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Storie vere

Il coraggio di Matteo: dopo lo squalo, rinasce con una protesi e sogna l’Australia

Ritrovarsi in mezzo agli squali una seconda volta, con una protesi al posto della gamba, è un’esperienza che pochi riuscirebbero anche solo a immaginare.

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    Per molti, sopravvivere a un attacco di squalo sarebbe un trauma insuperabile. Per Matteo Mariotti, parmense ed ex studente dell’istituto Mandela di Castelnovo Monti, è diventato il punto di partenza per una straordinaria sfida personale. Attaccato in Australia, Matteo ha perso la gamba sinistra, ma non la sua voglia di vivere. Tre mesi dopo, si è tuffato di nuovo in mare, circondato dagli squali, per affrontare il proprio destino a testa alta e dimostrare a sé stesso che nulla può fermarlo.

    Riconciliazione con il mare e lo squalo

    Per Matteo è stato come chiudere un cerchio. “Prima di tuffarmi avevo ansia, ma una volta lì sotto mi sono sentito calmo, come riconciliato con quella parte di me e del mare. Trovarsi in mezzo agli squali dopo l’attacco è un’esperienza indescrivibile, ma era un passo necessario per andare avanti“. Il desiderio di continuare a vivere appieno ha spinto Matteo a un progetto ambizioso: creare protesi che gli permettano di praticare sport estremi come arrampicata, motocross, wakeboard e kitesurf. Non trovando sul mercato soluzioni adeguate, Matteo, insieme a un amico e con l’aiuto di ingegneri, ha deciso di costruire le protesi lui stesso.
    Voglio che queste protesi siano il mezzo per tornare a essere me stesso e, magari, aiutare altre persone nella mia situazione“, spiega. “Per me, questo incidente è solo un contrattempo. Non voglio limitarmi a sopravvivere, voglio vivere al massimo“.

    Il ritorno in Australia con la sua protesi

    Per Matteo, l’Australia non è solo il luogo dell’incidente, ma una terra di opportunità. “Qui a Monchio sto bene, ma sono limitato. Lì, lo stile di vita mi permette di crescere e vivere come desidero. Voglio riprendere in mano la mia vita e continuare a inseguire i miei sogni“. Tra questi, c’è anche la possibilità di completare il percorso in biologia marina che aveva iniziato prima di subire l’attacco dello squalo.

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      Storie vere

      Sessismo in un’aula di Tribunale: l’avvocata Eleonora Coletta e la sua lotta per la verità

      Accuse calunniose e strategie difensive discutibili: l’avvocata Coletta denuncia domande sessiste durante il processo contro la Asl di Taranto, in una battaglia legale per ottenere giustizia e risarcimento dopo la perdita del marito e del padre.

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        Eleonora Coletta, avvocata e vice presidente del comitato Verità e Giustizia vittime Covid Moscati, ha intrapreso una difficile battaglia legale contro la Asl di Taranto, accusata di malasanità per la morte del marito Dario e del padre durante la pandemia. Gli eventi si sono svolti presso l’ospedale Moscati di Taranto. Coletta attribuisce i decessi a errori sanitari piuttosto che alle conseguenze del virus. Questa dolorosa vicenda ha spinto l’avvocata a scrivere il libro Canale Terminale, in cui descrive quel reparto come il punto finale per molti pazienti Covid.

        Un causa civile che in aula degenera

        Fin dal suo inizio la causa civile si è trasformata in una sfida spinosa per Coletta, che denuncia di essere stata bersaglio di domande «sessiste» durante il processo. Secondo lei, tali domande mirano a screditare il suo dolore e a ridurre il risarcimento richiesto. Nonostante i periti abbiano accertato le responsabilità della Asl, l’azienda ha rifiutato la conciliazione, prolungando la controversia. Eleonora Coletta continua così a combattere, sottolineando l’importanza della dignità personale e della giustizia per le vittime di malasanità.

        La lotta di Coletta per difendere il rispetto della dignità personale

        L’avvocato della Asl ha adottato una strategia difensiva che ha cercato di insinuare che la sua presunta condotta privata libertina ridurrebbe il suo dolore per la perdita del marito, E, di conseguenza, il risarcimento richiesto. Coletta respinge fermamente le accuse, sottolineando il legame profondo con il marito, che l’ha sostenuta in momenti difficili, come durante un ricovero a Milano. La vicenda solleva interrogativi sul rispetto della dignità personale e sulla giustizia per le vittime di malasanità, evidenziando le difficoltà che le donne possono incontrare nel difendere la propria integrità in contesti legali.

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          Storie vere

          Il prossimo 27 aprile Carlo Acutis sarà canonizzato. Il santo della generazione digitale

          La canonizzazione e il crescente fenomeno attorno al giovane beato, tra fede, tecnologia e controversie sulle reliquie.

