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Storie vere

Lo show di quattro preti valdostani su YouTube divide tra risate, scandalo e riflessioni sul ministero sacerdotale.

Un’intervista senza filtri con quattro sacerdoti valdostani spacca la comunità cattolica: per alcuni un dialogo moderno e sincero, per altri uno spettacolo offensivo. Il vescovo critica, ma Avvenire li difende.

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    Uno spettacolo senza precedenti, capace di attirare l’attenzione di oltre 440 mila spettatori su YouTube, ha messo al centro del dibattito quattro giovani sacerdoti valdostani. Don Daniele Borbey, don Alessandro Valerioti, don Jean-Claude Bizindavyi e don Diego Cuaz si sono lasciati intervistare dal comico-youtuber Luca Dodaro per lo show “Illumina Aosta”, dando vita a ottanta minuti di ironia, riflessioni e confidenze che hanno diviso pubblico e fedeli.

    Uno spettacolo che rompe gli schemi

    Tra battute dissacranti e storie personali, i sacerdoti hanno risposto senza riserve a domande provocatorie. Si è parlato di vocazioni, funerali, e persino prostata, con un linguaggio che molti hanno definito non convenzionale per rappresentanti della Chiesa. Uno dei momenti più commentati è stato quando don Jean-Claude ha raccontato come la sua vocazione fosse nata dal desiderio di possedere una moto: «Da ragazzo, in Burundi, vedevo il prete con una moto di grossa cilindrata. Se la volevo, dovevo diventare prete».

    La trasmissione ha suscitato risate e dibattiti, ma anche dure critiche, soprattutto per alcuni passaggi, come quello in cui uno dei sacerdoti ha ammesso di dimenticare spesso il nome del defunto durante i funerali.

    Le reazioni: tra scandalo e apprezzamento

    Il vescovo di Aosta, Franco Lovignana, non ha nascosto il suo disappunto. In una lettera pubblica, ha definito alcune parti dello show «offensive verso la sacralità della vita ecclesiale» e «svilenti per il ministero sacerdotale». Allo stesso tempo, ha precisato di non aver vietato la partecipazione: «I sacerdoti sono uomini adulti e responsabili, capaci di valutare la propria preparazione».

    Molti cattolici, però, hanno accusato lo show di aver oltrepassato il limite, descrivendolo come una «vergogna» e «uno spettacolo dissacrante». Il portale Silere non possum è stato particolarmente critico, sottolineando come si sia confusa la differenza tra «ridere con qualcuno» e «ridere di qualcuno».

    Eppure, non tutti hanno condannato l’iniziativa. Il quotidiano Avvenire, voce ufficiale della CEI, ha difeso i sacerdoti, descrivendo lo spettacolo come «un ritratto nitido e realistico della fedeltà alla propria vocazione», utile per fotografare i cambiamenti che attraversano la Chiesa oggi.

    Un dialogo necessario o un passo falso?

    Il caso dei “quattro preti di Illumina Aosta” evidenzia le difficoltà della Chiesa nell’adattarsi ai tempi moderni. Da un lato, c’è chi vede nello show un tentativo riuscito di avvicinare i giovani e i non credenti, grazie a un linguaggio più diretto e autentico. Dall’altro, c’è chi teme che simili iniziative possano danneggiare l’immagine e la credibilità del ministero sacerdotale.

    Una cosa è certa: i quattro sacerdoti valdostani, tra candore e disincanto, hanno aperto un dibattito che non si spegnerà presto. Il confine tra innovazione e tradizione resta sottile, e lo spettacolo di 80 minuti non ha fatto altro che renderlo ancora più evidente.

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      Follie del web: uno youtuber contro la tribù che non vuole essere disturbata

      Mykhailo Polyakov, influencer americano-ucraino, ha tentato l’impresa (illegale) di raggiungere la tribù dei Sentinellesi sull’isola più isolata del mondo. Con sé, come doni, solo una noce di cocco e una lattina di Diet Coke. Ora rischia cinque anni di carcere e – ancora peggio – di passare alla storia come l’ennesimo youtuber pronto a tutto per qualche visualizzazione. Ma cosa è successo davvero? Una inutile “bravata” che poteva trasformarsi in tragedia…

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      Follie del web: uno youtuber contro la tribù che non vuole essere disturbata

        L’isola di North Sentinel, nel Golfo del Bengala, ospita una delle ultime tribù incontattate del pianeta: i Sentinellesi, circa 250-400 individui che vivono senza alcun contatto con la civiltà moderna da decine di migliaia di anni. Nessun turismo, niente missioni umanitarie, zero traffici commerciali. La loro lingua è sconosciuta, il loro stile di vita immutato, e soprattutto il loro sistema immunitario è estremamente fragile: un banale virus influenzale potrebbe decimarli.

