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Cucina

Salvate quel gusto italiano!! Prosciutto di Parma a rischio estinzione…

La difesa del made in Italy alimentare si è trasformata in una lotta per salvare uno dei suoi prodotti più iconici, il Prosciutto di Parma, e per preservare l’intero comparto suinicolo nazionale.

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    Quando Francesco Lollobrigida è stato nominato Ministro delle Risorse Agricole e della Sovranità Alimentare, ha promesso di difendere i prodotti made in Italy. Un obiettivo strategico per l’economia e la cultura del Paese. Tuttavia, il settore agroalimentare italiano sta affrontando una grave crisi, legata alla diffusione della peste suina africana (Psa). Malattia che minaccia uno dei simboli del made in Italy: il Prosciutto di Parma.

    Cinghiali e maiali da abbattere limiteranno la produzione del Prosciutto di Parma

    La Psa è una malattia virale altamente contagiosa, innocua per l’uomo ma letale per i cinghiali e i maiali. L’emergenza ha colpito duramente gli allevamenti italiani, ha causato l’abbattimento di molti animali per contenere il contagio. E soprattutto ha ridotto drasticamente la disponibilità di carne suina di qualità. necessaria per la produzione del prosciutto DOP. Il Consorzio del Prosciutto di Parma da mesi esprime preoccupazione per le limitazioni produttive e i costi crescenti delle materie prime.

    Quattro anni senza un coordinamento tra le regioni italiane

    L’emergenza si protrae da troppo tempo con il primo caso registrato in Lombardia nel 2022. La gestione della crisi è stata criticata per la mancanza di coordinamento e di misure efficaci tra le regioni italiane. Questo nonostante la nomina di vari commissari straordinari per affrontare la situazione. Il rapporto dell’Eu Veterinary Emergency Team ha bocciato l’approccio italiano, sottolineando la necessità di una strategia comune. Inoltre ha evidenziato l’insufficienza dei fondi stanziati per la costruzione di recinzioni che impediscano ai cinghiali infetti di contaminare gli allevamenti.

    Un mercato che vale 13 milioni di euro e coinvolge 26mila aziende

    La crisi potrebbe devastare un settore che vale oltre 13 miliardi di euro e coinvolge 26.000 aziende. Le esportazioni di carne suina verso mercati internazionali sono state bloccate, causando perdite mensili stimate tra i 20 e i 30 milioni di euro. La Germania, ad esempio, è riuscita a controllare l’epidemia, mentre in Italia la situazione rimane critica. Si denunciano ritardi nelle compensazioni per gli allevatori e la possibilità concreta che molti non riescano a riprendere le loro attività.

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      Cucina

      In cucina con aprile: cosa mettere nel carrello questo mese

      Tra asparagi, agretti, piselli e fragole, la cucina di aprile è un’esplosione di colori e sapori di stagione. Ecco cosa scegliere per mangiare bene, fresco e con un occhio alla sostenibilità.

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        Aprile è il mese del risveglio: della natura, dell’appetito, della voglia di leggerezza. Le giornate si allungano, i cappotti spariscono e anche in cucina si cambia registro. La tavola si riempie di prodotti freschi, verdi, teneri. Frutta e verdura finalmente iniziano a sapere di qualcosa, e il carrello della spesa diventa più colorato e più buono.

        Tra i protagonisti assoluti di questo mese ci sono loro, gli asparagi. Bianchi, verdi, sottili o cicciottelli: sono ottimi semplicemente lessati con un filo d’olio e limone, ma anche in frittate, risotti, torte salate e pasta. Non da meno sono gli agretti, chiamati anche barba di frate, che a vederli sembrano complicati, ma bastano pochi minuti di cottura e un condimento semplice per trasformarli in un contorno perfetto.

        Tornano anche i piselli freschi, teneri e dolci, da sgranare con calma (magari in compagnia) e usare in mille ricette: dalla classica pasta e piselli ai contorni con cipollotto fresco, fino ai ripieni per torte rustiche e polpette vegetali. E poi c’è la bieta, regina delle torte salate e delle minestre primaverili. Senza dimenticare le erbette spontanee, dai bruscandoli (i germogli del luppolo) alle ortiche, perfette per risotti e frittate dal sapore antico.

        Per quanto riguarda la frutta, aprile è il mese in cui iniziano a comparire le prime fragole locali, profumate e zuccherine, che possono essere consumate al naturale, in macedonia o come base per dolci leggeri. Occhio anche al ritorno dei limoni italiani più profumati, ideali per aromatizzare dolci, condimenti e piatti a base di pesce.

        Aprile porta con sé anche una spinta verso cotture più leggere e veloci: meno stufati, più padelle, più vapore, più insalate. Le uova, regine delle tavole pasquali, restano protagoniste anche dopo le feste, ideali per torte salate, secondi veloci o piatti unici. E le erbe aromatiche, che iniziano a tornare rigogliose, si moltiplicano in vaso o sui banchi del mercato: basilico, prezzemolo, menta, maggiorana, erba cipollina.

        In sintesi, la cucina di aprile è un invito alla semplicità, al rispetto della stagionalità e alla scoperta di ingredienti spesso dimenticati. Una cucina che profuma di rinascita, che accarezza il palato senza appesantire. E che ci ricorda, ogni anno, quanto sia bello tornare alla terra.

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          Cucina

          Perché tutti stanno mettendo la ricotta nel caffè (e perché dovresti farlo anche tu)

          Dalla colazione fit al dessert improvvisato, la ricotta nel caffè è il nuovo twist che conquista chef, food blogger e appassionati. Cremosa, leggera e sorprendente, è l’alternativa sana alla panna: ecco come usarla

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            Sembra uno scherzo, e invece è realtà: la ricotta nel caffè è la nuova ossessione food che spopola tra TikTok e le cucine più cool d’Italia. Una moda? Forse. Ma anche una riscoperta di sapori antichi, rivisitati in chiave moderna, salutista e – diciamolo – geniale.

