Storie vere
Da anonimo impiegato a scalatore estremo: un padovano ha dimostrato che… si può fare!

Stefano Ragazzo, 33 anni originario di Padova oggi residente a Chamonix, in nove giorni – ha compiuto un ‘impresa incredibile. Scalare una montagna in solitaria (mai nessuno prima di lui)… e che montagna! L’Eternal Flame presenta un unico appiglio, una fessura nel muro di granito levigato da vento, sole, acqua e neve nel corso dei millenni.
Il sogno proibito di ogni scalatore
Si chiama così perchè l’impervia montagna ricorda davvero una fiamma scolpita nella roccia che s’innalzaverso il cielo. Arrampicarsi lungo questa via sulla parete sud della Nameless Tower in Pakistan che porta fino a 6251 metri rappresenta un po’ il sogno proibito di tutti gli alpinisti, anche se si contano sul palmo di una mano quelli che ci sono riusciti.
A mente fredda la consapevolezza di aver compiuto un’impresa
«Quando sono partito in giugno – racconta Ragazzo – non pensavo a quello che sarebbe accaduto il giorno dopo aver portato a termine la mia missione. Solo adesso, dopo aver ricevuto messaggi di congratulazioni da tutto il mondo, capisco di aver fatto qualcosa di eccezionale».
Cambiare radicalmente vita: in pochi ci riescono
Quante volte vi sarà capitato di pensare “mollo tutto e faccio qualcosa di completamente diverso”. Dare l’addio ad un lavoro routinante d’ufficio per poter finalmente vivere delle proprie passioni: che sia pescare il pesce su una sperduta isoletta dei Caraibi, vivere di musica salendo ogni sera su un palco diverso, capitanare la brigata di un ristorante o… scalare una delle montagne più impegnative della terra!
Non era fatto per ritmi cittadini classici
Stefano è riuscito nel sogno di mutare radicalmente le prospettive del suo futuro ma, soprattutto è stato ripagato da tanti sacrifici e da scelte coraggiose che si sono rivelate col sesso di poi vincenti. «Dopo essermi diplomato – racconta – ho trovato il lavoro e la mia vita era scandita da ritmi molto normali: ufficio, partite di calcio e aperitivi con gli amici. Presto mi ha preso l’angoscia, pian piano ho iniziato a fare altro, viaggiare e anche ad arrampicarmi sui Colli Euganei sulla parete di Rocca Pendice».
La decisione di diventare guida alpina
La passione cresceva, lui trascorreva i weekend sulle Dolomiti bellunesi, scalando la parete sud della Marmolada, la nord ovest del Civetta, le pale di San Lucano e l’Agner nell’Agordino. Fino all’eta di 25 anni, quando ha deciso – con coraggio e per alcuni con una buona dose di follia – di dare le dimissioni dall’ufficio per diventare guida alpina.
Walter Bonatti come modello
Una delle difficoltà che Stefano ha dovuto affrontare è stata quella di spiegare ai genitori il motivo della rinuncia al classico “posto fisso” in favore della montagna, soprattutto in una famiglia che le vacanze le aveva sempre passate al mare. Ma lui sentiva profondamente che quella era la sua strada ed ha avuto il coraggio di percorrerla per intero. Seguendo anche l’esempio di Walter Bonatti, alpinista, giornalista e scrittore che continua a essere un modello per coloro che alla routine di una vita tranquilla preferiscono i rischi e le complicazioni di una eistenza fatta di avventura costante.
L’importanza di una preparazione adeguata
Avventura non deve però significare incoscienza. Per Stefano è stata fondamentale una preparazione atletica e tecnica durissima. oltre a una forza mentale non comune: «Mi alleno sempre come un atleta che si prepara per le Olimpiadi. Nei sei mesi prima di partire per il Pakistan due volte al giorno, cinque ogni settimana». Utilizzando il supporto dello sci alpinistico e della corsa, oltre ai pesi in palestra. Quello che occorre per preparare fisico e testa a salire a mani nude a seimila metri di quota, contando solo su sessanta metri di corda, appoggi che si dispongono mentre si scala, ai quali appendere una tenda dove mangiare e dormire qualche ora nella notte. Trenta chili di materiale da aggiungere ai propri settanta di peso…
Pronto ad una nuova sfida
«Sicuramente in autunno in California nel parco dello Yosemite dove c’è la parete El Capitan, e dove ogni volta che torno amplio il mio bagaglio tecnico. Mi piacerebbe poi puntare sull’Himalaya in Karakorum perché ci sono montagne bellissime e gigantesche».
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Storie vere
Svezia, il ministro va in congedo di paternità: «Un giorno con mia figlia è intenso quanto uno da ministro»
Il ministro svedese dell’Agricoltura sarà il primo uomo di governo in Svezia a usufruire del congedo parentale. Una scelta personale, ma anche un segnale culturale: «Non è una dichiarazione politica, è un gesto d’amore». Intanto il Paese resta un modello europeo per diritti e flessibilità dei neo-genitori.