        L’influencer che voleva diventare… virale

        Eppure Mykhailo Polyakov, 24 anni, ha pensato bene di mettere piede sull’isola, con la speranza di documentare l’impresa per il suo canale. Una vera e propria violazione della legge indiana, che tutela l’isolamento dei Sentinellesi. Il giovane è sbarcato il 29 marzo sulla spiaggia nord-orientale dell’isola, lasciando una noce di cocco e una lattina di Diet Coke come simbolici doni di pace. Poi, mentre si allontanava con un gommone guidato da GPS, ha fischiato verso la giungla, sperando forse di attrarre l’attenzione. Gli è andata bene: non è stato colpito da frecce, come accaduto a un missionario nel 2018.

        Rischi seri: carcere (e peggio)

        Al suo rientro a Port Blair, capitale delle Andamane, Polyakov è stato arrestato. L’accusa è chiara: violazione dell’ordinanza che vieta l’accesso a North Sentinel. Il processo si terrà il 17 aprile e lo youtuber rischia fino a cinque anni di carcere e una multa salata. Ma il vero pericolo era ben più grave: un contatto diretto avrebbe potuto causare un’epidemia devastante, poiché i Sentinellesi non hanno mai sviluppato difese immunitarie contro virus moderni come influenza o morbillo.

        “Missione social” senza senso

        L’episodio solleva interrogativi urgenti: fin dove può spingersi la logica dei like e delle visualizzazioni? Vale davvero tutto, anche mettere a rischio una cultura millenaria per un video virale? La ONG Survival, che tutela i popoli indigeni, ha definito l’accaduto “una minaccia inaccettabile per la società più fragile del pianeta”. Eppure, storie come questa si ripetono, tra turisti, avventurieri e influencer senza scrupoli.

        Quando l’ignoranza è più letale di una freccia

        Ironia della sorte, i Sentinellesi, armati di archi e silenzio, hanno resistito a tutto tranne che all’arroganza moderna. E Polyakov, con il suo fischietto e il suo cocco, ha dimostrato come l’ignoranza – oggi spesso travestita da “contenuto” – possa essere l’arma più pericolosa di tutte.

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          Fuga degli infermieri. Quella di Antonio Torella non sarà l’ultimo caso visto il divario tra Italia e Inghilterra

          Stipendi bassi e scarsa valorizzazione delle competenze spingono gli infermieri italiani all’estero. La storia di Antonio evidenzia una crisi che minaccia il sistema sanitario.

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            Molti di voi si chiederanno: ma chi è Antonio Torella? Semplice è operatore del servzio sanitario italiano di 41 anni. La sua stramba storia ci racconta le difficoltà e i sacrifici che molti infermieri italiani affrontano nel panorama lavorativo attuale. Antonio ha lavorato per la Ausl di Bologna dal 2007, ma nel 2015. Poi si è trasferito per un periodo a Brighton, in Inghilterra, attratto da migliori prospettive professionali. E sebbene sia tornato in Italia per amore della moglie e del figlio, ammette che, se ne avesse la possibilità, tornerebbe subito in Inghilterra. E come mai Torella?

            Continue richieste da parte della Gran Bretagna

            Ogni settimana ricevo offerte dall’Inghilterra, pronte a pagarmi 1.500 sterline a settimana grazie alle mie competenze,” spiega Antonio. E non si tratta solo di uno stipendio più elevato. In Inghilterra, i neoassunti portano a casa uno stipendio netto di circa 2.500 euro al mese, con l’aggiunta di corsi di specializzazione e master finanziati. In Italia, invece, un infermiere guadagna circa 1.800 euro lordi mensili lavorando dal lunedì al venerdì, e qualunque formazione aggiuntiva deve essere pagata di tasca propria. Ma non basta.

            A caccia di personale qualificato

            In Inghilterra, la figura dell’infermiere viene storicamente valorizzata,” continua Torella. La ricerca di personale qualificato, come gli infermieri italiani, è volta a mantenere elevati standard, anche nel rapporto infermiere-pazienti. Lì, ogni infermiere segue in media sei pazienti. In Emilia-Romagna, il rapporto sale a uno ogni 7-8 pazienti di giorno, e può arrivare a uno ogni 13-14 durante i turni notturni. Gli ospedali inglesi offrono supporto ai nuovi assunti attraverso intermediari. Per esempio? Per esempio un mese di alloggio gratuito, prestiti a tasso zero per le spese di affitto e programmi di integrazione che includono eventi sociali e corsi formativi. Vi sembra poco?

