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Storie vere

Nel paese tutti vedono il video hard di una minorenne: condannato il mittente

Gira video a luci rosse e li invia ad un 26enne che, a sua volta, li inoltra nelle chat di gruppi del paese. Il fattaccio è accaduto in un comune del Salento, dove il ragazzo è stato condannato a quattro anni di carcere.

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    Ha convinto una ragazzina di appena 13 anni, sua conoscente, a girare col telefonino due video erotici e a inviarglieli. In seguito, tradendo la sua fiducia, ne ha inoltrato uno su un gruppo whatsapp di amici. Per questo vergognoso atto il Tribunale di Lecce l’ha condannato a quattro anni di carcere con l’accusa di pornografia minorile.

    Il cattivo esempio

    Secondo l’accusa il ragazzo, che all’epoca dei fatti aveva 20 anni, avrebbe anche inviato alla minore un video dai contenuti espliciti, per mostrarle come avrebbe dovuto farne uno simile. I giudici hanno disposto anche l’interdizione perpetua da qualsiasi ufficio inerente la tutela, curatela e amministrazione di sostegno, nonché dai pubblici uffici per la durata di cinque anni e l’interdizione in perpetuo da incarichi nelle scuole di ogni ordine e grado e da ogni ufficio o servizio in istituzioni, o in altre strutture pubbliche e private, frequentate abitualmente da minori. L’accusa, in partenza, aveva chiesto una condanna a sette anni di reclusione.

    Tutto si svolse nel 2019

    I fatti sono avvenuti nel 2019; secondo gli accertamenti fatti nel corso del processo, la vittima naturalmente credeva di potersi fidare dell’allora ventenne, con il quale aveva sviluppato un rapporto di stretta conoscenza. Un giorno del maggio di quell’anno il ragazzo le aveva inviato un video intimo, per stimolare la ragazzina a fare lo stesso. Una specie di “video tutor” che aveva convinto la 13enne a realizzare a sua volta due brevi filmati. Lei non poteva sapere, che quei video di pochi secondi sarebbero poi diventati di dominio pubblico in paese.

    Anche i genitori vengono informati e denunciano

    Sono bastati pochi giorni perchè anche i genitori della tredicenne venissero a conoscenza del fatto che stessero circolando dei video “strani” della figlia. Per bloccarne la diffusione hanno fatto un’immediata denuncia. Cosa che ha fatto avviare le indagini da parte della Polizia Postale, sequestrando il telefonino del ragazzo. I video in quel modo vengono rimossi ma la vergogna rimane…

    I risvolti della vergogna

    Per questo brutto episodio la ragazzina sprofonda in una pericolosa crisi depressiva, con risvolti negativi sia sul suo rendimento scolastico ed anche nelle sue abitudini sociali: per mesi si chiude in casa. Nel frattempo l’inchiesta prosegue e il giovane viene iscritto nel registro degli indagati e poi condannato.

    Uno scherzo che non fa assolutamente ridere

    La diffusione non consensuale di materiale pornografico privato è una piaga sociale che ha assunto proporzioni allarmanti con l’avvento dei social e delle app di messaggistica istantanea. Spesso giustificata con leggerezza o spacciata per “scherzo”, questa pratica rappresenta una violazione della privacy e un atto di violenza digitale, con conseguenze devastanti per le vittime.

    Quel click assolutamente da evitare

    Il fenomeno colpisce in particolare le donne, spesso vittime di vendette personali o di manipolazioni affettive. Tuttavia, nessuno è immune: il desiderio di spettacolarizzare la vita altrui e la ricerca di facili consensi spingono molti a inoltrare video o foto intime senza il minimo rispetto per chi ne è protagonista. I contraccolpi sono gravissimi: isolamento sociale, depressione, perdita di fiducia, fino a episodi di autolesionismo o suicidio. Le conseguenze legali sono altrettanto pesanti: in molti paesi, la diffusione non autorizzata di materiale intimo è reato penale. Un solo click può distruggere una vita, ricordiamolo sempre…

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      Storie vere

      Ma signor Enrico cosa ci fa a 93 anni con la palla ovale tra le mani? “Semplice, seguo la mia passione”

      E’ il tesserato più longevo del rugby italiano: quando la passione e un pizzico di follia sfidano i limiti dell’età.

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        Sapevamo che l’età media sta crescendo ogni decennio che passa. La terza età aumenta si fa sempre più spazio in questa società del benessere. Ma non ci si può credere che la passione abbia permesso al signor Enrico Zaglio di scendere in campo per giocare a rugby. Alla sua età ci si aspetta che se ne stia in casa circondato dall’affetto di figli nipoti e magari qualche pronipote. E invece… Invece a 93 anni Enrico è in piena forma e continua a sfidare non solo gli avversari sul campo da rugby, ma anche la pigrizia. Il tesserato italiano di rugby più longevo, dimostra che la passione e la voglia di fare possono superare qualsiasi limite imposto dall’età.

