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Storie vere

Il marito la tradisce, lei chiede un risarcimento in tribunale per l’umiliazione subita

Un esempio di come la giustizia può riparare almeno in parte il danno emotivo e morale subito a causa del tradimento del proprio partner..

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    Roberta Zoia, 51enne di San Donà, ha vissuto un’esperienza dolorosa che l’ha portata a prendere una decisione importante. Ha deciso di affrontare una battaglia legale per ottenere un risarcimento dopo aver scoperto il tradimento del marito. La sua storia è un esempio di resilienza e coraggio, e il risultato del processo ha avuto un impatto significativo sulla sua vita. Vediamo come. Roberta e suo marito erano sposati dal 2007, ma nel 2010 qualcosa è cambiato. Il marito di Roberta aveva assunto un atteggiamento freddo e indifferente, nascondendole molte cose. La verità emerse dolorosamente: suo marito aveva una relazione con una ballerina più giovane. Che fare?

    L’umiliazione pubblica

    Il tradimento del marito non è stato solo un problema privato. La relazione era nota nell’ambiente lavorativo di Roberta, causando umiliazione pubblica e danneggiando la sua reputazione. Roberta ha descritto il periodo come un vero incubo, con risatine alle sue spalle e notti insonni. Insieme al suo legale, Roberta ha deciso di affrontare una causa per il risarcimento del danno esistenziale patito. La causa non riguardava solo la sofferenza emotiva, ma anche il danno alla sua reputazione. Il tribunale ha riconosciuto l’impatto negativo della diffusione della notizia sulla serenità e l’immagine di Roberta, condannando il marito a un risarcimento forfettario di 10 mila euro.

    “Non cercavo vendetta ma solo un risarcimento per il dolore subito”

    Nonostante il dolore, Roberta ha trovato la forza di ricominciare. Ha aperto una nuova scuola di ballo e ha iniziato una nuova vita con il suo compagno, che è poi diventato suo marito. Roberta ha sottolineato che la sentenza non riguardava la vendetta, ma il riconoscimento della sofferenza provata e un messaggio di speranza per chi si trova in situazioni simili.

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      Storie vere

      Basta mollo tutto e vado a vivere in un container! La scelta di Robyn Swan per una vita autosufficiente

      Questa giovane donna dimostra che è possibile vivere in modo diverso e trovare felicità e serenità in uno stile di vita minimalista. Ma per forza in un container…?

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        Robyn Swan, una giovane donna di 33 anni, ha deciso di cambiare radicalmente la sua vita vendendo tutto ciò che possedeva per vivere in un container, immersa nella natura della Scozia. La sua scelta, lontana dai canoni tradizionali, è stata motivata dal desiderio di diventare autosufficiente, ridurre il proprio impatto sull’ambiente e ritrovare serenità e libertà. Robyn ha venduto tutti i suoi beni, inclusi l’auto, i mobili e la televisione, per finanziare l’acquisto di un terreno vicino a Stirling, dal valore di 220mila euro. Ha poi collocato sul terreno un container, acquistato per 5mila euro, che è diventato la sua nuova abitazione. Per otto mesi, Robyn ha vissuto senza elettricità, ma successivamente ha installato pannelli solari, rendendo la sua casa energeticamente autosufficiente.

        Uno stile di vita autosufficiente

        La vita di Robyn si basa su un modello di autosufficienza e semplicità. Coltiva il proprio cibo, alleva polli, conigli e maiali, e raccoglie l’acqua piovana per il fabbisogno quotidiano. Per sostenersi, lavora come dog walker a tempo pieno. Condivide questa esperienza con il suo socio, Luke, un elettricista di 29 anni che ha contribuito a rendere possibile il progetto. Grazie al suo impegno, Robyn riesce a vivere con circa 300 euro al mese. Le sue spese principali sono limitate alla tassa comunale, al cibo e al telefono. Non avendo affitto o bollette energetiche significative, riesce a mantenere un tenore di vita semplice ma appagante.

        Ma perché questa scelta?

        La decisione di Robyn non è stata dettata solo da motivi economici, ma anche dal desiderio di vivere in modo più sano e sostenibile. “Volevo sapere esattamente cosa c’è nel cibo che consumo, produrlo da sola mi dà questa certezza“, ha spiegato. Inoltre, vivere lontano dalla civiltà le permette di essere preparata ad affrontare eventuali crisi globali, come una carenza alimentare. Pur riconoscendo che questo stile di vita può essere fisicamente impegnativo, Robyn lo descrive come profondamente appagante. “Mi dà tranquillità,” ha detto, spiegando che la connessione con la natura e la consapevolezza di essere autosufficiente contribuiscono al suo benessere generale.