            E quindi perchè è tornato in Italia Torella? Per amore naturalmente…

            Nonostante queste iniziative, Antonio è tornato in Italia, spinto dall’età, da un contratto stabile e soprattutto dalla famiglia. Tuttavia, molti colleghi reclutati con lui sono rimasti in Inghilterra. “Tornerebbero volentieri se in Italia esistessero due condizioni: stipendi adeguati al costo della vita e una maggiore valorizzazione delle competenze,” sottolinea. Oltre alla retribuzione inadeguata, anche il costo della vita pesa. “Attualmente guadagno meno di quando lavoravo in sala operatoria, nonostante abbia due master, cinque anni di studi universitari e 18 anni di esperienza,” racconta Antonio. Con l’aumento generale dei prezzi, la sua famiglia è costretta a contenere le spese, rinunciando a vacanze dispendiose. Oggi Antonio teme che, senza un’inversione di tendenza, Bologna potrebbe presto perdere molte figure sanitarie. Richiama l’attenzione sulla necessità di politiche mirate: “Servono alloggi per i giovani e incentivi per far tornare chi ha già lasciato il Paese.”

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              La maestra nuda su OnlyFan rivuole la sua cattedra: ci riuscirà?!?

              Elena Maraga, insegnante 29enne sospesa da un asilo per la sua attività su OnlyFans, torna sotto i riflettori con un chiaro obiettivo: riprendere il suo ruolo in aula. Tra polemiche, sostegni e trattative legali, la vicenda accende il dibattito su privacy, libertà personale e giudizi morali.

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                Elena Maraga, giovane docente dell’infanzia, è stata sospesa dal servizio dopo che un genitore ha scoperto la sua presenza su OnlyFans, piattaforma dove alcuni utenti condividono contenuti a pagamento, spesso di tipo sensuale. Ma a differenza di quanto il gossip vorrebbe far credere, non c’è nulla di illegale o esplicito, come chiarisce da subito il suo legale Giorgio Canal. Un episodio che ha fatto discutere l’opinione pubblica, dividendo genitori e insegnanti: da un lato chi sostiene la libertà personale della maestra, dall’altro chi la giudica incompatibile con il suo ruolo educativo.

                Il profilo segreto diventato di dominio pubblico

                Secondo la versione fornita dall’avvocato Canal, Elena non ha mai reso pubblica l’esistenza del suo profilo OnlyFans. A renderlo noto sarebbe stato un genitore di uno degli alunni, trasformando un’attività privata in una questione mediatica e scolastica.

                “L’attività extra-lavorativa non incide sulla qualità dell’insegnamento e non ci sono basi legali o etiche per un licenziamento”, afferma il legale, sottolineando come la maestra non abbia violato alcuna norma interna dell’istituto.

                Trattative in corso con l’istituto scolastico

                Nonostante la sospensione, Elena continua a percepire lo stipendio e ha avviato una trattativa per trovare un accordo con la scuola. Durante l’incontro del 4 aprile, il primo passo è stato ascoltare le ragioni della docente. Ora si attende un riscontro concreto da parte dell’istituto. L’obiettivo della Maraga è solo uno: tornare a insegnare senza dover rinunciare a un’attività che ritiene personale e rispettosa dei limiti imposti dalla legge.

                Divisa l’opinione dei genitori

                Il caso ha acceso un acceso dibattito tra le famiglie: alcuni genitori si sono espressi a favore dell’insegnante, sottolineando il diritto di ogni individuo a gestire la propria vita privata senza temere ripercussioni sul lavoro. Altri, invece, considerano inadeguata la sua presenza online, sostenendo che il ruolo educativo imponga un comportamento più “tradizionale”. Ma le opinioni, in assenza di un codice etico preciso dell’istituto, restano tali.

                Libertà personale o morale pubblica?

                Il caso Elena Maraga solleva interrogativi profondi sul confine tra vita privata e professione, soprattutto in un ambito delicato come l’educazione. Ma se non ci sono regole infrante né contenuti inappropriati, la domanda diventa: è giusto giudicare e sanzionare una persona solo per come gestisce la propria immagine fuori dall’orario di lavoro? La risposta, per ora, è ancora tutta da scrivere. Ma una cosa è certa: Elena non ha intenzione di abbandonare la sua vocazione per insegnare. E chissà… forse questo caso contribuirà a riscrivere i confini tra professione, libertà e pregiudizio.

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