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Storie vere

Laura su strada: una donna, un camion e tante storie da raccontare

Laura Broglio, camionista e content creator, racconta la sua esperienza in un settore ancora dominato da uomini, affrontando sfide legate a pregiudizi, maternità e carenza di servizi adeguati.

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    Ha 32 anni e ha scelto di guidare un camion, sfidando stereotipi e pregiudizi. La storia di Laura Broglio, raccontata anche nel podcast di Q8 Muoversi Liberamente, offre uno spaccato autentico del mondo dei trasporti visto finalmente con gli occhi di una donna.

    Una passione per i Tir nata per caso

    Inizialmente attratta da studi umanistici, Laura ha scoperto la sua passione per i camion quasi per caso. Dopo un’esperienza a un raduno, ha capito che il suo futuro era dietro al volante. Nonostante le iniziali perplessità della famiglia e le difficoltà nel trovare lavoro, la sua determinazione l’ha portata a superare ogni ostacolo. “Ho iniziato a guidare camion poco più che ventenne“, racconta Laura nel podcast, “e all’inizio ho dovuto affrontare molte resistenze. Ma non mi sono arresa. Oggi, grazie anche al fatto che mancano autisti, sempre più donne come me stanno entrando in questo settore“.

    La vita di Laura è un continuo viaggio, letteralmente e metaforicamente

    Oltre a macinare chilometri su e giù per l’Italia, gestisce un blog dove racconta con ironia e leggerezza le sue esperienze. Spiega che il suo blog è una valvola di sfogo ma è anche un modo per far conoscere un mondo che spesso viene visto come maschilista e poco attraente. Essere donna e camionista, però, non è sempre facile. Laura, infatti, ha dovuto affrontare molte sfide personali e professionali, tra cui la maternità. “Avere un figlio mi ha cambiato la vita“, dice “ma non mi ha fermata“. E infatti è tornata a guidare subito dopo il parto, riuscendo a conciliare il lavoro con le esigenze familiari.

    Quale sarà futuro del trasporto su strada?

    Secondo Laura, il futuro del trasporto su strada dovrebbe essere più attento alle esigenze delle persone, sia uomini che donne. “Abbiamo bisogno di servizi igienici adeguati, aree di sosta più confortevoli e una maggiore attenzione alla sicurezza. Solo così potremo rendere questo lavoro più attraente e sostenibile“.

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      Storie vere

      Una triste storia di estorsione di una figlia quindicenne verso il proprio padre che, umiliato, si uccide

      “Mi invento che mi hai violentata”, così la 15enne estorceva denaro al padre prima del suicidio dell’uomo.

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        Questa incredibile storia si svolge a Palermo dove una quindicenne e il suo fidanzato sono sotto indagine per aver estorto denaro al padre della giovane, portandolo al suicidio. La ragazza minacciava il padre vedovo con false accuse di violenza sessuale e minacce fisiche. La frase più utilizzata dalla figlia negli scambi con il padre su whatsapp era: “Se non mi dai i soldi mi invento che mi hai violentata“. Le continue richieste di denaro, a volte anche di migliaia di euro, avevano ridotto l’uomo in povertà togliendogli la forza di ribattere.

        Un ricatto inammissibile

        I messaggi whatsapp tra padre e figlia, contenuti nell’ordinanza di custodia cautelare del Gip del Tribunale minorile di Palermo, rivelano una situazione di forte conflitto e prevaricazione. La quindicenne, insieme al fidanzato, pretendeva denaro per spese futili come videogiochi e cosmetici, ma anche per sostenere il gioco d’azzardo del ragazzo e le spese carcerarie del padre di lui.

        Un giorno prima del suicidio del padre la quindicenne perpetuava la sua squallida minaccia

        Nonostante le difficoltà economiche dell’uomo, che non aveva più soldi nemmeno per il cibo e le medicine, la figlia continuava a minacciarlo e a insultarlo. La situazione si era aggravata dopo la morte della madre della ragazza e l’arrivo di una nuova compagna del padre. Il giorno prima del suicidio, la ragazza aveva inviato un ultimo messaggio minaccioso al padre. L’uomo è stato trovato impiccato dal figlio, lasciando due lettere in cui esprimeva il suo dolore e il suo disprezzo per le azioni della figlia e del fidanzato.

