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Storie vere

Da Bari alla Corea del Sud: un’avventura asiatica!

Storia di Gunhild: ovvero come i sogni possano diventare realtà anche quando sembrano impossibili. Partita da Bari sceglie la Corea dove trova l’amore, un figlio in arrivo e forse il suo futuro.

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    Chi l’avrebbe mai detto che una ragazza pugliese potesse finire per sposare un coreano e vivere a Siheung?“. Esclama serafica e molto divertita Gunhild, con un sorriso che le illumina il viso. La sintesi di questa storia è che una giovanissima ragazza pugliese di 22enne a un certo punto della sua giovane vita decide di trasferirsi in Corea del Sud, si innamora, si sposa, fa un figlio e resta lì. Fino a quando? Non si sa. Di certo per ora c’è che Gunhild non mette limiti alla provvidenza. Una volta tanto si tratta di una storia diversa da quelle che si raccontano sui siti specializzati in notizie curiose. Quella della 22enne pugliese è una storia molto simile a quelle serie tv che ti incollano allo schermo. Amore a prima vista, cultura a mille miglia di distanza e un bebè in arrivo! Eh che diamine, viva la gioventù e la voglia di cambiare il corso della propria vita.

    Tutto è iniziato con un’ossessione per la Corea del Sud

    Ero ossessionata dalle K-pop star e dai drama le fiction televisive coreane“, confessa Gunhild. Si è messa a studiare il coreano e un bel giorno, ha deciso di mollare tutto e partire all’avventura. In Corea, però, l’amore era in agguato e l’ha aspettata dietro l’angolo, sotto forma di un ragazzo conosciuto online proprio mentre imparava il coreano. Tra una chiacchierata e l’altra a migliaia di chilometri di distanza è nato un certo interesse l’una per l’altro. E viceversa. Il resto è stato facile. Una volta arrivata in Corea i due ragazzi (lui ha nove anni più di lei) si sono piaciuti. “Ci siamo incontrati, ci siamo piaciuti e… boom! Amore a prima vista!“, aggiunge Gunhild.

    La vita in Corea, però, non è tutta rose e fiori. “All’inizio è stato un po’ come atterrare su Marte“, scherza Gunhild. “Il cibo piccante, l’etichetta da rispettare, la frenesia della città… ma mi sono adattata in fretta!

    Le differenze culturali: un continuo divertimento

    I coreani sono molto educati e rispettosi, ma anche un po’ freddini all’inizio. Però, una volta che entri nelle loro grazie, sono degli amici fedelissimi“, racconta Gunhild. E poi c’è la questione del cibo: “Ho dovuto imparare ad amare il kimchi! All’inizio mi sembrava di mangiare peperoncini crudi, ma ora non potrei più farne a meno.

    Una famiglia allargata… e un po’ asiatica!

    La famiglia di Gunhild all’inizio era un po’ preoccupata per questa avventura così lontana da casa. “Mia madre mi ha sempre sostenuta, ma non nascondo che all’inizio era un po’ preoccupata. Mio padre, invece, è ancora un po’ scettico, ma è fiero di me lo stesso.” E la famiglia del marito? All’inizio erano un po’ diffidenti, racconta la ragazza, “Ora mi adorano! Mi chiamano ‘nuora italiana’ e mi viziano con tutti i loro piatti tipici.

    Un futuro in Corea?

    Gunhild ha già dei progetti per il futuro. Per prima cosa vuole impegnarsi a imparare perfettamente il coreano e trovare un lavoro che le piaccia. “La Corea offre molte opportunità, ma voglio anche mantenere i miei legami con l’Italia. Chissà, magari un giorno aprirò un ristorante italiano qui a Siheung!

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      Angeli custodi con la divisa al posto delle ali

      Nel Veronese due agenti della Polizia sono stati inviati a sorvegliare due minorenni rimaste a casa da sole dopo il ricovero urgente in ospedale della loro mamma.

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        I due angeli custodi si chiamano Giuseppe e Davide. Al posto delle ali d’ordinanza per gli angeli custodi indossano la divisa della Polizia. Sono stati i due protagonisti di una storia scaligera che si è conclusa al meglio anche se con qualche stress e preoccupazione. Tutto è accaduto una notte, a Verona, quando una mamma single, Edith Quattrocchi, è stata colta da un malore improvviso. Prima di essere portata in ospedale, preoccupata per le sue due figlie di 13 e 9 anni rimaste sole a casa, ha chiamato la Polizia a cui ha chiesto di aiutarla.

        Un gesto di umanità… ma nulla di speciale

        A rispondere alla chiamata sono stati i due agenti della Volante Roma della Questura di Verona, Giuseppe e Davide invece di limitarsi a una visita di routine o portare le due bimbe direttamente in questura, hanno deciso in accordo con i superiori di trascorrere l’intera notte con le due ragazzine molto spaventate, rassicurandole e offrendo loro conforto. “Non abbiamo fatto nulla di speciale“, hanno detto con modestia il giorno dopo a chi li voleva intervistare. Ma il loro gesto è stato tutt’altro che ordinario.

        Un legame speciale

        Arrivati a casa della signora Edith, capotreno di Trenitalia e separata, i poliziotti hanno capito che portare le bambine in Questura avrebbe provocato un trauma aggiuntivo alle ragazze. E così hanno preferito restare con loro, creando un’atmosfera familiare e rassicurante. Nel frattempo sono riusciti a informare di quanto stava succedendo la nonna delle bimbe residente a Bolzano. La mattina dopo quando la nonna delle bambine è arrivata ha trovato le nipoti serene e ben accudite, grazie alla presenza costante dei due agenti che nel frattempo si erano procurati delle brioche per la prima colazione.

