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Raoul Bova rivela il lato inedito di don Massimo: «Il perdono è un’opportunità, non una debolezza»

L’attore romano svela la sua crescita personale, il ruolo di don Massimo in “Don Matteo”, e il suo rapporto con la bellezza, la paternità e il perdono. Un Bova più maturo, che riflette su vita, carriera e famiglia.

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    Raoul Bova, attore amato da generazioni e simbolo di bellezza maschile, è un uomo che ha superato le difficoltà, che non teme di guardarsi dentro e che ha trovato la serenità nelle piccole cose della vita. Oggi, a 53 anni, Bova non è più il giovane sex symbol che faceva sognare milioni di donne, ma un uomo riflessivo, che ha saputo incanalare la sua esperienza in un percorso di crescita personale e professionale. “Sto vivendo un bel periodo di vita,” ammette l’attore. “Vivo pienamente le piccole cose, comprese le mie figlie e i miei figli.”

    Bova dall’infanzia, quando era un promettente nuotatore, fino agli inizi della sua carriera nel cinema, fatta di prove e “colpi di fortuna”. Ma è nel ruolo di don Massimo in “Don Matteo” che l’attore ha trovato una nuova dimensione: “Non avrei mai fatto il personaggio di Terence per rispetto verso di lui e verso gli appassionati. Volevo un personaggio che fosse mio, che potesse raccontare qualcosa di diverso.”

    Il tema del perdono è centrale nella sua interpretazione di don Massimo, un prete che ha scelto di non essere perfetto. “Il perdono lo può dare solo Dio,” dice Bova, e nel suo personaggio c’è un continuo rimando alla difficoltà di perdonare, che è un percorso di crescita. “Non avere rancore ti porta a perdonare. Se chi ti fa del male ti fa anche soffrire, tanto vale non soffrire e non farsi fare doppiamente male.”

    Il ruolo che interpreta in “Don Matteo” è quello di un uomo che cerca risposte, che si interroga sulla propria fede e che non ha paura di ammettere le proprie fragilità. Un personaggio che sfida gli stereotipi del prete sempre in controllo e che, attraverso la sua storia, invita alla riflessione e alla seconda possibilità.

    Raoul Bova e la sindrome dell’impostore
    Nonostante il successo, Bova non si è mai sentito completamente al posto giusto, come se avesse sempre bisogno di guadagnarsi ogni passo della sua carriera. “Ho sempre pensato di non meritarmelo,” confessa, rivelando la sua lotta con la sindrome dell’impostore, che lo ha spinto a studiare recitazione e perfezionare la sua tecnica. “Volevo essere un attore che guadagnasse il suo posto. Mi metto sempre alla prova.”

    La sua passione per il cinema non si è fermata davanti agli ostacoli, nemmeno davanti al mito di attori leggendari come Sylvester Stallone, con il quale ha avuto la fortuna di collaborare. “Mi metteva soggezione,” ammette con un sorriso, ricordando la sua esperienza a fianco del celebre Rocky.

    Per molti anni, Raoul Bova è stato il volto della bellezza ideale. Un uomo che suscitava desiderio, ma che a volte si sentiva intrappolato da questa etichetta. “Quando sei giovane non sei mai contento,” confessa, “la bellezza diventa quasi un ostacolo, una condanna. Non sapevo come gestirla.” Oggi, però, apprezza il fisico che ha, più maturo e imperfetto, ma altrettanto affascinante.

    Un uomo di famiglia
    Bova non nasconde il suo amore per la famiglia. Con figli che vanno dai 24 ai 5 anni, l’attore riflette sul suo rapporto con loro, adattandosi alle diverse età e alle diverse esigenze. “Ogni figlio ha bisogno di un rapporto speciale, unico,” afferma con convinzione, dimostrando la sua attenzione ai bisogni emotivi di ciascun membro della sua famiglia.

    Raoul Bova tra sport, famiglia, recitazione e riflessioni sul perdono, l’attore ha trovato un equilibrio che lo rende un uomo e un artista più maturo.

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