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Cronaca

Vi ricordate i banchi a rotelle? E chi se li dimentica…accatastati nei punti più bui delle scuole

Ogni volta che si pensa a una spesa che lo Stato avrebbe potuto evitare dedicando le stesse risorse per altri obiettivi più utili, spuntano sempre fuori loro: i banchi a rotelle.

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    Ogni volta che si pensa a una spesa che lo Stato avrebbe potuto evitare dedicando le risorse a obiettivi più utili, spuntano fuori loro: i banchi a rotelle.

    Due milioni e mezzo acquistati, poche decine di migliaia utilizzati

    Ma sì che ve li ricordate. Era il 2020, la pandemia di Covid imperversava e il Governo aveva deciso di acquistare dei banchi funzionali al distanziamento degli studenti nelle aule. Quanti? Secondo i dati di Anac e Governo, si legge su Skuola.net, furono acquistati due milioni e mezzo di banchi con relative sedie ergonomiche. Di questi 434 mila muniti di rotelle. La spesa fu di 324 milioni di euro, con una media di 270 euro per ciascun banco munito di rotelle e di 95 euro per i tradizionali, utilizzati in 126 mila aule. Una su quattro a fronte di 370 mila classi della scuola pubblica italiana. Il resto era stato rispedito al mittente perché ingombranti e poco pratici, o posteggiati in magazzini di Comuni e Province.

    L’ora del riscatto passa da Padova

    In questi ultimi anni alcuni di quei banchi e sedie sono rientrati in un giro virtuoso. Utilizzati nei modi più disparati. Per esempio in provincia di Padova il comune di Bagnoli di Sopra ne ha acquistati un centinaio dalla Provincia, che ne aveva 600 nei propri magazzini. Il prezzo? Un euro ciascuno. Sono stati utilizzati per attrezzare una sala riunioni a disposizione del Comune. Tutte sedie nuove, mai usate, certificate, e “adatte al nostro scopo“, come ha detto il sindaco di Bagnoli, Roberto Milan. Con questo acquisto la capienza della sala comunale è arrivata a 400 posti a sedere. “Se fossero stati comprati nuovi avremmo speso molto di più. Quattro anni fa erano costate circa 150 euro l’uno”. Ve lo ricordate…?

      Cronaca

      Trapani, orrore dietro le sbarre: torture e abusi nel carcere Cerulli, 11 arresti e 14 sospensioni

      Lanci d’acqua mista a urina, violenze gratuite e detenuti ridotti a oggetti: le parole del procuratore Gabriele Paci gettano luce su una realtà agghiacciante. 46 indagati tra gli agenti penitenziari.

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        L’orrore del carcere Pietro Cerulli di Trapani si è svelato in tutta la sua crudezza: una sequenza di abusi e violenze che, secondo la procura, andavano ben oltre l’episodico, configurandosi come un metodo sistematico per garantire l’ordine. Undici agenti penitenziari agli arresti domiciliari, quattordici sospesi dal servizio e un totale di 46 indagati. L’accusa è pesante: tortura, abuso d’autorità e falso ideologico.

        Le indagini, partite nel 2021 e concluse solo di recente, hanno rivelato uno scenario che sembra uscito da un romanzo dell’orrore. Il reparto blu, chiuso oggi per carenze igienico-sanitarie, era diventato il teatro di veri e propri abusi nei confronti dei detenuti, spesso con problemi psichiatrici. Qui, lontano da occhi indiscreti – visto che non vi erano telecamere – i detenuti venivano sottoposti a violenze fisiche e psicologiche, come raccontato dal procuratore di Trapani Gabriele Paci: “Venivano fatti spogliare, investiti da lanci d’acqua mista a urina e sottoposti a violenze quasi di gruppo, gratuite e inconcepibili”.

        Una prassi agghiacciante

        Secondo quanto emerso, l’uso della violenza non era un episodio isolato, ma una prassi per alcuni agenti. “Non si trattava di sfoghi sporadici, ma di un metodo per garantire l’ordine”, ha dichiarato Paci, aggiungendo che il gip Giancarlo Caruso ha riconosciuto in questi atti la configurazione del reato di tortura.

        Circa venti i casi accertati finora, ma le indagini sono state rese possibili solo grazie all’installazione di telecamere nel reparto blu, oggi chiuso. “Era un girone dantesco”, ha aggiunto il procuratore, “che sembra ripreso direttamente dalle pagine de I Miserabili di Victor Hugo”.

        L’indagine e le reazioni

        Le indagini, coordinate dal nucleo investigativo regionale della Polizia penitenziaria di Palermo, hanno rotto il muro di omertà che spesso avvolge situazioni simili. Nonostante lo stress e le difficili condizioni lavorative degli agenti siano stati riconosciuti dal procuratore Paci, “questo non legittima assolutamente le violenze”, ha precisato.

        Il presidente dell’associazione Antigone, Patrizio Gonnella, ha espresso soddisfazione per il fatto che il reato di tortura abbia permesso di incriminare i responsabili. “Questo reato è fondamentale per perseguire chi si macchia di simili crimini e per sostenere le vittime. Ma, soprattutto, è cruciale per rompere il muro di omertà”, ha commentato.