        Un sentito ringraziamento della mamma ritornata a casa

        Una volta ripresasi e uscita dall’ospedale, mamma Edith ha voluto ringraziare personalmente i due poliziotti per la loro umanità e professionalità. “Sono stati molto gentili e premurosi, tanto da portare anche le brioche alle bambine al mattino“, ha raccontato commossa ai cronisti. Edith Quattrocchi nel 2018 era già salita agli onori della cronaca quando lavorava in Sardegna come capotreno. In quell’occasione aveva fatto scendere da un regionale una trentina di immigrati sprovvisti di biglietto. Un caso che diventò nazionale e che incasso il plauso di Matteo Salvini oggi vice Premier e allora ministro degli Interni.

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          Razzismo immobiliare: il calvario di Babacar Cisse che non trova una stanza in affitto

          Babacar Cisse è un 28enne nato nel frusinate da genitori senegalesi che da alcune settimane sta cercando una stanza da affittare a Roma. “Al telefono sentono l’accento romano ed è tutto ok, ma dopo avermi visto di persona, spariscono”.

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            Ha 28 anni è nato a Frosinone da genitori senegalesi e, nonostante un curriculum solido da ingegnere informatico e il desiderio di costruirsi un futuro, Babacar Cisse sta cercando casa a Roma. Ma per lui non è per nulla semplice perché si sta scontrando con un solido muro di pregiudizi razziali.

            Un’esperienza comune a molti

            Al primo contatto telefonico con gli agenti immobiliari sembra che tutto proceda bene. Venditori o i proprietari stessi sentono il suo accento romano e sono portati a prendere un appuntamento come si fa con tutti i clienti. Ma non appena si menziona il suo nome, la situazione cambia radicalmente, gli appuntamenti vengono rimandati o annullati. E anche se Babacar supera questo primo scoglio, una volta che si presenta le case, magicamente, vengono affittate a qualcun altro nel giro di qualche ora. Eppure ha un curriculum di tutto rispetto. Babacar, infatti, studia Ingegneria informatica all’università di Tor Vergata ed è un consulente informatico. Un curriculum di tutto rispetto.

            Una palpabile frustrazione

            Babacar è italiano e si sente tale a tutti gli effetti. Ama il suo Paese nel quale ha costruito una vita. Eppure, è costretto a dover dimostrare continuamente la sua italianità, a smentire gli stereotipi negativi che lo riguardano. “Mi fa imbestialire il dover sempre dimostrare di essere ‘abbastanza italiano‘”, confida. La sua storia è un chiaro esempio di come il razzismo sia ancora profondamente radicato nella società italiana, anche in ambiti apparentemente neutri come la ricerca di una casa. Babacar è a tutti gli effetti una persona discriminata ed emarginata, nonostante meriti e capacità.

            Che fai Babacar emigri?

            Babacar sta riflettendo molto sul suo futuro e sulle possibilità che si aprono davanti a lui. L’idea di lasciare l’Italia, un Paese che non sembra dargli le stesse opportunità di altri oltre confine, si fa sempre più insistente. “In Inghilterra e in Germania certe rispostacce non le avrei mai ricevute“, dice anche se non ne siamo così sicuri. Nonostante tutto, Babacar continua a credere nell’Italia che spera che un giorno possa diventare un Paese più inclusivo e accogliente.

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              Storie vere

              RistOrobie l’osteria tutta al femminile dove riscoprire i sapori di montagna

              RistOrobie, osteria di montagna premiata da Slow Food con la Chiocciola, propone una visione più briosa e contemporanea della cucina tradizionale montanara.

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                E’ situata ai Piani dell’Avaro in Alta Val Brembana, in provincia di Bergamo, e rappresenta una perla della cucina di montagna gestita completamente da donne. Si chiama Osteria RistOrobie, ed è stata premiata da Slow Food con la Chiocciola. E come mai? Fondamentalmente perché questo ristorante familiare sa offrire una visione contemporanea di alta qualità della cucina tradizionale alpina lombarda. La gestione di questo locale incastonato nell’Alta Val Brembana è affidata a Paola Rovelli e Miriam Gozzi, che vent’anni fa hanno trasformato un rifugio alpino in un ristorante, portando avanti una cucina in sinergia con la natura circostante.

                Tutto in famiglia a selezionare e servire il meglio della produzione locale

                RistOrobie si distingue dai numerosi punti di ristoro disponibili anche nella stessa zona per l’attenta valorizzazione dei prodotti locali. Un esempio? I formaggi DOP della zona (Taleggio, Agrì di Valtorta, Stracchino all’antica e Formai de Mut) e la selvaggina, ottenuta da fonti tracciabili grazie all’adesione al progetto “Selvatici e buoni“. Le figlie di Paola, Sara e Claudia, che si sono arruolate nella gestione, hanno apportato un tocco innovativo alla proposta culinaria, introducendo, per esempio, una carta dei vini con un’ampia selezione di etichette bergamasche e valtellinesi.

                Andare per Erbe per offrire sempre il meglio del territorio

                Il locale abbraccia anche la tradizione del foraging. Il termina significa “Andare per Erbe” ovvero raccogliere cibo selvatico, una passione antica e tradizionale che ha conquistato anche i grandi chef e che sposa il concetto di sostenibilità nel piatto. L cucina di RistOrobie, infatti, utilizza erbe locali come parùc, ortica e tarassaco, protagoniste di piatti innovativi come la maionese all’Achillea. Provare per credere.

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