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Storie vere

Casa inagibile per i lavori dei vicini: Walter, malato e senza un tetto, chiede aiuto NG

I vicini fanno i lavori e la sua casa diventa inagibile. Un uomo di 53 anni, gravemente malato, non sa dove andare a vivere con la moglie.

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    Ma povero signor Walter…la sua vita è stata stravolta dai lavori di ristrutturazione nell’appartamento sottostante alla sua abitazione. Questo episodio è successo ad Ancona e ha coinvolto il signor Walter Dominici, 53 anni, invalido civile al 55% per una grave cardiopatia. Un un contratto di lavoro precario, una moglie e due cani di grossa taglia a carico, Walter oggi si trova ora senza un luogo dove vivere stabilmente. Ma coa è successo? Perché si trova n questa situazione così precaria e instabile?

    I fatti: da casa sicura a incubo quotidiano

    Walter viveva in un appartamento al terzo piano di un antico palazzo a Montesicuro, quando, a novembre, i proprietari dell’appartamento al piano di sotto hanno avviato importanti lavori di ristrutturazione. Walter in alcuni momenti della giprnata sentiva traballare le mura di casa sua come se ci fossero delle piccole scosse di terremoto. “Un giorno ho sentito rumori così forti che tremava tutta la casa,” racconta. Dopo aver scoperto che erano stati abbattuti muri portanti, Walter ha subito avvisato i proprietari, che lo hanno rassicurato dicendo che avrebbero verificato con l’ingegnere. Ma da quel girno la situazione è rapidamente peggiorata. Il pavimento del suo appartamento ha iniziato a cedere. Temendo per la sicurezza, Walter ha chiamato i Vigili del Fuoco, i quali, dopo un controllo, hanno dichiarato l’intero appartamento inagibile. “Non mi aspettavo che ci costringessero a lasciare subito casa,” ricorda oggi Walter.

    E il Comune come ha trattato Walter?

    Nonostante l’emergenza abitativa, il Comune di Ancona ha comunicato che tutti gli alloggi d’emergenza erano occupati. La prima notte, Walter e la moglie sono stati costretti a dormire in un hotel vicino alla stazione, ma la mattina successiva hanno ricevuto una doccia fredda. Ovvero? “All’ufficio di Promozione Sociale mi hanno detto che non potevano fare nulla perché ho un lavoro e non ho figli minori a carico.” Le alternative proposte non erano accettabili: i figli vivono lontano, e un eventuale ricovero per senzatetto avrebbe separato la coppia, con Walter ad Ancona e la moglie a Jesi o Falconara. “Non potevo accettare di essere separato da mia moglie e dai nostri cani. Siamo una famiglia.” E ha ragione… Quindi?

    La situazione attuale? Un fragile equilibrio

    Quindi ora Walter e la moglie vivono in un albergo a Osimo Stazione, grazie ai risparmi personali. Nel frattempo, sono riusciti a trovare una casa in affitto temporaneo a Numana, dove si trasferiranno nei prossimi giorni. Tuttavia, questa soluzione è solo provvisoria. “A maggio dovremo lasciare la casa. Non so cosa fare dopo,” spiega Walter, che spera di trovare un’abitazione a canone agevolato. Comunque sul lato pratico finora, Walter non ha ricevuto aiuti concreti dalle istituzioni, nonostante i ripetuti appelli. La comunità locale non sembra aver mobilitato risorse per sostenere la sua situazione. “Mi sento abbandonato,” dichiara. La speranza è che, come accaduto in altri casi simili, venga trovata una soluzione d’urgenza, magari attraverso fondi comunali per situazioni di emergenza o un intervento delle associazioni di volontariato. “Ho bisogno di aiuto, di una casa temporanea dove poter stare finché non sistemano la mia. Non voglio mollare, ma non posso farcela da solo.”

      Storie vere

      “Sei sporca, brutta e grassa”: 12enne bullizzata in classe, la scuola condannata a risarcire 60mila euro

      Una 12enne di Pescara è stata vittima di bullismo per mesi, senza che la scuola intervenisse tempestivamente. Gli insulti e le vessazioni subiti l’hanno costretta a cambiare scuola e hanno causato gravi danni psicologici. Dopo otto anni di battaglie legali, la Corte d’appello dell’Aquila ha condannato l’istituto a risarcire la ragazza e la sua famiglia con 60mila euro, criticando duramente l’indolenza della scuola nel proteggere la studentessa.