In Svezia, essere ministro non significa rinunciare alla vita familiare. Anzi, a volte è proprio il contrario. Peter Kullgren, titolare dell’Agricoltura nel governo svedese, ha annunciato il suo congedo di paternità: per cinque settimane si dedicherà interamente alla figlia Edith, che ha compiuto un anno lo scorso gennaio. E se tutto andrà secondo i piani, non esclude di prolungare il periodo.
È la prima volta che un uomo membro di un governo svedese ottiene formalmente un congedo parentale. Durante il mese di aprile, Kullgren sarà sostituito dal segretario di Stato Daniel Liljeberg, mentre la rappresentanza del suo partito alle riunioni di governo sarà garantita dai ministri Ebba Busch e Andreas Carlson.
«Occuparsi di una bambina di un anno», ha dichiarato al quotidiano Expressen, «è quasi altrettanto imprevedibile e intenso di una giornata da ministro».
La scelta, racconta, è puramente personale. Niente gesti dimostrativi, né dichiarazioni ideologiche: «C’è chi penserà che voglio fare una dichiarazione politica con questa scelta. Per me è irrilevante. Si tratta semplicemente di un aspetto fondamentale nel rapporto con mia figlia».
Anche se formalmente in congedo, il ministro non sarà completamente esonerato dalle sue responsabilità istituzionali. In base a un regolamento introdotto nel 2018, i membri del governo possono usufruire del congedo parentale mantenendo comunque parte delle loro funzioni e percependo il 90% dello stipendio mensile, pari a circa 12.500 euro.
Fino a pochi anni fa, questo diritto non era nemmeno previsto per i ministri. Nel 2004, Thomas Bodström – allora titolare della Giustizia – tentò di ottenere un permesso simile, ma fu costretto a negoziare un accordo con il primo ministro di allora, Göran Persson, per riuscire a passare un po’ di tempo con il figlio senza rinunciare del tutto al ruolo.
L’unico precedente ufficiale di congedo ministeriale risale al 2019, quando Amanda Lind – ministra della Cultura – decise di prendersi una pausa per motivi familiari. Oggi, è il turno di Kullgren, che ha raccontato alla tv pubblica SVT di aver ricevuto il pieno appoggio del primo ministro Ulf Kristersson, «genuinamente felice» della sua scelta.
Peter Kullgren e sua moglie Sarah, presidente dell’organizzazione femminile dei Democratici Cristiani, formano una delle coppie più influenti del partito. Sarah non ha potuto godere di un congedo convenzionale dopo la nascita di Edith, e proprio per questo, racconta il ministro, ha voluto prendersi lui questo spazio. Non per parità o per apparenza, ma per amore.
Non è la prima volta che Kullgren si impegna per i diritti dei genitori. Quando era assessore comunale a Karlstad, si era battuto per l’aggiornamento del regolamento sul congedo parentale per gli amministratori locali. Anche allora, il suo impegno era legato alla vita privata: suo figlio Waldemar, oggi quattordicenne, è nato da un precedente matrimonio.
In Svezia, ogni famiglia ha diritto a 480 giorni di congedo per bambino, da suddividere tra i genitori. Di questi, 390 sono retribuiti all’80%, mentre i restanti 90 prevedono un’indennità fissa. I padri svedesi sono tra i più attivi d’Europa: il 90% usufruisce del congedo, con una media di quasi quattro mesi. Ma resta una disparità: il 70% dei giorni è ancora fruito dalle madri.
C’è chi propone una divisione obbligatoria 50/50, ma Kullgren frena: «Un modello rigido non è adatto a tutti». Lui, intanto, dà il buon esempio. E la politica, in questo caso, può imparare molto dalla paternità.
Storie vere
Altro che Sky e Netflix: nel Biellese riapre il cinema a luci rosse!
Chiuso dal 2020, nella provincia di Biella riapre il cinema a luci rosse Play Movie, rilanciato dal giovane imprenditore Flavio Tromboni (nome omen…). In un mondo dominato dallo streaming, la pellicola hot torna protagonista.

A Cossato riapre il cinema a luci rosse Play Movie, chiuso dal 2020 e ora rilanciato dal giovane imprenditore Flavio Tromboni. In un mondo dominato dallo streaming, la pellicola hot torna protagonista. Una scommessa retrò che potrebbe accendere l’economia locale, una scelta indubbiamente coraggiosa che mescola nostalgia – secondo alcuni – e spirito di comunità. Il Play Movie non è solo una sala a luci rosse: per i non-bacchettoni è un manifesto contro l’appiattimento digitale.