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            Deceduto nel 2006 a soli 15 anni per una leucemia fulminante, Carlo Acutis sarà proclamato santo il prossimo 27 aprile. La sua figura ha ispirato un culto in continua crescita, con oltre un milione di pellegrini che nel 2024 hanno visitato il Santuario della Spogliazione ad Assisi, dove riposano le sue spoglie. Il giovane è ricordato per la sua passione per la tecnologia, che gli ha valso il titolo di “patrono di Internet“. È ammirato soprattutto dai giovani, grazie alla sua capacità di vivere e condividere la fede con un linguaggio moderno, accessibile e vicino ai loro interessi.

            Le reliquie e le numerose controversie

            L’interesse per Carlo Acutis ha portato a una “corsa” alle sue reliquie. Recentemente, una ciocca di capelli è stata venduta su eBay per 2.110 euro. Il vescovo di Assisi, Domenico Sorrentino, ha denunciato il commercio illegale di reliquie, e il caso è ora al vaglio delle autorità. Le reliquie ufficiali, custodite dalla Diocesi di Assisi, includono porzioni del cuore del giovane. Saranno portate a Roma per la canonizzazione e sono distribuite solo per motivi pastorali o spirituali.

            Acutis un fenomeno di fede

            Nel 2019, le spoglie di Carlo sono state traslate al Santuario della Spogliazione, aumentando significativamente il numero di visitatori ad Assisi. A differenza delle tradizionali reliquie, il corpo del beato, esposto in una teca di vetro, colpisce per la sua semplicità: indossa una tuta e scarpe da ginnastica, un’immagine che lo rende straordinariamente umano e vicino ai fedeli.

            Secondo il vescovo Sorrentino, Carlo ha saputo riproporre il Vangelo con il linguaggio del nostro tempo, coinvolgendo chi lo percepiva distante. Il suo carisma sta nell’essere un giovane “normale”, che ha vissuto con entusiasmo, affrontando la malattia con fede e serenità, come San Francesco. Il legame con la città di Assisi nasce dal suo desiderio espresso in vita di essere sepolto lì, volontà rispettata dai genitori dopo la sua morte. Il giovane Carlo è già associato a due miracoli. La guarigione di un bambino brasiliano e, più recentemente, quella di una giovane del Costa Rica, vittima di un grave incidente, che sarà presente a Roma per la canonizzazione.

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              Storie vere

              «Vorrei ordinare una pizza». Il bambino chiama il 112 e salva la madre con il codice parlato

              Questo codice rappresenta un passo importante nella lotta contro la violenza domestica, offrendo un modo sicuro per chiedere aiuto.

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                Una pizza che ti salva la vita. Un bambino di 10 anni ha salvato la madre da un episodio di violenza domestica chiamando il 112 e ordinando una pizza. Una telefonata mascherata che ha permesso alle forze dell’ordine di intervenire tempestivamente e arrestare il padre violento. Questo gesto eroico non solo ha protetto la sua famiglia, ma ha anche messo in luce l‘importanza di codici e strategie per denunciare situazioni di pericolo.

                La chiamata in codice

                «Pronto, vorrei ordinare delle pizze». Con queste parole, il bambino ha attirato l’attenzione dell’operatore del 112, che ha compreso la gravità della situazione. Le urla e i rumori di colluttazione in sottofondo hanno confermato il pericolo, portando alla geolocalizzazione del telefono e all’invio di una pattuglia. L’uomo è stato arrestato in flagranza di reato e allontanato dalla casa.

                Una pizza contro la violenza domestica

                La frase «Vorrei ordinare una pizza» è diventata un simbolo di richiesta d’aiuto in diverse situazioni di emergenza. Sebbene non sia chiaro quando sia stata utilizzata per la prima volta, è stata adottata in diversi contesti come un modo discreto per segnalare pericolo, spesso appresa tramite campagne di sensibilizzazione, programmi scolastici o media. E’ cruciale, infatti, diffondere strumenti per aiutare le vittime di violenza domestica. Episodi come questo sottolineano l’importanza di educare la società a riconoscere e combattere la violenza domestica. Polizia e Carabinieri continuano a promuovere l’uso di codici come «Vorrei ordinare una pizza» per denunciare situazioni di pericolo, offrendo alle vittime e ai testimoni un mezzo sicuro per chiedere aiuto. Ma non c’è solo questo codice.

                Il gesto universale che denuncia la richiesta di aiuto

                Il segnale internazionale per indicare una situazione di pericolo, noto come Signal for Help, è stato ideato dalla Canadian Women’s Foundation durante la pandemia di COVID-19. Questo gesto è diventato un simbolo universale per le vittime di violenza domestica che cercano aiuto in modo discreto. Ma in cosa consiste il segnale? Il gesto è semplice e può essere fatto con una sola mano. Basta mostrare il palmo della mano rivolto verso l’esterno, piegare il pollice verso il centro del palmo e chiudere le altre dita sopra il pollice, formando un pugno. Si tratta di un segnale progettato per essere utilizzato anche durante videochiamate o in altre situazioni in cui parlare apertamente potrebbe essere pericoloso. Il Signal for Help ha guadagnato notorietà grazie ai social media e a diverse campagne di sensibilizzazione.

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