Cucina
Avanzi di Natale? Niente paura! Trasformali in 2 dessert irresistibili da copiare subito!
Hai ancora del pandoro o del panettone avanzato? Non buttarli via! Con queste ricette creative e semplici, potrai trasformare i tuoi dolci natalizi in nuove delizie: Cassata veloce di pandoro e Ciambella di Panettone

Pandoro e panettone sono i protagonisti indiscussi delle nostre tavole natalizie. Ma cosa fare se ne avanza? Ecco 2 idee originali e golose per riutilizzare questi dolci e stupire i tuoi ospiti.
Cassata veloce di pandoro alla crema di ricotta
1 pandoro
500 g di ricotta vaccina
250 g di zucchero al velo vanigliato
Gocce di cioccolato fondente q.b
3 cucchiai di frutta candita a piacere q.b.
1 cucchiaino di estratto di Vaniglia
Bagna per dolci non alcolica
Zucchero al velo q.b. per decorare
Mescoliamo la ricotta con lo zucchero a velo e l’estratto di vaniglia. Una volta che abbiamo ottenuto un composto cremoso, aggiungiamo le gocce di cioccolato e la frutta candita. Mescoliamo il tutto e mettiamo in frigo. Tagliamo panettone in 3 fette (disco) non troppo sottili partendo dalla bassa. Una fetta adagiamola sul fondo di uno stampo per dolci, un’altra la spezzettiamo sistemandolo bene sui lati dello stampo, poi bagniamo con la bagna, versiamoci sopra la crema di ricotta presa dal frigo e copriamo con l’ultima fetta di pandoro. Infine, decoriamo con lo zucchero al velo, copriamo e lasciamo riposare in frigo.
Ciambella di panettone al profumo di arancia
300 g di panettone classico secco avanzato
2 uova intere
150 g di zucchero semolato
90 ml di olio di semi di girasole
80 g di farina 00
90 ml di latte intero
1 bustina di lievito per dolci
La buccia di 1 arancia grattugiata
Burro e farina per lo stampo q.b.
Sminuzziamo il panettone e riduciamolo finissimo in farina con l’aiuto di un mixer. Montiamo le uova con lo zucchero fino ad ottenere un composto chiaro e spumoso, aggiungiamo l’olio, il latte la scorza di arancia e la farina setacciata con il lievito; quindi, inglobiamo il tutto con una spatola. Versiamo il composto ottenuto in uno stampo unto e infarinato, inforniamo a 175° e per circa 40 minuti. Sforniamo e lasciamo intiepidire prima di servire.
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Cucina
Perché tutti stanno mettendo la ricotta nel caffè (e perché dovresti farlo anche tu)
Dalla colazione fit al dessert improvvisato, la ricotta nel caffè è il nuovo twist che conquista chef, food blogger e appassionati. Cremosa, leggera e sorprendente, è l’alternativa sana alla panna: ecco come usarla

Sembra uno scherzo, e invece è realtà: la ricotta nel caffè è la nuova ossessione food che spopola tra TikTok e le cucine più cool d’Italia. Una moda? Forse. Ma anche una riscoperta di sapori antichi, rivisitati in chiave moderna, salutista e – diciamolo – geniale.
Certo, per i puristi della moka potrebbe sembrare un’eresia. Ma prima di storcere il naso, vale la pena fare un assaggio. Perché l’abbinamento tra la dolcezza neutra della ricotta e l’intensità amara del caffè funziona. Eccome se funziona.
La genesi del trend
Tutto nasce da un video virale postato da una food blogger siciliana, che racconta come sua nonna, già negli anni ’60, aggiungesse una cucchiaiata di ricotta fresca nel caffè caldo. “Lo faceva per non sprecare nulla – spiega – e per concedersi un piccolo lusso cremoso prima di andare nei campi”. Da lì, la miccia è partita: chef stellati, influencer e baristi creativi hanno iniziato a reinterpretare la ricetta. Il risultato? Una colazione leggera ma soddisfacente, perfetta anche per chi segue diete ipocaloriche o ricche di proteine.
Come si prepara
Il bello è che è semplicissima: basta versare un espresso bollente (meglio se della moka) in una tazza e aggiungere un cucchiaio abbondante di ricotta vaccina fresca. Il calore scioglie lentamente la ricotta, creando una crema densa e vellutata. A piacere, si può dolcificare con miele, sciroppo d’agave o zucchero integrale. I più arditi aggiungono un pizzico di cannella, un cucchiaino di cacao amaro o perfino un goccio di liquore.
Il trucco? Usare ricotta di altissima qualità, fresca, ben scolata e non troppo acida. Niente ricotta confezionata da supermercato, insomma: se è granulosa o acquosa, l’effetto crema svanisce.
Dolce, ma anche salata
La ricotta nel caffè funziona anche in versione dessert espresso: basta lasciarla raffreddare, magari in frigorifero, e servirla con una spolverata di cioccolato fondente grattugiato. Oppure si può montare con un filo d’olio evo e usarla come crema da affiancare a biscotti secchi o crostate rustiche. In alcune varianti gourmet, il caffè viene servito in bicchiere con ricotta salata grattugiata sopra, per un effetto alla “cacio e pepe da bar”.
È davvero una scelta sana?
Sorprendentemente, sì. La ricotta è più leggera della panna, più digeribile del latte intero, contiene proteine di alta qualità e meno grassi saturi. Inoltre, ha un sapore neutro che si sposa bene con i toni amari e tostati del caffè. Perfetta per chi vuole una colazione proteica, senza rinunciare al gusto.
Il futuro è soft (e cremoso)
Se il cappuccino con l’avena e il flat white al latte di mandorla hanno ormai invaso le caffetterie, la ricotta nel caffè potrebbe essere la prossima rivoluzione soft. Un modo per tornare a ingredienti semplici, locali, autentici. Con un twist sorprendente.
E poi, diciamocelo: se c’è qualcosa che noi italiani sappiamo fare meglio di tutti, è trasformare un’idea semplice in un piccolo capolavoro di gusto. Anche davanti a una tazzina fumante.
Cucina
Il ritorno della cucina povera: sapori antichi per palati moderni
Dalle zuppe di legumi al pane raffermo riciclato, passando per la polenta e le erbe spontanee: la cucina povera non è mai stata così ricca. Un viaggio nel gusto e nella memoria, tra sostenibilità e identità culturale

