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Cronaca

Santanchè ipoteca la villa in Versilia per i debiti di Visibilia: la mossa per evitare il tracollo

Per coprire i debiti di Athena Pubblicità e le pendenze con l’Inps sulla cassa Covid, la ministra ha imposto un vincolo sulla casa in Versilia. Un’operazione che si aggiunge all’aumento di capitale e a un prestito soci.

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    Daniela Santanchè ha ipotecato la villa in Versilia intestata al figlio Lorenzo Mazzaro per tentare di risanare i debiti di Visibilia e della sua azienda, Athena Pubblicità. Il 7 ottobre scorso, Mazzaro ha ufficializzato davanti a un notaio un vincolo di destinazione sull’immobile, impedendone la vendita fino a quando i creditori non verranno soddisfatti. Una mossa necessaria per garantire il pagamento di una cifra vicina ai 120 mila euro, legata a due verbali dell’Inps del 18 settembre 2024.

    A rivelare la vicenda è Il Fatto Quotidiano, che ricostruisce il groviglio di problemi economici e giudiziari che circondano l’operazione. L’azienda della ministra ha dovuto prima ricorrere a un aumento di capitale da 4 milioni di euro, poi a un prestito soci da 500 mila euro. Ora arriva anche il vincolo sull’immobile, necessario per garantire il pagamento dei debiti verso banche, dipendenti e fornitori.

    Cassa integrazione Covid e il rischio truffa ai danni dello Stato

    Il problema più urgente riguarda i fondi pubblici ottenuti per la cassa integrazione Covid, su cui pende una richiesta di rinvio a giudizio per truffa ai danni dello Stato. Il 26 marzo, a Milano, si deciderà se la ministra dovrà affrontare un processo per irregolarità nei versamenti Inps relativi a 13 dipendenti, ai quali è stato chiesto di restituire gli importi percepiti per non aver lavorato durante la pandemia.

    Athena Pubblicità, con un versamento forzato di 200 mila euro il 24 settembre scorso, ha dovuto riconoscere l’esistenza delle irregolarità. Una situazione che stride con la difesa di Santanchè in Senato, quando il 5 luglio 2023 aveva respinto ogni accusa: “La contestazione di una dipendente di Visibilia di aver lavorato a sua insaputa mentre era in cassa a zero ore è tardiva e infondata”.

    La villa e l’indagine sugli abusi edilizi

    Oltre ai problemi finanziari, sull’immobile in Versilia pende un’altra grana: un’indagine per presunti abusi edilizi mai sanati. Una perizia immobiliare agli atti evidenzia diverse difformità, tra cui modifiche alla facciata, una serra solare, una veranda e nuovi ingressi non regolarizzati.

    Secondo l’esperto che ha esaminato la struttura, “sono presenti difformità relative all’installazione di manufatti esterni all’edificio. In caso di vendita, in difetto di sanatoria, questi manufatti andranno rimossi per ottenere il ripristino e la regolarizzazione edilizia, essenziali per la sua commerciabilità”.

    In altre parole, l’immobile ipotecato per coprire i debiti non sarebbe nemmeno commerciabile senza prima risolvere le irregolarità urbanistiche.

    Tra conti in rosso, fondi pubblici contestati e problemi edilizi, la rete di difficoltà che avvolge l’universo imprenditoriale di Santanchè si fa sempre più intricata. Il vincolo sulla villa in Versilia è solo l’ultimo tentativo di evitare il tracollo, ma il 26 marzo potrebbe arrivare un verdetto ancora più pesante.

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      Cronaca

      «Siamo dello staff del ministro Crosetto»: così la banda ha truffato grandi imprenditori per centinaia di migliaia di euro

      Moratti e Beretta raggirati, conti esteri già attivati e promesse di riscatti fantasma per giornalisti mai rapiti: la truffa che ha usato il nome di Guido Crosetto ha già fatto decine di vittime nel mondo dell’alta finanza. Ora la procura indaga sulla banda di professionisti, tra numeri clonati e bonifici milionari.