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          Storie vere

          Dalla diagnosi di autismo quando aveva 3 anni all’autonomia conquistata. Il caso di Andrea Antonello

          Il padre ha permesso al figlio di intraprendere un percorso che lo ha reso sempre più autonomo nella vita quotidiana.

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            Il trentaduenne Andrea Antonello di Castelfranco Veneto è una figura ispiratrice per chi ogni giorno è alle prese con l’autismo. La sua vita ha preso una piega particolare quando, all’età di 3 anni, gli è stata diagnosticata la sindrome dello spettro autistico. Suo padre Franco Antonello, un imprenditore, ha scelto di dedicarsi completamente al figlio, accompagnandolo in un percorso di crescita che ha portato Andrea verso una sorprendente autonomia.

            Un percorso di autonomia e crescita per chi è alle prese con l’autismo

            Nonostante le iniziali difficoltà, Andrea ha raggiunto importanti traguardi. Grazie al sostegno della famiglia, è riuscito a diventare sempre più indipendente. Un esempio significativo è il fatto che vive da solo da alcuni anni, un traguardo straordinario per una persona con disabilità intellettiva. Andrea gestisce la sua casa, cucina, tiene tutto in ordine e lavora nell’Impresa sociale I Bambini delle Fate”, fondata dal padre per sostenere progetti di integrazione per ragazzi autistici.

            Esperienze straordinarie

            Andrea e suo padre hanno vissuto esperienze incredibili insieme, come un viaggio in moto di tre mesi attraverso le Americhe. Questa avventura ha ispirato il film Tutto il mio folle amore di Gabriele Salvatores. La storia del loro viaggio e il racconto della loro vita sono diventati fonte di ispirazione per molte famiglie.

            I contributi alla comunità e la scrittura

            Andrea è anche autore di diversi libri scritti con il supporto della scrittura facilitata. Nei suoi testi, descrive in prima persona la sua esperienza con l’autismo, contribuendo a sensibilizzare il pubblico e rompere gli stereotipi. La sua narrazione offre un punto di vista unico, aiutando a comprendere meglio il mondo delle persone autistiche.

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              Sessismo in un’aula di Tribunale: l’avvocata Eleonora Coletta e la sua lotta per la verità

              Accuse calunniose e strategie difensive discutibili: l’avvocata Coletta denuncia domande sessiste durante il processo contro la Asl di Taranto, in una battaglia legale per ottenere giustizia e risarcimento dopo la perdita del marito e del padre.

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                Eleonora Coletta, avvocata e vice presidente del comitato Verità e Giustizia vittime Covid Moscati, ha intrapreso una difficile battaglia legale contro la Asl di Taranto, accusata di malasanità per la morte del marito Dario e del padre durante la pandemia. Gli eventi si sono svolti presso l’ospedale Moscati di Taranto. Coletta attribuisce i decessi a errori sanitari piuttosto che alle conseguenze del virus. Questa dolorosa vicenda ha spinto l’avvocata a scrivere il libro Canale Terminale, in cui descrive quel reparto come il punto finale per molti pazienti Covid.

                Un causa civile che in aula degenera

                Fin dal suo inizio la causa civile si è trasformata in una sfida spinosa per Coletta, che denuncia di essere stata bersaglio di domande «sessiste» durante il processo. Secondo lei, tali domande mirano a screditare il suo dolore e a ridurre il risarcimento richiesto. Nonostante i periti abbiano accertato le responsabilità della Asl, l’azienda ha rifiutato la conciliazione, prolungando la controversia. Eleonora Coletta continua così a combattere, sottolineando l’importanza della dignità personale e della giustizia per le vittime di malasanità.

                La lotta di Coletta per difendere il rispetto della dignità personale

                L’avvocato della Asl ha adottato una strategia difensiva che ha cercato di insinuare che la sua presunta condotta privata libertina ridurrebbe il suo dolore per la perdita del marito, E, di conseguenza, il risarcimento richiesto. Coletta respinge fermamente le accuse, sottolineando il legame profondo con il marito, che l’ha sostenuta in momenti difficili, come durante un ricovero a Milano. La vicenda solleva interrogativi sul rispetto della dignità personale e sulla giustizia per le vittime di malasanità, evidenziando le difficoltà che le donne possono incontrare nel difendere la propria integrità in contesti legali.

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