Lifestyle
E’ boom per la chirurgia estetica da videochiamata
La pandemia ha cambiato il modo in cui percepiamo noi stessi, spingendo molte persone a ricorrere alla chirurgia estetica per migliorare il proprio aspetto. La “Zoom Face” è solo uno dei tanti fenomeni che dimostrano quanto l’autostima e l’immagine personale siano influenzate dalla tecnologia e dalla società moderna.
Lo hanno denominato “Zoom Face” un fenomeno, una moda, una necessità? Di certo possiamo dire che dagli anni della pandemia e della diffusione dello smart working, trascorriamo troppo tempo in casa, abbiamo diminuito e forse cambiato le nostre forme di socializzazione. Per comunicare con il prossimo, parenti, amici o conoscenti facciamo maggiore uso di videochiamate, cerchiamo di essere presenti sui social, soprattutto TikTok e Instagram, e curiamo maggiormente la nostra immagine. Cerchiamo di apparire sempre al meglio della nostra forma fisica attraverso il nostro volto, perché ci da fiducia e forse scaccia via qualche tormento interiore. Il fenomeno delle videochiamate sta spingendo sempre più persone a ricorrere alla chirurgia estetica con soluzioni che migliorano il nostro aspetto.
Il fenomeno “Zoom Face”
Anche lavorare da casa e dover partecipare a numerose conference call ha portato molte persone a guardarsi spesso attraverso la telecamera del proprio pc. Questo ha aumentato la consapevolezza e, talvolta, l’insoddisfazione per il proprio aspetto fisico. Secondo Luciano Perrone, chirurgo estetico internazionale, guardarsi attraverso le telecamere del pc ha amplificato la percezione dei nostri difetti. Non ci piacciono bocca, denti e décolleté.
Mamma mia che faccia che ho sta’ mattina…
Non sorprende quindi che gli interventi più richiesti riguardino le parti del corpo maggiormente visibili durante le videochiamate. E i chirurghi estetici gongolano. A loro sono richiesti con assoluta leggerezza e nonchalance dalla Blefaroplastica che servirebbe a migliorare l’aspetto degli occhi. al Filler per le labbra per ottenere una bocca più carnosa. Inoltre sono sempre più richieste le famigerate faccette dentali con le quali poter sfoderare un sorriso perfetto.
… eh da quando hai quelle belle poppe?
Uno degli interventi più richiesti è la mastoplastica additiva, che ha visto un incremento significativo. Il seno è spesso percepito come un simbolo di femminilità e maternità, e molte donne scelgono di sottoporsi a questo intervento per migliorare la propria autostima. Sarà proprio necessario un intervento chirurgico così invasivo per aumentare la propria autostima? Essendo dei maschi non possiamo interpretare cosa sente una femmina rispetto al proprio seno e il peso psicologico che carica su di esso. Certo è che, come dice anche Ilaria Colecchia, psicologa e psicoterapeuta, il seno per una donna rappresenta femminilità, maternità. E’ nutrimento. È ciò che, più di ogni di altra cosa, nel senso comune, identifica e contraddistingue una ‘donna’ in quanto tale.
Sorridi cheese!
Anche il sorriso è al centro dell’attenzione. Lo conferma anche Marco Chiellini, titolare di uno studio dentistico dedicato solo alle donne, che il sorriso è la più potente arma di seduzione. È la prima cosa che gli altri notano di noi. Ecco il motivo per cui crescono le richieste di interventi che variano dalla semplice pulizia dentale – e questa è una prassi che dovremmo adottare tutti almeno una volta l’anno per mantenere la nostra bocca sana – allo sbiancamento, fino all’applicazione delle faccette dentali.
Ma è solo vanità?
Il desiderio di sottoporsi a interventi di chirurgia estetica non è solo una questione di vanità. Molte donne vogliono soltanto “voltare pagina”, magari lasciarsi alle spalle un periodo infelice o un’esperienza negativa della propria vita. Ecco perché un miglioramento estetico – il ritocchino – può rappresentare un nuovo inizio e un aumento di autostima.
Interventi di chirurgia in crescita
L’Italia è il quarto paese al mondo per numero di interventi di chirurgia estetica. Il fenomeno non riguarda solo le donne adulte, ma anche le giovani, e coinvolge una vasta gamma di persone, dalle casalinghe alle imprenditrici, dalle adolescenti alle settantenni. E anche molti uomini.
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Auto e moto
Tesla e il contachilometri impazzito: scoppia il caso sulla garanzia truccata
Una causa legale accusa Tesla di manipolare a distanza i contachilometri delle auto usate, accelerandone l’usura apparente per far decadere la garanzia. Un nuovo scandalo che si inserisce in una serie di pratiche discutibili, dai limiti occulti alle batterie ai sequestri digitali dei veicoli.