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        La truffa è colossale. Non tanto per la somma di denaro sottratta — comunque impressionante — ma per la qualità dello stratagemma, la portata delle vittime coinvolte e il personaggio utilizzato come esca: Guido Crosetto, ministro della Difesa in carica. Una banda di truffatori ha sfruttato il suo nome, il suo ruolo istituzionale e quello del suo staff per mettere in atto un raggiro studiato nei minimi dettagli. Obiettivo? Ottenere centinaia di migliaia di euro da imprenditori di altissimo profilo, convinti di contribuire a un’operazione segreta per la liberazione di giornalisti rapiti all’estero.

        Tra le vittime c’è Massimo Moratti, che ha già sporto denuncia. Ma non è il solo. Anche la famiglia Aleotti del gruppo Menarini e quella Beretta, famosa per la multinazionale produttrice di armi, hanno presentato formale denuncia. Altre personalità, come Giorgio Armani, Patrizio Bertelli, Marco Tronchetti Provera e Diego Della Valle, sarebbero state contattate dalla banda, anche se non è chiaro se siano cadute nel tranello. Intanto, la procura di Milano sta lavorando per bloccare il flusso di denaro già finito su conti esteri. È una corsa contro il tempo.

        Il modus operandi: come funzionava la truffa

        Il piano era diabolico e ben orchestrato. In almeno un caso, la telefonata iniziava con un finto membro dello staff del ministro: «Resti in linea, le passo il ministro Crosetto». Dall’altro capo del telefono, una voce si spacciava per il ministro stesso e raccontava di una situazione gravissima: giornalisti italiani rapiti in Siria o in Iran. Per liberarli, era necessario pagare un riscatto immediato. «È una cosa segretissima, è in campo l’intelligence. La Repubblica ha bisogno di una sua sponda», diceva il falso Crosetto. E poi l’assicurazione: «Restituiremo tutto entro pochi giorni tramite la Banca d’Italia. La Repubblica le sarà riconoscente».

        I truffatori chiedevano somme importanti, spesso in più tranche, e tenevano costantemente aggiornate le vittime per guadagnarne la fiducia. «Serve un altro sforzo…», insistevano al telefono, fino a ottenere cifre sempre più alte. Il linguaggio era perfetto, il tono convincente. Ma non per tutti.

        La scoperta della truffa e le prime denunce

        La truffa è venuta a galla martedì 4 febbraio, quando un grande imprenditore — amico personale di Guido Crosetto — si è insospettito. Ha contattato direttamente il ministro chiedendogli perché avesse chiesto il suo numero di telefono tramite la segreteria. Crosetto, stupito, ha capito immediatamente che qualcosa non tornava. Un’ora dopo, un secondo imprenditore lo ha chiamato per raccontare di essere stato contattato da lui e poi da un sedicente generale, effettuando un bonifico a un conto indicato dai truffatori.

        Mercoledì, un altro grande imprenditore si è fatto avanti, raccontando una storia simile. Giovedì, altre due personalità di spicco hanno dichiarato di essere state contattate a nome del ministro. In appena tre giorni, almeno cinque casi documentati.

        Giovedì 6 febbraio, Crosetto ha denunciato tutto su “X” (ex Twitter), definendo la vicenda «un’assurdità». La procura di Milano, guidata da Marcello Viola, ha immediatamente aperto un fascicolo per truffa aggravata. Il pm Giovanni Tarzia sta coordinando il lavoro dei carabinieri per ricostruire ogni dettaglio della truffa e individuare i responsabili.

        Una truffa hi-tech: l’ombra dell’intelligenza artificiale

        Uno degli aspetti più inquietanti di questa truffa è il livello di sofisticazione tecnologica. I truffatori hanno utilizzato numeri telefonici clonati, alcuni con prefissi di Roma, altri apparentemente legati allo staff del ministro. I numeri, plausibili e ben costruiti, potrebbero essere stati attivati dall’estero. Si indaga anche sull’ipotesi che sia stata usata l’intelligenza artificiale per replicare la voce del ministro, anche se questa possibilità è stata inizialmente esclusa dagli investigatori.

        Chi conosce bene Crosetto ha subito capito che non si trattava della sua voce, ma per chi non ha familiarità con il suo timbro, il raggiro poteva sembrare assolutamente autentico.