        Gonnella ha lodato le professionalità interne all’Amministrazione penitenziaria che hanno permesso di far emergere la verità e riconoscere i diritti fondamentali dei detenuti. “Ora ci auguriamo che si faccia piena chiarezza, riconoscendo le responsabilità in sede processuale”.

        Un sistema sotto accusa

        Il carcere di Trapani non è il primo a finire al centro di uno scandalo simile. Questi episodi mettono in evidenza un sistema che sembra incapace di proteggere i diritti fondamentali dei detenuti, pur riconoscendo le difficoltà operative degli agenti penitenziari. Tuttavia, ciò che emerge con forza è che nulla può giustificare una simile degenerazione del ruolo delle forze dell’ordine.

        Le indagini proseguono, e con esse la speranza che episodi come quelli avvenuti nel carcere Cerulli diventino, finalmente, solo un ricordo del passato.

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          Cronaca Nera

          Giulio Regeni, il racconto delle torture: «Bendato e portato a spalla, sfinito dal dolore»

          Durante il processo contro quattro 007 egiziani, un testimone racconta il brutale trattamento subito da Giulio Regeni. In aula, il video proiettato da Al Jazeera e la commossa testimonianza della sorella riportano alla luce dettagli atroci.

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            Giulio Regeni «ammanettato con le mani dietro la schiena, bendato, portato a spalla da due carcerieri perché sfinito dalla tortura». È questo uno dei dettagli emersi oggi durante il processo in corso a Roma contro quattro agenti dei servizi segreti egiziani accusati della morte del ricercatore friulano, rapito e ucciso al Cairo nel 2016.

            Un cittadino palestinese, ex detenuto in una struttura di sicurezza egiziana, ha raccontato in un video trasmesso da Al Jazeera e proiettato in aula: «L’ho visto uscire da un interrogatorio. Era piegato dal dolore, non riusciva a stare in piedi. Lo riportavano alle celle sorreggendolo».

            Le parole strazianti del testimone si sono unite alla commovente testimonianza di Irene Regeni, sorella di Giulio, che ha ricordato in lacrime il fratello: «Era un ragazzo normale, appassionato di storia e culture diverse. Studiava l’arabo ed era entusiasta di partire per l’Egitto. Per me era un esempio, il fratellone che dava consigli. Non immaginavamo che sarebbe finita così».

            La famiglia Regeni non ha mai smesso di cercare la verità. Durante l’udienza, Irene ha raccontato come scoprì della tortura inflitta a Giulio: «Ricordo una telefonata di mia madre: ‘Hanno fatto tanto male a Giulio’. La parola tortura però l’ho sentita per la prima volta al telegiornale».

            Anche il medico legale incaricato di analizzare il corpo di Giulio ha confermato le atroci sofferenze subite: «Bastonate sui piedi, bruciature e ammanettamento di polsi e caviglie. È stato sottoposto a torture indicibili».

            Il processo rappresenta un tentativo di fare luce su uno dei casi di violazione dei diritti umani più controversi degli ultimi anni, con un’attenzione crescente da parte della comunità internazionale.

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              Cronaca

              Centinaia di pacchi di gratta e vinci affiorano nel canale a Lodi. Residenti a caccia di fortuna, indagano i carabinieri.

              Migliaia di biglietti de “Il Miliardario” galleggiano nelle acque di Cornegliano Laudense. Residenti incuriositi cercano la fortuna, ma il sindaco avverte: “Rischiate una denuncia”. Indagano i carabinieri su un possibile furto o incidente.

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                Un’insolita scena ha attirato l’attenzione dei residenti di Cornegliano Laudense, nel Lodigiano, quando migliaia di biglietti del Gratta e vinci “Il Miliardario” sono stati avvistati galleggiare nelle acque del canale Muzza. I blocchetti interi, trasportati dalla corrente, hanno suscitato curiosità e, per qualcuno, anche la speranza di trovare il biglietto fortunato.

                Caccia al biglietto fortunato tra curiosità e rischi

                Decine di cittadini non hanno resistito alla tentazione di tentare la fortuna, cercando di recuperare i biglietti tra le acque del canale. Qualcuno, pur di afferrare i tagliandi, si è spinto oltre il limite di sicurezza, rischiando di finire nel fiume. Una scena che ha destato preoccupazione nel sindaco Stefano Iachetti, il quale ha subito invitato i residenti a desistere, ricordando che appropriarsi dei tagliandi potrebbe configurarsi come un reato di appropriazione indebita.

                Un mistero ancora senza risposta

                L’origine di questa bizzarra situazione resta un enigma. Subito allertati dal sindaco, i carabinieri e i vigili del fuoco stanno cercando di ricostruire la dinamica dei fatti. Tra le ipotesi al vaglio, quella di un furto finito male, con i ladri costretti ad abbandonare il bottino, o di un incidente stradale che avrebbe visto un camion carico di tagliandi uscire di strada, rovesciando il carico nel corso d’acqua.

                Nel frattempo, i blocchetti di Gratta e vinci continuano a destare curiosità tra i residenti, mentre le autorità indagano per fare luce su questa vicenda insolita e misteriosa.

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