il divieto è persino più stringente, estendendosi dalle 12:00 alle 8:00 del giorno successivo. L’idea è prevenire abusi, ma il regolamento non fa distinzioni: birra o acqua in borraccia, tutto è passibile di sanzione.

        Deboli con i forti, forti con i deboli?

        Laura non nasconde il suo disappunto. “Le leggi servono, ma possono essere scritte e applicate in modo più sensato. Un paio d’anni fa multarono uno che mangiava in pausa pranzo. Non sarà il caso di rivedere le priorità?

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          Cronaca

          Trapani, orrore dietro le sbarre: torture e abusi nel carcere Cerulli, 11 arresti e 14 sospensioni

          Lanci d’acqua mista a urina, violenze gratuite e detenuti ridotti a oggetti: le parole del procuratore Gabriele Paci gettano luce su una realtà agghiacciante. 46 indagati tra gli agenti penitenziari.

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            L’orrore del carcere Pietro Cerulli di Trapani si è svelato in tutta la sua crudezza: una sequenza di abusi e violenze che, secondo la procura, andavano ben oltre l’episodico, configurandosi come un metodo sistematico per garantire l’ordine. Undici agenti penitenziari agli arresti domiciliari, quattordici sospesi dal servizio e un totale di 46 indagati. L’accusa è pesante: tortura, abuso d’autorità e falso ideologico.

            Le indagini, partite nel 2021 e concluse solo di recente, hanno rivelato uno scenario che sembra uscito da un romanzo dell’orrore. Il reparto blu, chiuso oggi per carenze igienico-sanitarie, era diventato il teatro di veri e propri abusi nei confronti dei detenuti, spesso con problemi psichiatrici. Qui, lontano da occhi indiscreti – visto che non vi erano telecamere – i detenuti venivano sottoposti a violenze fisiche e psicologiche, come raccontato dal procuratore di Trapani Gabriele Paci: “Venivano fatti spogliare, investiti da lanci d’acqua mista a urina e sottoposti a violenze quasi di gruppo, gratuite e inconcepibili”.

            Una prassi agghiacciante

            Secondo quanto emerso, l’uso della violenza non era un episodio isolato, ma una prassi per alcuni agenti. “Non si trattava di sfoghi sporadici, ma di un metodo per garantire l’ordine”, ha dichiarato Paci, aggiungendo che il gip Giancarlo Caruso ha riconosciuto in questi atti la configurazione del reato di tortura.

            Circa venti i casi accertati finora, ma le indagini sono state rese possibili solo grazie all’installazione di telecamere nel reparto blu, oggi chiuso. “Era un girone dantesco”, ha aggiunto il procuratore, “che sembra ripreso direttamente dalle pagine de I Miserabili di Victor Hugo”.

            L’indagine e le reazioni

            Le indagini, coordinate dal nucleo investigativo regionale della Polizia penitenziaria di Palermo, hanno rotto il muro di omertà che spesso avvolge situazioni simili. Nonostante lo stress e le difficili condizioni lavorative degli agenti siano stati riconosciuti dal procuratore Paci, “questo non legittima assolutamente le violenze”, ha precisato.

            Il presidente dell’associazione Antigone, Patrizio Gonnella, ha espresso soddisfazione per il fatto che il reato di tortura abbia permesso di incriminare i responsabili. “Questo reato è fondamentale per perseguire chi si macchia di simili crimini e per sostenere le vittime. Ma, soprattutto, è cruciale per rompere il muro di omertà”, ha commentato.

            Gonnella ha lodato le professionalità interne all’Amministrazione penitenziaria che hanno permesso di far emergere la verità e riconoscere i diritti fondamentali dei detenuti. “Ora ci auguriamo che si faccia piena chiarezza, riconoscendo le responsabilità in sede processuale”.

            Un sistema sotto accusa

            Il carcere di Trapani non è il primo a finire al centro di uno scandalo simile. Questi episodi mettono in evidenza un sistema che sembra incapace di proteggere i diritti fondamentali dei detenuti, pur riconoscendo le difficoltà operative degli agenti penitenziari. Tuttavia, ciò che emerge con forza è che nulla può giustificare una simile degenerazione del ruolo delle forze dell’ordine.

            Le indagini proseguono, e con esse la speranza che episodi come quelli avvenuti nel carcere Cerulli diventino, finalmente, solo un ricordo del passato.

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              Cronaca Nera

              Giulio Regeni, il racconto delle torture: «Bendato e portato a spalla, sfinito dal dolore»

              Durante il processo contro quattro 007 egiziani, un testimone racconta il brutale trattamento subito da Giulio Regeni. In aula, il video proiettato da Al Jazeera e la commossa testimonianza della sorella riportano alla luce dettagli atroci.

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                Giulio Regeni «ammanettato con le mani dietro la schiena, bendato, portato a spalla da due carcerieri perché sfinito dalla tortura». È questo uno dei dettagli emersi oggi durante il processo in corso a Roma contro quattro agenti dei servizi segreti egiziani accusati della morte del ricercatore friulano, rapito e ucciso al Cairo nel 2016.

                Un cittadino palestinese, ex detenuto in una struttura di sicurezza egiziana, ha raccontato in un video trasmesso da Al Jazeera e proiettato in aula: «L’ho visto uscire da un interrogatorio. Era piegato dal dolore, non riusciva a stare in piedi. Lo riportavano alle celle sorreggendolo».

                Le parole strazianti del testimone si sono unite alla commovente testimonianza di Irene Regeni, sorella di Giulio, che ha ricordato in lacrime il fratello: «Era un ragazzo normale, appassionato di storia e culture diverse. Studiava l’arabo ed era entusiasta di partire per l’Egitto. Per me era un esempio, il fratellone che dava consigli. Non immaginavamo che sarebbe finita così».

                La famiglia Regeni non ha mai smesso di cercare la verità. Durante l’udienza, Irene ha raccontato come scoprì della tortura inflitta a Giulio: «Ricordo una telefonata di mia madre: ‘Hanno fatto tanto male a Giulio’. La parola tortura però l’ho sentita per la prima volta al telegiornale».

                Anche il medico legale incaricato di analizzare il corpo di Giulio ha confermato le atroci sofferenze subite: «Bastonate sui piedi, bruciature e ammanettamento di polsi e caviglie. È stato sottoposto a torture indicibili».

                Il processo rappresenta un tentativo di fare luce su uno dei casi di violazione dei diritti umani più controversi degli ultimi anni, con un’attenzione crescente da parte della comunità internazionale.

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