        Le denunce e il ruolo delle vittime

        Attualmente sono tre le denunce ufficiali arrivate sulla scrivania del pm Tarzia. Oltre a quella di Massimo Moratti, ci sono gli esposti della famiglia Aleotti del gruppo Menarini e della famiglia Beretta. Ma la lista delle vittime contattate dalla banda potrebbe essere molto più lunga. Gli investigatori stanno lavorando per ascoltare uno a uno tutti i grandi nomi coinvolti, sia per raccogliere testimonianze sia per valutare l’entità del danno subito.

        Tra i nomi più noti figurano Giorgio Armani, Diego Della Valle, Marco Tronchetti Provera, Patrizio Bertelli e Francesco Caltagirone. Non è ancora chiaro se qualcuno di loro sia caduto nella rete dei truffatori o se si sia limitato a segnalare il tentativo di truffa.

        L’indagine in corso e la caccia ai conti esteri

        L’indagine si sta ora concentrando sul flusso di denaro. I bonifici effettuati dalle vittime sono stati indirizzati su conti esteri, che gli inquirenti stanno cercando di rintracciare e congelare. Si tratta di un lavoro complesso e delicato, che richiede la collaborazione delle autorità bancarie internazionali.

        La banda, composta evidentemente da professionisti, aveva studiato tutto nei minimi dettagli, sfruttando le falle del sistema per confondere le vittime e ottenere denaro senza lasciare tracce evidenti. Ma ora è corsa contro il tempo per fermare il giro di soldi e assicurare i responsabili alla giustizia.

        Questa storia, oltre a rappresentare un caso di truffa senza precedenti, solleva inquietanti interrogativi sulla vulnerabilità delle figure di alto profilo. Quando persino un ministro può essere utilizzato come esca per un raggiro, diventa evidente che nessuno è davvero al sicuro.

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          Politica

          Dalle Nutella stories ai complotti: le chat esplosive di FdI e l’ira del Capitano tradito

          Dalle chat inedite di Fratelli d’Italia emergono giudizi impietosi su Salvini. Lui rivendica complotti dei servizi segreti, FdI cerca la talpa. Intanto, la politica si riduce a uno scambio di insulti al gusto di Nutella.

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            In principio c’era la Nutella. Quella che Matteo Salvini postava ogni mattina sui social per farci sapere che lui era uno di noi: il ragazzo della porta accanto, col cucchiaino di crema alle nocciole e un sorriso furbo. E, strano ma vero, saliva pure nei sondaggi. «Ma quando uno scende e scende, poi non risale», sentenzia ora la ministra Elisabetta Casellati, che sembra aver imparato le regole del mercato azionario applicate alla politica. Peccato che il soggetto in questione non sia un titolo azionario, ma il leader della Lega.

            Benvenuti nel teatrino tragicomico della destra italiana, dove l’ultima frontiera della lotta politica è la chat di gruppo. Le conversazioni private di Fratelli d’Italia – raccolte nel libro “Fratelli di chat” del giornalista Giacomo Salvini – rivelano un universo parallelo fatto di giudizi impietosi, complotti immaginari e insulti che farebbero impallidire un film di Verdone. E chi ci finisce nel mirino? Ovviamente lui, il Capitano, che viene definito pagliaccio e bimbominchia.

            La reazione della Lega è degna di una soap opera: dapprima il gelo, poi lo sdegno, infine il complotto. Salvini ci tiene a far sapere che «non sono un guardone e non sbircio le chat», ma ci tiene anche a tirare in ballo i servizi segreti: «Mi hanno rovinato la carriera ben prima di Meloni», dichiara ai giornalisti, evocando misteriose trame degne di uno spy movie di serie B.

            La caccia alla talpa

            Mentre Salvini grida al complotto e annuncia il congresso della Lega per marzo (giusto in tempo per prepararsi alla primavera calda), Fratelli d’Italia non resta a guardare. È caccia alla talpa. E già si sprecano le ipotesi sul traditore: sarà un ex escluso dalle stanze del potere? O forse un militante deluso, di quelli che non sono mai entrati nel “giro giusto”? La ricerca somiglia sempre più a una puntata di Chi l’ha visto?, ma con meno pathos e molti più meme.