        Vuoi andare anche tu a vivere in un container? Ecco qualche informazione pratica

        Vivere in un container richiede adattamenti pratici e creativi. Robyn ha dimostrato che, con le giuste soluzioni, questa scelta abitativa può essere comoda e sostenibile. Per prima cosa biosgna munirsi di pannelli solari per la produzione di energia elettrica. Poi biosgna pensare alla raccolta dell’acqua piovana. Acqua che serve per l’irrigazione delle colture e le necessità quotidiane. Quindi dal punto di vista della gestione degli spazi è indipensabile organizzare il container in modo funzionale per includere zona notte, cucina e spazio di lavoro. Infine cointainer o non container biosgna pensare a come procurarsi la pappa quotidiana. Insmma bisogna darsi da fare per raggiungere una autosufficienza alimentare. Robyn coltiva verdure e alleva animali, riducendo così la dipendenza da fonti esterne. E voi lo sapreste fare?

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          Storie vere

          Fin da ragazza Glenda si è sempre divertita così. La sfasciacarrozze più celebre d’Italia

          Glenda è una delle più esperte sfasciacarrozze della Penisola. Dalle utilitarie alle super car lei riesce a recuperare il 90% dei pezzi. Viti incluse

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            E’ proprio una che ti demolisce tutto Glenda Castronovo di Torino. Una di quelle che quando ti mette sotto, non ti molla prima di averti tirato fuori anche l’ultima vite. Dalla testa ai piedi. Dalla carrozzeria al motore. Sì perché Glenda è una delle più esperte sfasciacarrozze del Piemonte e della Panisola. Sfascia di tutto dalle utilitarie alle super car e riesce sempre a recuperare il 90% dei pezzi. Viti incluse.

            Demolire le auto è un business green, all’insegna della transizione ecologica

            Gli autodemolitori sono i principali attori di questa transizione. Meticolosamente Glenda svita e ripone filtri delle pastiglie, olio, batterie, portiere, pezzi di ricambio. Qualsiasi cosa finché non rimane più nulla. Le parti meccaniche sono le più richieste, motore e cambio inclusi, dice. “Il motore lo paghi 400 euro per una Punto, nuovo e revisionato ti costa 1500 e l’auto spesso non vale più di 1000“.

            Automotive settore inquinante?

            Quando gli autodemolitori funzionano bene tutte le auto senza alcuna distinzione vengono riutilizzate per il 90%. Il 10% viene riciclato come ricambio e la restante parte tra riuso in altri settori o fusione di metalli che poi tornano sul mercato. Tra il 2020 e il 2021, il numero degli impianti di autodemolizione in Italia è salito da 1.417 a 1.430. Di questi 613 sono al Nord (43% del totale), 217 al Centro (15%) e 600 al Sud (42%).

            Secondo Castronovo, che ha iniziato a sfasciare i motorini dei suoi primi fidanzati, le parti meccaniche, motore e cambio, sono quelle più richieste per essere riciclate da una vettura non più in uso a una ancora andante. “Sono quei ricambi che non riesci a comprare nuovi, costano troppo. Poi ci sono anche portiere, cofani, paraurti“, dice. Ci sono alcune parti meccaniche introvabili come per alcune di autovetture con oltre 20 anni di vita e magari 4/500 mila chilometri già percorsi. Modelli che per continuare a marciare avrebbero bisogno di pezzi che il mercato dell’usato non trova più. Neppure quello delle case madri.

            C’è chi si concentra solo sulla carrozzeria

            Cofani, porte, bauli vengono recuperati, per esempio, da Lucio Gonnella della Fp Supercar, ricavandoli da auto incidentate. Un modo con cui gli autodemolitori suppliscono alle mancanze del mercato. Già perché le case automobilistiche dopo qualche decennio smettono di produrre pezzi per auto vecchie. Per le auto nate entro il 2012 praticamente non si trova più nulla se non da sfasciacarrozze e demolitori.

            Pensiamo ai modelli di auto ancora in circolazione come la Punto 188, la Seicento, la Stilo. Tutti modelli di cui si è persa ogni traccia. Sulle strade non se ne vedono quasi più. Secondo Castronovo le auto nate tra il 2010 e il 2016, 2017 sono quelle che hanno ancora un certo valore anche perché dopo il Covid i prezzi dell’usato sono cresciuti in media del 30%.

            E il riciclo come avviene?

            Quello che non finisce su un’altra auto lo possiamo ritrovare anche nella vita di tutti i giorni. “Una parte va direttamente in fonderia “, racconta ancora Castronovo, “e ridiventa ferro. Tutti i metalli sulle auto vengono divisi e riutilizzati. Tessuti, plastiche, copertoni sono usati per rifare l’asfalto. Inoltre alcune aziende li usano anche per i pavimenti dei parchetti giochi, quelli in gomma“.

