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Storie vere

Abbiamo lasciato tutto e ci siamo trasferiti in Thailandia

La storia di una coppia olandese che ora gestisce un resort sulla spiaggia. Una scelta di vita coraggiosa tra sfide e soddisfazioni che coinvolge anche molti italiani.

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    La Thailandia non era una destinazione sconosciuta per Johan e Sabine Bogaerts. Più volte avevano trascorso lì vacanze indimenticabili, ma la decisione di cambiare radicalmente vita è arrivata durante la pandemia. Stanchi della routine quotidiana in Olanda, fatta di impegni serrati e poco tempo per la famiglia, i coniugi hanno scelto di licenziarsi, vendere casa e trasferirsi con i loro due figli nell’isola di Koh Lanta.

    I motivi del trasferimento? Dallo stress quotidiano ai costi

    La vita scorre molto velocemente e volevamo fare qualcos’altro prima che fosse troppo tardi, sia fisicamente che mentalmente“, ha raccontato Sabine, ex chef di 51 anni. Anche Johan, ex ingegnere di 54 anni, condivideva il desiderio di un’esistenza più gratificante e meno frenetica. La spinta decisiva è arrivata grazie ad alcuni annunci su Facebook che presentavano immobili in affitto in Thailandia. La coppia ha trovato una proprietà a soli 60 metri dalla spiaggia di Klong Khong, una popolare destinazione turistica, e ha deciso di affittarla per 20 anni, restaurandola e trasformandola in un resort.

    L’investimento complessivo è stato di circa 200mila euro, in gran parte finanziato dalla vendita della loro casa in Olanda. Sebbene la vita in Thailandia sia più economica, la coppia ha affrontato diverse sfide, come adattarsi a una nuova cultura, gestire la stagionalità del turismo e affrontare le difficoltà legate alla burocrazia locale. La gestione del resort segue il ritmo delle stagioni turistiche.L’alta stagione va da dicembre a marzo, quando il clima è più favorevole e le tariffe delle camere aumentano sensibilmente. Durante la bassa stagione, una stanza può costare circa 1.100 baht thailandesi (circa 30 euro). Mentre nei mesi di punta il prezzo sale fino a 2.600 baht (poco più di 70 euro). “Ora abbiamo una vita più lenta e decisamente più appagante”, concludono.

    Perchè la Thailandia piace così tanto anche agli italiani?

    L’Italia e la Thailandia sono separate fisicamente da oltre 11mila chilometri e svariate ore di volo; culturalmente da mentalità molto diverse. Tutto questo, però, non è sufficiente a renderle incompatibili. Anzi. Il Paese è una meta ambita per i suoi paesaggi e per il suo popolo, ma in parte perché il costo della vita inferiore a quello della maggior parte dei Paesi occidentali. Dall’affitto al trasporto quotidiano, passando per l’intrattenimento e le spese mediche, in Thailandia la spesa media è minore rispetto a quella di qualsiasi città occidentale, che sia Roma, Milano, Londra o Parigi.

    Ma come si fa a trasferirsi in Thailandia?

    Per prima cosa bisogna avere spirito di adattamento, tanta voglia di cambiare e una predisposizione alla spiritualità, al rispetto e alla gentilezza. Ma al di là del bagaglio emotivo bisogna decidere la meta. Dopotutto si tratta di una terra vastissima, che si estende per oltre 513 chilometri quadrati di superficie. Praticamente il doppio dell’Italia, e conta quasi 70 milioni di abitanti, quindi meglio restringere il campo. Chi sceglie Bangkok troverà moderni grattacieli e centri commerciali a fianco di mercatini tradizionali, palafitte traballanti sul Chao Phraya e templi antichi. Un contrasto affascinante, e proprio per questo è una città che offre tutto quello che si può desiderare, dai ristoranti gourmet con tre stelle Michelin ai locali tipici. Dai negozi di abbigliamento occidentali alle boutique thailandesi. Dal bar di quartiere al lounge bar con discoteca sulla terrazza di un grattacielo dalla vista mozzafiato.

    Phuket e la sua strepitosa natura

    La città è dotata di un aeroporto internazionale molto ben collegato con tutto il mondo, che permette di raggiungerla, anche dall’Italia, senza necessariamente dover fare scalo a Bangkok. La natura è strepitosa e ci sono chilometri e chilometri di spiagge bianche che si tuffano in un mare cristallino. Non esiste inquinamento perché nei paraggi non ci sono né industrie, né fabbriche, ma l’assenza di attività non significa mancanza di servizi o beni di prima necessità. Nell’area di Phuket vivono foreste vergini e luoghi in cui la vita scorre come cento anni fa, perché gli autoctoni hanno ancora quel sorriso e quella gentilezza dimenticate. Ma si può trovare di tutto. Dal corso di golf ai pezzi di ricambio per l’ultimo modello di estrattore a freddo per fare i succhi, oltre che un parrucchiere e una palestra!

