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Manuel Bortuzzo rompe il silenzio: «Lulù mi ha minacciato e picchiato, ma ora il cattivo sembro io»
Il Gup di Roma ha condannato Lulù Selassié a un anno e otto mesi con pena sospesa per stalking nei confronti di Manuel Bortuzzo. Il nuotatore racconta ora per la prima volta la sua verità: «Mi seguiva ovunque, mi ha aggredito e minacciato. Ho denunciato per proteggere la mia libertà, non per vendetta».
«Mi ha dato schiaffi, mi ha minacciato di morte, mi seguiva anche all’estero. Ma ora il cattivo sembro io». Manuel Bortuzzo, 26 anni, rompe il silenzio dopo la sentenza che ha condannato l’ex compagna Lulù Selassié a un anno e otto mesi (pena sospesa) per stalking. In un’intervista al Giornale, il nuotatore paralimpico racconta una vicenda che per mesi è stata al centro del chiacchiericcio social, e ora si chiude – almeno sul piano giudiziario – con una sentenza.
Una storia iniziata nel 2022 nella casa del Grande Fratello Vip, come tante: due ragazzi giovani, un’attrazione davanti alle telecamere, il tentativo di vivere un amore anche fuori. Ma per Manuel, quel legame si è presto trasformato in una spirale di disagio. «Era una relazione come tante, ma ho capito che non eravamo compatibili. L’ho lasciata il 25 aprile 2023. Lei però non l’ha accettato», racconta.
Fin da subito, le pressioni sarebbero state costanti. «Telefonate, messaggi, appostamenti. Qualunque luogo raggiungessi, lei era lì. E io ripetevo sempre lo stesso concetto: non c’era nessun’altra, volevo solo chiudere quella relazione. Ma per lei era inaccettabile».
C’è stato un tentativo di riavvicinamento, ammette Manuel, ma è durato poco. «Dopo un altro distacco, si è presentata dall’altra parte del mondo, agli Europei di nuoto. E lì ha alzato le mani. Le presi il polso e le dissi che ci saremmo visti in tribunale».
Il racconto di Bortuzzo è preciso: dalla violenza verbale a quella fisica, fino al peso emotivo. «Mi diceva: “Ti ammazzo”. Ma a spaventarmi non erano quelle parole. Era quando diceva che voleva farlo con se stessa, come una forma di ricatto psicologico. Anche quella è una violenza».
A quel punto, la decisione di denunciare. «Non l’ho fatto per ferirla. L’ho fatto per proteggermi. Per tutelare la mia vita, la mia serenità. È stato un gesto di autodifesa, non di rabbia».
La condanna è arrivata pochi giorni fa. Lulù è stata ritenuta colpevole dal tribunale e condannata a un anno e otto mesi, con sospensione della pena e obbligo di percorso psicologico. «La sospensione non vuol dire che fosse innocente», puntualizza Manuel. «Il tribunale ha riconosciuto che c’era una forma di ossessione, una malattia, non solo una delusione sentimentale».
Nonostante la sentenza, Bortuzzo oggi si dice ferito anche da come l’opinione pubblica ha vissuto il caso. «La cosa paradossale è che ora sembro io il carnefice. Il ragazzo che ha denunciato una donna fragile. Invece ho solo cercato di difendere me stesso da una relazione diventata tossica».
E lancia un messaggio chiaro, che va oltre il caso personale: «L’amore non giustifica mai la violenza. Né quella fisica, né quella psicologica. Vale per le donne e per gli uomini. Non esistono scuse quando si superano certi limiti».
Una vicenda dolorosa, che tocca anche temi più ampi come la parità di genere e la tutela delle vittime, a prescindere dal sesso. E che ora, almeno per Manuel, si chiude con la speranza di poter tornare a vivere e allenarsi senza paura.