            Secondo Anselmo Calò, presidente di Ada (Associazione Demolitori Autoveicoli) i veicoli incidentati sono quelli più ambiti, perché se alcune parti sono distrutte altre sono ancora valide perché hanno fatto poca strada. Invece per le auto più vecchie il mercato si rivolge soprattutto al Sud Italia. “Da oltre 40 anni c’è una tendenza a inviare i veicoli usati verso sud, lì sono più portati ad acquistare auto usate Al sud, infatti, muoiono più auto che al nord e circolano più macchine vecchie“.

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              Storie vere

              Credevo fosse amore e invece… era una truffa internazionale!

              Prima il sesso e poi la truffa. Dal Brasile, avvocato romano vittima di un’organizzazione criminale tra riti satanici, orge e raggiri di facoltosi professionisti.

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                Siamo alle solite ma ci si continua a cascare. Un avvocato romano, vittima di una complessa rete criminale in Brasile, ha denunciato una truffa sentimentale che va ben oltre il semplice raggiro economico. Dietro una facciata di amore e affetto si celava, e si cela ancora, un’organizzazione criminale, pronta a sfruttare le debolezze umane per arricchirsi.

                L’incontro fatale e la gravidanza inattesa

                Tutto è iniziato con un incontro online, nel quale l’avvocato coinvolto ha conosciuto una donna che si è presentata come un’insegnante di portoghese. Lezione dopo lezione ne è presto nata una relazione che è culminata in una gravidanza inattesa. Tuttavia, strani dettagli e circostanze sospette hanno portato l’uomo a dubitare della sincerità della sua nuova compagna.

                Macchina da soldi costruita sull'”ammmore”

                Indagando più a fondo, l’avvocato ha scoperto di essere stato vittima di una truffa orchestrata da un’organizzazione criminale ben strutturata. Questa rete, operante in Brasile, reclutava giovani donne in giro per il mondo e le addestrava a sedurre uomini facoltosi, in particolare stranieri. Una volta instaurata una relazione, le donne rimanevano incinte e, con la complicità di medici e avvocati corrotti, attribuivano la paternità ai loro amanti occasionali.

                Una truffa ben collaudata

                Il modus operandi dell’organizzazione era sempre lo stesso. Ovvero? Per rima cosa adescare e sedurre la vittima. Le donne, spesso preparate a recitare una parte, instauravano relazioni sentimentali intense e appassionate con le loro vittime. Quindi arrivava la gravidanza. Di già? Una volta incinta, la donna comunicava la notizia al suo amante, suscitando in lui un forte senso di responsabilità e attaccamento. E il malcapitato si faceva prendere dall’eccitazione e dall’euforia: sarò padre!! Ma dopo pochi giorni arrivava la delusione accompagnata dalla richiesta di denaro. L’adescatrice iniziava a chiedere ingenti somme di denaro per sostenere la gravidanza e il futuro bambino. L’avvocato romano che ci stava cascando ha fatti due calcoli e ha capito che il figlio non poteva essere il suo, soprattutto dopo aver visionato le prime ecografie che riportavano un feto di diverse settimane.

                Scomparsa e ricomparsa

                A quel punto in alcuni casi, le donne sparivano misteriosamente per qualche settimana per poi ricomparire, chiedendo ancora più denaro. Dietro questa macchina da soldi si celava un’organizzazione complessa con a capo quasi sempre uno di quei tanti santoni ciarlatani che navigano sul web e non solo. Il santone in questione era sempre considerato dotato di poteri soprannaturali, che legittimava le azioni del gruppo e garantiva la complicità dei membri. A questi si aggiungevano medici e infermieri tutti professionisti della salute e tuti diligentemente corrotti, che falsificavano documenti e manipolavano esami medici. Quindi arrivava l’ora degli avvocati. Veri e propri legali che, invece di difendere le vittime, le indirizzavano verso altri membri della rete. A questo giochino erano anche collegati funzionari pubblici e forse anche qualche prelato. S trattava di persone tutte molto influenti che facilitavano le operazioni dell’organizzazione.

                Le conseguenze per le vittime? Disastrose

                Le vittime di questa truffa subivano danni economici ingenti e un profondo trauma psicologico. Oltre alla perdita di denaro, venivano private della loro dignità e della loro fiducia nelle relazioni umane. L’avvocato romano, assistito da un legale brasiliano, ha denunciato i fatti alle autorità italiane e brasiliane. Tuttavia, finora ha riscontrato una scarsa collaborazione da parte delle istituzioni italiane.

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