Ritorno al futuro… vietato ai minori
Nel cuore del Biellese, dove il tempo sembra scorrere più lento e i sabati pomeriggio profumano di nostalgia, riapre un’istituzione tanto discussa quanto amata: il Play Movie, storico cinema a luci rosse di Cossato. A riaccendere il proiettore è Flavio Tromboni, 25 anni, già noto per gestire il leggendario Roma Blu di Torino. La sua missione? Riportare il piacere offline al centro della scena.
Addio buffering, bentornato brivido
Mentre il resto del mondo si perde tra contenuti digitali, abbonamenti multipli e connessioni instabili, Cossato sceglie l’autenticità della sala buia, delle poltrone imbottite e dei sussurri imbarazzati tra sconosciuti. Con 200 posti a sedere, aria condizionata e un catalogo rigorosamente vietato ai minori, il cinema riapre le sue porte ogni weekend, dal sabato alla domenica, dalle 15 fino a mezzanotte. Altro che binge-watching, qui si parla di experience watching.
Turismo sess…ehm, culturale
Non è solo una questione di eros: il ritorno del Play Movie è anche un’occasione per ridare vita all’economia locale. Con appena due cinema porno attivi in tutto il Piemonte, e il più vicino a Piacenza, Cossato si candida a diventare una meta per appassionati del genere. Si parla già di car sharing tra province, birre post-film nei bar vicini e – perché no – una piccola rivoluzione nel turismo esperienziale.
Soft lighting, hard impact
La struttura è stata completamente ristrutturata: nuovo impianto audio, sedute comode, luci soffuse e un’atmosfera che strizza l’occhio ai gloriosi anni ’90 del cinema erotico. Un mix perfetto tra nostalgia e intrattenimento che, secondo Tromboni, “può attrarre spettatori da tutto il Nord Italia”. A guidarlo, non solo il desiderio (in ogni senso del termine), ma una visione culturale ben chiara: “La gente ha bisogno di tornare a vivere le cose insieme. Anche il piacere”.
Kant o “La supplente fa l’orale”?
Naturalmente, non mancano le polemiche. C’è chi grida al degrado culturale e chi invoca proposte più “elevate”. Ma la verità è semplice: tra una sala vuota con un documentario sulla dialettica hegeliana e una sala piena per un titolo vintage dai doppi sensi espliciti, è chiaro quale delle due fa girare (l’economia).
Il biglietto? Costa meno di un abbonamento streaming
Il prezzo d’ingresso è competitivo, e l’esperienza è irripetibile. Perché il Play Movie non è solo un cinema: è un salto temporale, una provocazione e, per molti, un appuntamento fisso con il passato… e con il desiderio
Storie vere
Sequestrata a un narcotrafficante una Ferrari F512TR andrà all’asta per sostenere un progetto per il recupero dei tossicodipendenti
La Ferrari F512TR, icona degli anni ’90, è stata messa all’asta dopo essere stata confiscata a un narcotrafficante. Il ricavato sarà destinato a programmi per combattere la tossicodipendenza, trasformando un simbolo di eccesso in uno strumento di speranza

Destinato a collezionisti di un certo livello di vita una Ferrari F512TR, sequestrata a un narcotrafficante verrà messa all’asta dallo Stato. Evoluzione della celebre Testarossa, l’F512TR è stata prodotta tra il 1993 e il 1995 in soli 2.261 esemplari. Pochi esemplari per quei ricchi che nel mondo si contendono almeno uno dei modelli di Maranello. Con un motore V12 da 5.0 litri e 428 cavalli, questa bellezza coupé accelera da 0 a 100 km/h in 4,8 secondi. E raggiunge una velocità massima di 314 km/h. Anche a distanza di 30 anni, le prestazioni della Ferrari F512TR continuano a stupire. E il prezzo? La sua valutazione è di circa 143 mila euro.
I dettagli dell’asta tosta…
La vendita si svolge online sulla piattaforma Escrapalia e si chiuderà il prossimo 10 aprile 2025. L’auto, targata 1126JTD, viene venduta “così com’è“, con 126.794 km all’attivo e alcune necessità di manutenzione. Per esempio? Beh bisognerà rivedere il cambio dei pneumatici e la sostituzione della batteria. Come una normalissima utilitaria…Nonostante le modifiche che la avvicinano al modello F512 M, l’auto conserva l’anima della F512TR originale.
Avvertenze per l’acquirente
Gli acquirenti stiano ben attenti. Oltre che vincere l’asta dovranno affrontare una tassa amministrativa di 1.845 euro e una commissione del 17,3%. Ma avranno accesso a una documentazione completa e a un’analisi dettagliata delle condizioni del veicolo.
Ferrari F512TR anche un simbolo di rinascita
Questa Ferrari non è solo un’auto da collezione. Diventerà anche un simbolo di rinascita. Il ricavato dell’asta, infatti, sarà interamente devoluto a programmi per il recupero dei tossicodipendenti, – ma guanda un po’ – una piccola rivincita da parte dello Stato che si batte contro mafie e criminalità.
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