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        La storia di una 12enne bullizzata nella sua scuola media di Pescara fa ancora parlare. Offese, insulti e vessazioni quotidiane l’hanno costretta a vivere un incubo durato mesi, senza che la scuola intervenisse tempestivamente. La bambina, oggi 23enne, ha finalmente ottenuto giustizia: la Corte d’appello dell’Aquila ha condannato l’istituto a risarcire lei e la sua famiglia con 60mila euro per non aver preso provvedimenti adeguati contro il bullo.

        Un incubo lungo otto anni

        “Tu sei una ragazza sporca, come tua madre, fai cose sporche, sei una p… Sei brutta, grassa, guardati”. Queste le parole che risuonavano nella mente della 12enne ogni giorno. Le offese e le umiliazioni arrivavano dal suo coetaneo, compagno di classe, che la perseguitava continuamente. La scuola, invece di intervenire immediatamente, ha lasciato che la situazione degenerasse.

        La lenta risposta della scuola

        La scuola ha sospeso il bullo solo per una settimana, una misura ritenuta insufficiente dai giudici. Le testimonianze dei compagni di classe hanno evidenziato l’indifferenza del corpo docente e la mancanza di interventi adeguati. “I professori sapevano che la mia amica era bullizzata e non hanno mai rimproverato quel ragazzo,” ha dichiarato una compagna di classe. Questa indifferenza ha portato la bambina a perdere 20 chili, a cambiare scuola e a perdere l’anno scolastico.

        La sentenza e le critiche alla scuola

        La Corte d’appello dell’Aquila ha confermato la condanna della scuola, sottolineando l’obbligo di vigilanza e protezione degli studenti. “Il compito della scuola era quello di tutelare la minore, adempiendo all’obbligo di controllo e vigilanza prima che si verificasse la situazione di pericolo e non intervenire in un momento successivo,” hanno scritto i giudici nella sentenza.

        Un lungo cammino verso la giustizia

        Otto anni di udienze e sofferenze ripercorse in tribunale hanno finalmente portato giustizia alla ragazza e alla sua famiglia. Il risarcimento di 60mila euro è solo un parziale sollievo per il dolore subito, ma rappresenta un importante riconoscimento della responsabilità della scuola. La giovane, ora 23enne, ha ripreso in mano la sua vita grazie a cure e sostegno psicologico, ma le ferite lasciate dal bullismo e dall’indifferenza della scuola rimarranno per sempre.

        Una lezione amara

        Questa vicenda evidenzia la necessità di un intervento immediato e deciso contro il bullismo nelle scuole. Le istituzioni educative hanno il dovere di proteggere i loro studenti e di creare un ambiente sicuro e supportivo. Speriamo che questa sentenza serva da monito affinché nessun altro bambino debba soffrire come la giovane di Pescara.

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          Storie vere

          La superiora coinvolta in una chat erotica col prete, ma le suore negano

          La religiosa a capo del Most Holy Trinity di Arlington è stata accusata di aver violato il voto di castità con telefonate sconce con un prete. Il vescovo locale vuole prendere il controllo della struttura, ma le suore si sono ribellate

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            La saga del monastero Most Holy Trinity di Arlington, Texas, è diventata la trama principale di una telenovela dall’andamento tanto imprevedibile quanto scandaloso. Il palcoscenico di questa storia boccaccesca è un monastero in lotta tra suore ribelli e un vescovo determinato, con tanto di violazione dei voti di castità e telefonate sconce a un prete.

            Le suore carmelitane hanno alzato la voce, sfidando il Vaticano e denunciando il vescovo locale e l’Association of Christ the King. La battaglia per il controllo del monastero e dei suoi trenta ettari di terreno è diventata un vero e proprio campo di battaglia legale, con milioni di dollari in gioco e un’accusa di violazione dei voti sacri che avrebbe fatto arrossire persino il Papa.

            Il Vaticano ha emesso un decreto assegnando il controllo del monastero a un’organizzazione privata cattolica, scatenando una guerra legale senza precedenti. Ma le suore non si sono arrese facilmente: hanno chiesto di bloccare il provvedimento e hanno denunciato il vescovo locale per tentativo di appropriazione indebita.

            Ma la vera bomba è stata la rivelazione dei loschi affari della madre superiora, Teresa Agnes Gerlach, accusata di aver rotto il voto di castità con telefonate sconce a un prete di un altro monastero. Un’indagine interna condotta dal Vaticano ha portato alla rimozione di Gerlach, ma la madre superiora non si è data per vinta, sostenendo di essere vittima di un complotto ordito dal vescovo per prendere il controllo del monastero.

            Il tribunale diventa così il palcoscenico di una battaglia epica, con suore coraggiose che lottano per difendere la loro casa e il loro onore. La richiesta di 100 mila dollari di risarcimento è solo l’ultima mossa in questa partita che sembra non avere fine.