            Certo, per i puristi della moka potrebbe sembrare un’eresia. Ma prima di storcere il naso, vale la pena fare un assaggio. Perché l’abbinamento tra la dolcezza neutra della ricotta e l’intensità amara del caffè funziona. Eccome se funziona.

            La genesi del trend

            Tutto nasce da un video virale postato da una food blogger siciliana, che racconta come sua nonna, già negli anni ’60, aggiungesse una cucchiaiata di ricotta fresca nel caffè caldo. “Lo faceva per non sprecare nulla – spiega – e per concedersi un piccolo lusso cremoso prima di andare nei campi”. Da lì, la miccia è partita: chef stellati, influencer e baristi creativi hanno iniziato a reinterpretare la ricetta. Il risultato? Una colazione leggera ma soddisfacente, perfetta anche per chi segue diete ipocaloriche o ricche di proteine.

            Come si prepara

            Il bello è che è semplicissima: basta versare un espresso bollente (meglio se della moka) in una tazza e aggiungere un cucchiaio abbondante di ricotta vaccina fresca. Il calore scioglie lentamente la ricotta, creando una crema densa e vellutata. A piacere, si può dolcificare con miele, sciroppo d’agave o zucchero integrale. I più arditi aggiungono un pizzico di cannella, un cucchiaino di cacao amaro o perfino un goccio di liquore.

            Il trucco? Usare ricotta di altissima qualità, fresca, ben scolata e non troppo acida. Niente ricotta confezionata da supermercato, insomma: se è granulosa o acquosa, l’effetto crema svanisce.

            Dolce, ma anche salata

            La ricotta nel caffè funziona anche in versione dessert espresso: basta lasciarla raffreddare, magari in frigorifero, e servirla con una spolverata di cioccolato fondente grattugiato. Oppure si può montare con un filo d’olio evo e usarla come crema da affiancare a biscotti secchi o crostate rustiche. In alcune varianti gourmet, il caffè viene servito in bicchiere con ricotta salata grattugiata sopra, per un effetto alla “cacio e pepe da bar”.

            È davvero una scelta sana?

            Sorprendentemente, sì. La ricotta è più leggera della panna, più digeribile del latte intero, contiene proteine di alta qualità e meno grassi saturi. Inoltre, ha un sapore neutro che si sposa bene con i toni amari e tostati del caffè. Perfetta per chi vuole una colazione proteica, senza rinunciare al gusto.

            Il futuro è soft (e cremoso)

            Se il cappuccino con l’avena e il flat white al latte di mandorla hanno ormai invaso le caffetterie, la ricotta nel caffè potrebbe essere la prossima rivoluzione soft. Un modo per tornare a ingredienti semplici, locali, autentici. Con un twist sorprendente.

            E poi, diciamocelo: se c’è qualcosa che noi italiani sappiamo fare meglio di tutti, è trasformare un’idea semplice in un piccolo capolavoro di gusto. Anche davanti a una tazzina fumante.

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              Cucina

              Il ritorno della cucina povera: sapori antichi per palati moderni

              Dalle zuppe di legumi al pane raffermo riciclato, passando per la polenta e le erbe spontanee: la cucina povera non è mai stata così ricca. Un viaggio nel gusto e nella memoria, tra sostenibilità e identità culturale

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                In un’epoca dominata dalla cucina molecolare, dalle cotture a bassa temperatura e dai food influencer, c’è chi torna indietro. Indietro nel tempo, nei sapori e nei valori. È il ritorno della cucina povera, quella fatta con poco ma che sa di molto: un pugno di farina, una manciata di fagioli, una crosta di formaggio diventano protagonisti di piatti sorprendenti, pieni di gusto e di storia.

                Dalla Toscana al Piemonte, dalla Sicilia alla Basilicata, ogni regione italiana custodisce un patrimonio gastronomico fatto di piatti “umili”, nati per necessità e oggi riscoperti per scelta. Il pane raffermo non si butta, si trasforma: in pappa al pomodoro, in pancotto, in canederli o nel bagnèt verd. I legumi, una volta carne dei poveri, tornano sulle tavole in zuppe, passati e insalate rustiche. La polenta, simbolo di resilienza culinaria, esce dal dimenticatoio per diventare comfort food d’autore.

                Le erbe spontanee – cicoria, borragine, tarassaco – vengono raccolte dai nonni ma ora anche dagli chef stellati. E che dire del recupero di tagli “minori” di carne, come le frattaglie? Trippa, fegatini, cuore: cibi che raccontano una cultura antica e che oggi ritrovano dignità gastronomica.

                Ma non è solo questione di nostalgia. È anche sostenibilità. La cucina povera insegna a non sprecare, a valorizzare ogni ingrediente, a rispettare i cicli stagionali. In un mondo che si interroga sempre più sull’impatto ambientale del cibo, tornare a queste pratiche ha un senso profondo.

                In più, c’è un valore identitario. Riscoprire le ricette della nonna, tramandare i sapori di un territorio, riconnettersi con le proprie radici attraverso il gusto: è un atto culturale oltre che culinario. Ecco perché oggi le osterie che servono fagioli all’uccelletto, pasta e ceci o cicerchie con finocchietto sono piene di giovani, di food blogger, di turisti curiosi.

                C’è chi parla di “neocucina povera”, rivisitata e nobilitata. Ma la verità è che non serve toccarla troppo: la forza di questi piatti sta proprio nella loro semplicità. Un cucchiaio di ribollita può raccontare più di mille parole. E ricordarci che, a volte, meno è davvero più.

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