    La meta dei nomadi digitali

    Un altro posto dove molti nomadi digitali hanno deciso di trasferirsi negli ultimi anni è Chiang Mai, una città tra le montagne della Thailandia settentrionale. Ha un clima più fresco di Phuket. Se siete amanti dei monti e meno del mare (a Chiang Mai è del tutto assente!) questo è sicuramente il posto più adatto a voi. Un tempo era una tranquilla cittadina religiosa, ma oggi è abbastanza grande e sviluppata per offrire diversi servizi e opportunità. La vita è più rilassata e lenta che a Bangkok. Grazie alla sua posizione permette un facile accesso a numerose avventure all’aria aperta. Per esempio? L’escursionismo su quella che è la montagna più alta della Thailandia (il Doi Inthanon, 2.565 metri), il rafting per i torrenti o l’arrampicata su roccia.

    Il mare più amato dagli stranieri di tuto il mondo

    Dopo Phuket, Hua Hin è il secondo paradiso thailandese sul mare più amato dagli stranieri. Situata a circa tre ore di auto da Bangkok, affacciata sul golfo del Siam, è stata una delle prime mete balneari, se non la prima, dei thai più abbienti degli anni Venti del secolo scorso. Per questo è ricca di resort e ville, e un’atmosfera molto positiva circonda le sue spiagge meravigliose, forse meno incontaminate di quelle di Phuket.

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      Dal dolore alla speranza: la storia di Massimo Di Menna e il campus dei campioni

      Un padre trasforma la perdita delle figlie Maia e Micol in un progetto di vita e inclusione sociale.

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        Massimo Di Menna è un ingegnere bolognese che ha trasformato la scomparsa delle sue figlie in uno straordinario progetto di solidarietà. Maia è scomparsa nel 2020 a soli 12 anni per un tumore cerebrale incurabile, Micol, la maggiore, è deceduta in un incidente stradale in Marocco nel 2023. Una tragedia che avrebbe fiaccato chiunque. E invece no. Nonostante il dolore, il papà ha trovato la forza di reagire, dedicandosi al progetto Campus dei Campioni.

        Un luogo di inclusione sociale

        Il Campus, situato su un’area di 21 ettari tra Bologna e San Lazzaro, è un luogo di inclusione e solidarietà. Con 12mila alberi e una natura rigogliosa, ospiterà un ristorante da 352 posti gestito da persone fragili, una palestra, un teatro all’aperto per bambini disabili, un centro sociale gratuito e molte altre attività. Alcune iniziative, come l’asilo nel bosco, sono già operative, mentre altre sono in fase di sviluppo. Il ristorante, progettato per accogliere persone con fragilità, rappresenta un faro di inclusione. E inoltre una dimostrazione di come il lavoro possa essere un’esperienza dignitosa e arricchente. Il teatro all’aperto e la palestra porteranno gioia e opportunità a chi troppo spesso si trova ai margini della società.

        Per Massimo Di Donna la natura cura più delle medicine

        Papà Massimo ha voluto che il Campus fosse un luogo di felicità e speranza, dove la memoria di Maia e Micol vive attraverso progetti dedicati ai più fragili. La sua visione è radicata nella convinzione che la natura e la solidarietà possano curare più delle medicine. Il Campus rappresenta anche un esempio di welfare innovativo, con collaborazioni con università e associazioni locali. I fondi per sostenere questo ambizioso progetto derivano in parte dall’attività del Gruppo Ingegneria, che incarna l’idea di un’impresa orientata al sociale. Massimo ha dedicato la sua carriera a creare un legame tra l’ingegneria e il welfare, dando vita a progetti che offrono un rifugio per chi ne ha bisogno, dagli anziani ai giovani in difficoltà. Anche l’ambiente naturale, con i suoi boschi rigogliosi e il canto dei ruscelli, ci mette del suo. E’ parte integrante del progetto: non un semplice contorno, ma un elemento terapeutico per il corpo e per l’anima. E’ nella natura che la visione di Massimo Di Menna unisce tradizione e innovazione, con l’idea di un futuro in cui la natura e il sociale si incontrano per il benessere comune.

        Il libro di mamma Margherita

        La scrittura del libro “Dopo torno“, dedicato da Margherita Lanteri Cravet, la madre di Maia e Micol, arricchirà ulteriormente questa storia familiare di resilienza e amore. Ma non solo. Lascerà un messaggio duraturo per le generazioni future. Il Campus dei Campioni non è solo un luogo: è un’eredità d’amore che continua a crescere ogni giorno.

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          Emma: la regina della velocità over90 esempio per i suoi ex studenti e fenomeno per la scienza

          La straordinaria storia di una campionessa mondiale che, a 91 anni, continua a battere record e a ispirare studi sull’invecchiamento attivo.

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            Impegno, salute e soddisfazione sono queste le tre parole usate dalla 91enne Emma Maria Mazzenga per spiegare la chiave del suo successo nella corsa. Emma corre da sempre e sembra non volersi fermare. Quando aveva 75 anni ha realizzato il record mondiale degli 800 metri piani in outdoor. E’ una che la competizione la sente molto.