In un’epoca dominata dalla cucina molecolare, dalle cotture a bassa temperatura e dai food influencer, c’è chi torna indietro. Indietro nel tempo, nei sapori e nei valori. È il ritorno della cucina povera, quella fatta con poco ma che sa di molto: un pugno di farina, una manciata di fagioli, una crosta di formaggio diventano protagonisti di piatti sorprendenti, pieni di gusto e di storia.
Dalla Toscana al Piemonte, dalla Sicilia alla Basilicata, ogni regione italiana custodisce un patrimonio gastronomico fatto di piatti “umili”, nati per necessità e oggi riscoperti per scelta. Il pane raffermo non si butta, si trasforma: in pappa al pomodoro, in pancotto, in canederli o nel bagnèt verd. I legumi, una volta carne dei poveri, tornano sulle tavole in zuppe, passati e insalate rustiche. La polenta, simbolo di resilienza culinaria, esce dal dimenticatoio per diventare comfort food d’autore.
Le erbe spontanee – cicoria, borragine, tarassaco – vengono raccolte dai nonni ma ora anche dagli chef stellati. E che dire del recupero di tagli “minori” di carne, come le frattaglie? Trippa, fegatini, cuore: cibi che raccontano una cultura antica e che oggi ritrovano dignità gastronomica.
Ma non è solo questione di nostalgia. È anche sostenibilità. La cucina povera insegna a non sprecare, a valorizzare ogni ingrediente, a rispettare i cicli stagionali. In un mondo che si interroga sempre più sull’impatto ambientale del cibo, tornare a queste pratiche ha un senso profondo.
In più, c’è un valore identitario. Riscoprire le ricette della nonna, tramandare i sapori di un territorio, riconnettersi con le proprie radici attraverso il gusto: è un atto culturale oltre che culinario. Ecco perché oggi le osterie che servono fagioli all’uccelletto, pasta e ceci o cicerchie con finocchietto sono piene di giovani, di food blogger, di turisti curiosi.
C’è chi parla di “neocucina povera”, rivisitata e nobilitata. Ma la verità è che non serve toccarla troppo: la forza di questi piatti sta proprio nella loro semplicità. Un cucchiaio di ribollita può raccontare più di mille parole. E ricordarci che, a volte, meno è davvero più.
Cucina
Pasta alla gricia: il segreto più semplice (e più goloso) della cucina romana
Considerata la madre dell’amatriciana, la gricia è un primo piatto romano in cui l’essenzialità diventa arte. Bastano guanciale, pecorino, pepe e pasta per creare una delle ricette più amate della tradizione laziale. Ma occhio agli errori: ne basta uno per rovinare tutto

Chi ama la cucina romana lo sa: dietro ai suoi piatti più iconici non si nasconde solo una tradizione centenaria, ma anche un rigore quasi militare nella scelta degli ingredienti e nella loro preparazione. La pasta alla gricia è l’esempio perfetto di come la semplicità possa trasformarsi in pura poesia gastronomica.
Considerata la progenitrice dell’amatriciana (che ne è una variante arricchita con pomodoro), la gricia affonda le radici nella cultura dei pastori laziali. Era il piatto ideale da cucinare con ciò che si poteva trasportare facilmente: pasta secca, guanciale stagionato, pecorino e pepe. Niente di più, ma niente di meno.
La scelta della pasta è fondamentale: i rigatoni sono i più usati, ma anche gli spaghetti possono andare bene, purché siano di ottima qualità. Il vero protagonista è però il guanciale, che non può essere sostituito con la pancetta, pena l’anatema gastronomico. Deve essere tagliato a listarelle spesse e rosolato lentamente senza aggiunta di olio, perché il suo grasso, una volta sciolto, diventerà la base del condimento.
Il pecorino romano, sapido e stagionato, si grattugia solo all’ultimo momento e va mescolato fuori dal fuoco insieme a un po’ d’acqua di cottura per creare la crema perfetta. Anche il pepe ha un ruolo importante: deve essere abbondante, macinato fresco e tostato leggermente in padella per esaltare l’aroma.
L’errore più comune? Cuocere troppo il guanciale, che così diventa secco e coriaceo. O sbagliare le proporzioni, con troppo pecorino o acqua insufficiente per la mantecatura. Il risultato ideale è una pasta avvolta da un velo sapido e vellutato, in cui ogni boccone esplode di sapore.
A Roma la gricia si mangia ovunque: dalle trattorie storiche del centro alle osterie più nascoste dei quartieri periferici. E nonostante la concorrenza di carbonara, amatriciana e cacio e pepe, resta una delle ricette più amate e replicate. Sarà per la sua semplicità, per il sapore deciso o per quel profumo irresistibile che si sprigiona in cucina quando il guanciale comincia a sfrigolare in padella.
Una cosa è certa: la gricia è un piatto che non ha bisogno di fronzoli. È ruvido, onesto, romano fino al midollo. E una volta assaggiato, non si dimentica più.
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