        Enrico: una vita sul campo e tante sfide vinte

        La passione per il rugby per Enrico è nata a Livorno, alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Fu allora che incuriosito dai palloni ovali portati dagli americani, ha iniziato a giocare, sfruttando le sue abilità da portiere nel calcio. Da allora non si è più fermato. Anche se la vita lo ha messo di fronte a diverse sfide. La casa distrutta dai bombardamenti, gli studi universitari senza risorse economiche e il lavoro. Nonostante le difficoltà, Enrico ha sempre trovato il modo di tornare al rugby, fondando squadre a Brescia e Milano e persino coinvolgendo i suoi studenti ai Salesiani. Oggi, grazie alla Poderosa Old Rugby Brescia, un gruppo che dal 2003 riunisce appassionati over 35, continua a giocare in mischie una volta a settimana, scherzando che l’unica cosa che si permette di girare è… la testa!

        Una passione che gli ha fatto girare il mondo

        La dedizione di Enrico per il rugby lo ha portato a gareggiare persino in Nuova Zelanda e Sudafrica, due nazioni che vivono il rugby come una religione. Anche a 93 anni, non rinuncia al piacere del campo, delle mete e del mitico “terzo tempo”, dove la convivialità e il rispetto per l’avversario fanno parte dello spirito del rugby. Enrico è padre di cinque figli e nonno (e bisnonno) di 18 tra nipoti e pronipoti, tutti suoi tifori. Divide il suo tempo tra la famiglia, le sue prodezze in cucina — casoncelli e gnocchi — e il rugby. La moglie Caterina, di 91 anni, è sua compagna da oltre 66 anni, ma è il campo da rugby il luogo dove Enrico trova l’energia per continuare a mettersi alla prova. Signor Enico sarà anche una domanda retorica ma ci spiega qual è il suo segreto per mantenersi così attivo? Risponde con una risata. “Per giocare a rugby serve un po’ di pazzia“. Che gli vuoi aggiungere?

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          Storie vere

          Il giallo milionario di Pinuccia, la pensionata vissuta in povertà: due testamenti, un’eredità da 5 milioni e una guerra di eredi

          Serrature forzate, movimenti sospetti sul conto dopo la morte e un’eredità sotto sequestro. La battaglia legale si accende tra agende rubate, confessioni d’amore e accuse di circonvenzione

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            Cosa lega una vecchia casa in precollina torinese, un’agenda sdrucita, una storia d’amore mai dichiarata e un’eredità da cinque milioni di euro? È l’intricato mistero di Maria Giuseppina Rista, per tutti “Pinuccia”, morta il 13 aprile 2021 all’ospedale San Giovanni Bosco di Torino. Una donna riservata e sola, che viveva in condizioni di estrema povertà nonostante fosse proprietaria di immobili e avesse oltre un milione e mezzo in banca.

            Quando Pinuccia muore, nella primavera del 2021, pochi sanno del suo tesoro nascosto. Non aveva figli, né un marito, viveva in solitudine in una casa cadente della Vanchiglietta, e annotava tutto su agende e foglietti, senza fidarsi di nessuno. Ma la sua morte scatena una caccia all’eredità degna di un romanzo giallo.

            Il primo a entrare in scena è E., commerciante d’auto torinese di 56 anni, che sostiene di averle fatto compagnia negli anni e di essere stato l’unico a interessarsi a lei. Stando al suo racconto, pochi mesi dopo la morte della donna, entra nell’appartamento di Pinuccia con un mazzo di chiavi ricevuto dalla pensionata stessa. Cerca una fotografia da mettere sulla tomba ma, rovistando tra le sue cose, trova qualcosa di molto più prezioso: un’agenda. Su una pagina, tra appunti su morti di Covid e risultati di calcio, c’è scritto a penna: «Nel caso dovessi morire lascio tutto a E., l’unico che mi ha sempre aiutato». Una dichiarazione che potrebbe valere milioni.

            L’uomo si reca quindi da un notaio e fa pubblicare il documento come testamento olografo. Ma non è l’unico pretendente. Un’inquilina di Pinuccia, infatti, sostiene di aver trovato nella sua buca delle lettere un’altra pagina di agenda, datata 13 marzo, in cui la donna le lascerebbe in eredità un’intera palazzina con 12 appartamenti. Una perizia calligrafica conferma che entrambe le scritture sono autentiche.

            Ma non finisce qui. Spuntano anche due lontani cugini della pensionata che decidono di impugnare il testamento a favore di E., contestandone la validità per la mancanza di una data certa. Il tribunale civile, in prima battuta, dà loro ragione e blocca l’asse ereditario sotto sequestro.