            La disciplina è tutto… ma anche la salute

            L’atleta italiana a 91 anni e mezzo – ci tiene a precisare – è un fenomeno unico nel mondo dello sport. Detentrice del record mondiale sui 200 metri outdoor per la categoria over90, ha iniziato la sua seconda carriera sportiva intorno ai 53 anni, nel 1986, dopo che l’aveva abbandonata per andare a insegnare Scienze in un liceo. La scorsa estate ha stabilito nuovi record su diverse distanze, attirando l’attenzione globale, persino in Cina. La sua vita quotidiana riflette una disciplina e una vitalità straordinarie. Vive da sola a Padova, si occupa delle faccende domestiche, non segue diete particolari e mantiene uno stile di vita attivo. La sua sfida la rivolge sempre contro se stessa e il cronometro, in un contesto in cui la categoria “Master” degli over35 in Italia vede 102 mila iscritti alla Federazione Italiana di Atletica Leggera Fidal. L’unica in crescita a livello nazionale, su 243 mila tesserati totali. Quasi la metà. De resto siamo o non siamo tra le nazioni con più anziani al mondo?

            Emma un simbolo di invecchiamento attivo

            Emma è diventata un simbolo dell’invecchiamento attivo, un tema centrale nelle politiche di coesione sociale sostenute dall’Unione Europea. Progetti come quelli dell’Università di Verona e del CNR, che studiano gli effetti del training fisico sugli anziani e sviluppano strumenti per migliorare la postura e le capacità cognitive, trovano in Emma un esempio concreto. Pur non cercando di essere un modello, la sua storia ha ispirato molte persone, inclusi ex studenti, a riprendere lo sport dopo i cinquant’anni.

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              Taxi a guida autonoma: dal futuro possibile alla figuraccia in un batter d’occhio

              Quando la tecnologia ci abbandona nel momento del bisogno.
              Il sogno dell’auto che si guida da sola si scontra con la realtà.

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                Mike Johns, un imprenditore di Los Angeles, stava per prendere un volo. Aveva scelto la comodità di un taxi autonomo, ma quello che doveva essere un viaggio tranquillo si è trasformato in un’esperienza surreale. Seduto a bordo del veicolo senza conducente, Johns si è ritrovato intrappolato in un loop infinito, mentre l’auto girava in tondo nel parcheggio dell’aeroporto.

                Sembrava una scena di un film di fantascienza“, ha raccontato l’uomo in un video diventato virale sui social media. “Pensavo che qualcuno stesse scherzando o che l’auto fosse stata hackerata“. La realtà, purtroppo, era ben più prosaica: un semplice malfunzionamento del sistema di guida autonoma aveva trasformato un mezzo di trasporto in una gabbia mobile.

                C’è da viaggiare ancora un po’ prima di avere fiducia sull’auto senza conducente

                L’incidente, avvenuto lo scorso dicembre, ha messo in evidenza i limiti della tecnologia e ha sollevato interrogativi sulla sicurezza e l’affidabilità dei veicoli a guida autonoma. Se da un lato queste automobili promettono di rivoluzionare il modo in cui ci muoviamo, dall’altro dimostrano ancora di avere bisogno di importanti miglioramenti. L’episodio di Johns ha fatto il giro del mondo, alimentando il dibattito sulla reale utilità e sicurezza dei taxi senza conducente. Molti si chiedono se siamo davvero pronti ad affidare la nostra vita a macchine che possono commettere errori.

                Se questa è l’innovazione“, ha commentato Johns, “allora preferisco guidare da solo“. E in effetti, è difficile non condividere il suo scetticismo. L’idea di un’auto che si guida da sola è affascinante, ma finché queste tecnologie non saranno in grado di garantire una sicurezza assoluta, è difficile immaginare un futuro in cui i veicoli autonomi sostituiranno completamente quelli tradizionali.

                Le sfide dell’automazione nei taxi

                L’incidente di Johns ha messo in luce alcune delle sfide che devono ancora essere affrontate per rendere la guida autonoma una realtà sicura e affidabile.

                La prima sfida riguarda i malfunzionamenti tecnici. I sistemi di guida autonoma, infatti, sono complessi e possono essere soggetti a errori, come dimostra l’episodio di Johns.
                La seconda sfida che devono affrontare i produttori delle auto a guida autonoma riguarda una vasta gamma di condizioni ambientali a cui le auto sono sottoposte, dal traffico intenso alle condizioni meteorologiche avverse. Terza sfida: la sicurezza. È fondamentale garantire che i veicoli autonomi siano in grado di reagire in modo sicuro e tempestivo a situazioni impreviste. La guida autonoma solleva anche importanti questioni etiche, come ad esempio chi è responsabile in caso di incidente. Convincere le persone ad abbandonare il volante sarà sempre più difficile fino a quando non saremo in grado di garantire che i veicoli autonomi siano completamente sicuri.

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