            Ma mentre il pubblico si prepara a scrutare ogni mossa sul palcoscenico del tribunale, ci si chiede: chi sarà il vincitore di questa battaglia? Le suore sono pronte a tutto pur di difendere il loro monastero, e il vescovo dovrà fare i conti con una rivolta che potrebbe mandare in fumo i suoi loschi piani.

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              Storie vere

              Ha viaggiato per il mondo per sei anni: ora, tornata a casa, Katie si sente più sola che mai

              Ha trascorso 6 anni all’avventura in giro per il mondo. A 30 anni, tornata a casa, per lei è stato un trauma. Ecco cosa le manca di più…

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                Questo pezzo potrebbe iniziare con una citazione tratta dal testo Walden ovvero vita nei boschi scritto da Henry David Thoreau nel 1817. “Andai nei boschi perché volevo vivere con saggezza e in profondità e succhiare tutto il midollo della vita, sbaragliare tutto ciò che non era vita e non scoprire in punto di morte che non ero vissuto (…)”. Eh sì perchè Katie Lemon, copywriter e autrice statunitense, ha vissuto un’esperienza che per molti è solo un sogno. Un’avventura che si avvicina molto al personaggio del libro autobiografico di Thoreau. Sei anni trascorsi esplorando il mondo, con lo zaino in spalla e il cuore aperto a ogni nuova avventura. Dal Vietnam al Nepal, passando per il Sahara e il Guatemala, Katie ha sperimentato la libertà più autentica, un’esistenza in cui la profondità delle connessioni umane e il contatto con la natura erano centrali.

                Il richiamo della semplicità

                Ma il ritorno a casa, negli Stati Uniti, non è stato affatto come lo aveva immaginato. Al contrario, si è rivelato un trauma. “Avevo bisogno di mettere radici“, racconta Katie in un’intervista a Business Insider, “ma qui mi sento più sola che mai“. Durante i suoi viaggi, Katie si muoveva a piedi o con mezzi pubblici, assaporando il ritmo lento della vita. In Guatemala, ad esempio, poteva raggiungere i mercati locali o incantevoli sentieri panoramici semplicemente camminando. “Era una vita semplice, ma mi sentivo connessa con il mondo e con le persone che incontravo“, ricorda con nostalgia. Tornata a St. Louis, negli Stati Uniti, questa connessione è scomparsa, inghiottita dalla frenesia della vita moderna. “Qui tutto è pianificato, dal fare la spesa in enormi supermercati al doversi spostare ovunque in auto. Anche le cose più banali sembrano alienanti“.

                Per Katie una vita divorata dal lavoro

                Uno dei maggiori disagi che Katie ha provato riguarda il ritmo implacabile della vita lavorativa negli Stati Uniti. “All’estero, c’era tempo per assaporare il quotidiano: un chai condiviso in India o la cultura della siesta in America Latina. Qui, il lavoro occupa ogni spazio mentale e fisico. Ritagliarsi momenti di libertà sembra quasi un atto di ribellione“. L’autrice lamenta una cultura che valorizza la produttività sopra ogni cosa, a scapito della qualità della vita. “In tanti Paesi che ho visitato, la gente sapeva come vivere davvero, godendo del tempo e delle connessioni umane. Qui sembra che tutto sia sacrificabile sull’altare del lavoro“.

                Tornare, ma a quale costo?

                Un altro aspetto che Katie fatica ad accettare è la perdita della spontaneità nelle relazioni. All’estero, nelle comunità di expat, bastava poco per creare legami sinceri: un sorriso, una conversazione improvvisata, un invito a cena. Tornata negli Stati Uniti, tutto è diverso. “Le amicizie qui sembrano programmate: brunch, gite, visite. Ogni momento è incastrato in un’agenda rigida, come se non ci fosse più spazio per un’improvvisata o una connessione autentica“. Ma Katie si rende conto altresì che la scelta di tornare era necessaria. Dopo anni di avventure, desiderava un luogo da chiamare casa. Ma quel luogo ora sembra non appartenerle più. “Sento la mancanza di un’esistenza che valorizza la semplicità, il tempo e le relazioni vere. Qui, tutto sembra artificiale, costruito, lontano dalla vita autentica che ho conosciuto”. In una riflessione che richiama le parole di Henry David Thoreau, Katie conclude: “Ho viaggiato per il mondo per trovare connessioni, bellezza e saggezza. Ora, tornata alla civiltà, mi chiedo se il prezzo da pagare sia troppo alto“.


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