            Nel frattempo la vicenda prende una piega ancora più oscura. Sei mesi dopo la morte della donna, il direttore della banca nota un’anomalia: viene aperto un conto online a nome di Maria Giuseppina Rista e vengono disposti dei bonifici, tra cui uno da 12 mila euro verso un carrozziere romeno. Insospettito, il direttore chiama il numero associato al conto e si sente rispondere da una donna che si presenta come “la badante della signora”. Ma Pinuccia era già morta da mesi. È l’inizio di un’indagine che porta la procura di Torino ad accusare E. e altri tre complici di circonvenzione di incapace, truffa e sostituzione di persona.

            Secondo gli investigatori, il 56enne torinese avrebbe approfittato della fragilità della donna, mentre i complici avrebbero gestito le operazioni finanziarie dopo la sua morte. Eppure resta l’enigma dell’agenda e di quella dichiarazione d’amore mai confessata: «Vergine, aiutami con E., perché io lo amo tanto. Fa’ che mi ami anche lui», scriveva la pensionata sotto un santino pochi giorni prima di morire.

            Ora E. dovrà difendersi non solo nella causa civile, ma anche nel processo penale che si aprirà nei prossimi mesi. Intanto l’intero patrimonio resta congelato, in attesa che la giustizia chiarisca chi, tra tutti, sarà l’erede della misteriosa fortuna di Pinuccia.

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              Storie vere

              Basta mollo tutto e vado a vivere in un container! La scelta di Robyn Swan per una vita autosufficiente

              Questa giovane donna dimostra che è possibile vivere in modo diverso e trovare felicità e serenità in uno stile di vita minimalista. Ma per forza in un container…?

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                Robyn Swan, una giovane donna di 33 anni, ha deciso di cambiare radicalmente la sua vita vendendo tutto ciò che possedeva per vivere in un container, immersa nella natura della Scozia. La sua scelta, lontana dai canoni tradizionali, è stata motivata dal desiderio di diventare autosufficiente, ridurre il proprio impatto sull’ambiente e ritrovare serenità e libertà. Robyn ha venduto tutti i suoi beni, inclusi l’auto, i mobili e la televisione, per finanziare l’acquisto di un terreno vicino a Stirling, dal valore di 220mila euro. Ha poi collocato sul terreno un container, acquistato per 5mila euro, che è diventato la sua nuova abitazione. Per otto mesi, Robyn ha vissuto senza elettricità, ma successivamente ha installato pannelli solari, rendendo la sua casa energeticamente autosufficiente.

                Uno stile di vita autosufficiente

                La vita di Robyn si basa su un modello di autosufficienza e semplicità. Coltiva il proprio cibo, alleva polli, conigli e maiali, e raccoglie l’acqua piovana per il fabbisogno quotidiano. Per sostenersi, lavora come dog walker a tempo pieno. Condivide questa esperienza con il suo socio, Luke, un elettricista di 29 anni che ha contribuito a rendere possibile il progetto. Grazie al suo impegno, Robyn riesce a vivere con circa 300 euro al mese. Le sue spese principali sono limitate alla tassa comunale, al cibo e al telefono. Non avendo affitto o bollette energetiche significative, riesce a mantenere un tenore di vita semplice ma appagante.

                Ma perché questa scelta?

                La decisione di Robyn non è stata dettata solo da motivi economici, ma anche dal desiderio di vivere in modo più sano e sostenibile. “Volevo sapere esattamente cosa c’è nel cibo che consumo, produrlo da sola mi dà questa certezza“, ha spiegato. Inoltre, vivere lontano dalla civiltà le permette di essere preparata ad affrontare eventuali crisi globali, come una carenza alimentare. Pur riconoscendo che questo stile di vita può essere fisicamente impegnativo, Robyn lo descrive come profondamente appagante. “Mi dà tranquillità,” ha detto, spiegando che la connessione con la natura e la consapevolezza di essere autosufficiente contribuiscono al suo benessere generale.

                Vuoi andare anche tu a vivere in un container? Ecco qualche informazione pratica

                Vivere in un container richiede adattamenti pratici e creativi. Robyn ha dimostrato che, con le giuste soluzioni, questa scelta abitativa può essere comoda e sostenibile. Per prima cosa biosgna munirsi di pannelli solari per la produzione di energia elettrica. Poi biosgna pensare alla raccolta dell’acqua piovana. Acqua che serve per l’irrigazione delle colture e le necessità quotidiane. Quindi dal punto di vista della gestione degli spazi è indipensabile organizzare il container in modo funzionale per includere zona notte, cucina e spazio di lavoro. Infine cointainer o non container biosgna pensare a come procurarsi la pappa quotidiana. Insmma bisogna darsi da fare per raggiungere una autosufficienza alimentare. Robyn coltiva verdure e alleva animali, riducendo così la dipendenza da fonti esterne. E voi lo sapreste fare?

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