            Il vero nodo, però, è un altro. Non cosa si dice nelle chat, ma il fatto che qualcuno abbia osato pubblicarle. Perché – sia chiaro – non è un problema insultare il proprio alleato di governo definendolo ridicolo. È un problema se qualcuno lo scopre. Così, invece di fare un esame di coscienza, si minacciano azioni legali contro chi ha osato portare alla luce le parole scritte.

            La retromarcia di Salvini

            Non manca, infine, la retromarcia d’ordinanza. Dopo aver evocato trame oscure, il Carroccio precisa: «Quando parliamo di regolamenti di conti nei servizi di intelligence, ci riferiamo a ciò che leggiamo sui giornali». Insomma, è colpa dei giornali, mica loro. Perché, nella migliore tradizione italiana, la colpa è sempre di chi racconta, mai di chi agisce.

            Intanto Giorgia Meloni getta acqua sul fuoco, postando una foto a cena con Salvini e la rassicurante frase: «La stima nei suoi confronti è nei fatti». Una stretta di mano digitale che dovrebbe rasserenare gli animi. Peccato che, a giudicare dai sondaggi e dalle chat, il patto di alleanza tra Lega e Fratelli d’Italia sembri sempre più simile a un matrimonio di convenienza, con i consueti tradimenti, ripicche e incomprensioni.

            Ma attenzione: il congresso della Lega si avvicina e il Capitano non ha intenzione di mollare. Riuscirà a risalire la china a colpi di selfie e Nutella? O la nuova era della destra italiana sarà solo un lungo scambio di messaggini velenosi e complotti immaginari? Ai posteri l’ardua sentenza. E, nel frattempo, occhio alle chat.

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              Storie vere

              Il bambino costretto a vivere in una bolla: ha toccato il mondo senza mai toccarlo. L’incredibile storia di David Vetter

              La ricerca scientifica ha fatto molti progressi nella cura dell’ADA-SCID, e oggi esistono terapie geniche innovative che offrono una speranza di guarigione a questi bambini.

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                Non ha mai toccato il mondo, ma il mondo è stato toccato da lui.” Questa è l’epigrafe di David Phillip Vetter, noto per aver vissuto tutta la sua breve vita all’interno di una bolla di plastica a causa di una grave malattia. Nato nel settembre del 1971, David è morto a soli 12 anni nell’ottobre del 1984. Soffriva di ADA-SCID (Severe Combined Immunodeficiency Disease – Sindrome di Immunodeficienza Combinata grave da deficit di Adenosin-deaminasi), una malattia genetica che annulla le difese immunitarie. Per questo motivo, David è stato costretto a vivere in una bolla di plastica per evitare che virus e batteri potessero causargli infezioni mortali.

                Un caso mediatico che ispirò documentari e film

                La pratica della bolla di plastica era l’unico modo per far sopravvivere i bambini affetti da questa malattia negli anni ’70. David uscì dalla bolla solo per un trapianto di midollo osseo, nella speranza di salvarlo. Il donatore fu sua sorella, ma purtroppo l’intervento non ebbe successo . Morì poche settimane dopo a causa di gravi infezioni. Il bambino divenne un caso mediatico, il primo “bambino-bolla” della storia. Il New York Times gli dedicò un documentario intitolato “The Boy In The Bubble – David Vetter“. La sua storia ha ispirato anche il film “The Boy in the Plastic Bubble” (1976), con John Travolta.

                Vetter non era l’unico bambino a vivere in quelle condizioni

                Nel corso degli anni, molti altri bambini hanno subito la stessa sorte. La storia di David Vetter ha contribuito a sensibilizzare l’opinione pubblica sulla malattia e ha spinto la ricerca scientifica a trovare nuove cure. A partire dagli anni ’90, sono stati fatti molti progressi nella terapia genica per la SCID. In particolare, la terapia sviluppata dall’Istituto San Raffaele-Telethon di Milano, chiamata Strimvelis, ha rappresentato una svolta nella cura di questa malattia. Strimvelis è la prima terapia genica a base di cellule staminali approvata in Europa per una malattia genetica rara. Ha offerto una speranza di futuro a molti pazienti affetti da ADA-SCID che non avevano un donatore compatibile di midollo osseo.

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