I veicoli Tesla stanno diventando protagonisti di un trend inquietante: la manipolazione dei dati digitali a danno dei consumatori. Un recente caso giudiziario ha portato alla luce una pratica tanto subdola quanto allarmante, sollevando interrogativi fondamentali sul controllo che i produttori mantengono sui veicoli, attraverso aggiornamenti remoti e interfacce digitalizzate.
La causa legale, depositata lo scorso febbraio, accusa il colosso di Elon Musk di alterare a distanza i valori dei contachilometri sui veicoli considerati “particolarmente problematici”, con l’obiettivo di farli superare artificialmente il limite di garanzia delle 50.000 miglia.
Il caso emblematico riguarda un proprietario californiano che, dopo aver acquistato una Tesla usata con 36.772 miglia all’attivo, ha notato anomalie inspiegabili: pur percorrendo circa 20 miglia al giorno, il contachilometri registrava aumenti quotidiani di oltre 72 miglia. Un’anomalia tanto eclatante quanto, paradossalmente, difficile da rilevare senza un monitoraggio costante.
Non si tratta di un episodio isolato. I forum dedicati a Tesla raccolgono segnalazioni simili: picchi improvvisi del chilometraggio, poi il ritorno alla normalità subito dopo lo scadere della garanzia. Una dinamica che si inserisce in un più ampio ventaglio di pratiche controverse adottate dal costruttore californiano.
Già nell’estate del 2023, Tesla era finita sotto accusa per aver deliberatamente fornito dati ingannevoli sull’autonomia reale delle sue batterie. Era emerso che l’azienda aveva creato un centro operativo fittizio in Nevada, il “diversion team”, incaricato di deviare le chiamate dei clienti insoddisfatti. Gli operatori, istruiti a mantenere le conversazioni sotto i cinque minuti, fingevano di eseguire diagnosi sui veicoli per rassicurare gli utenti, senza in realtà verificare nulla.
Ciò che rende Tesla un caso unico nel panorama automobilistico è la sua architettura digitale: i suoi veicoli sono progettati per ricevere aggiornamenti “over-the-air” che possono modificare profondamente le funzionalità dell’auto, spesso senza il consenso – o addirittura contro l’interesse – dei proprietari.
Se, ad esempio, un utente smette di pagare l’abbonamento che consente di utilizzare tutta la capacità della batteria, Tesla può ridurre a distanza l’autonomia disponibile, limitandola alla metà. Non solo: può bloccare le portiere, immobilizzare l’auto, suonare il clacson, lampeggiare i fari e sbloccare il veicolo al momento dell’arrivo dell’incaricato al sequestro.
Il problema di fondo risiede nel Digital Millennium Copyright Act (DMCA) del 1998. Nonostante il nome, la legge protegge più i modelli di business delle aziende che i diritti d’autore. La Sezione 1201 del DMCA rende infatti un crimine federale qualsiasi tentativo di aggirare i blocchi software: modificare una Tesla per impedirle di “automanipolarsi” costituisce un reato, punibile con cinque anni di carcere e 500.000 dollari di multa, anche senza violazione di copyright.
Un sistema che Jay Freeman, esperto di sicurezza informatica, ha definito come “oltraggio criminale al modello di business”: la legge non difende il consumatore, ma tutela pratiche aziendali al limite dell’etico, impedendo agli utenti di riprendere il controllo sui propri dispositivi.
Le automobili moderne, Tesla in testa, sono ormai diventate computer su ruote progettati per servire più gli interessi del produttore che quelli del proprietario. Auto capaci di rubare dati sulla posizione, rivenderli ai broker, immobilizzarsi in caso di mancato pagamento e spiare lo stile di guida per favorire le compagnie assicurative.
Il rischio? Possedere un veicolo che non risponde più ai comandi del suo proprietario, ma solo a quelli di un server distante migliaia di chilometri.
Cucina
Kaiserschmarrn, il dolce imperiale che conquista tutti: la ricetta originale austriaca
Dalla storia alla preparazione, ecco tutti i segreti del Kaiserschmarrn, la frittata dolce che viene servita con confetture e zucchero a velo per un’esperienza autentica di gusto e tradizione. Perfetto per colazioni o merende autunnali.

Il Kaiserschmarrn è un dolce tradizionale austriaco, perfetto per chi ama i sapori rustici e autentici della cucina mitteleuropea. La sua storia è legata all’imperatore Francesco Giuseppe I, grande amante di questo dolce semplice ma gustoso. Il Kaiserschmarrn è simile a una frittata dolce sbriciolata, arricchita con uvetta e servita con zucchero a velo e confettura di frutti di bosco o composta di mele.
Ingredienti
- 100 g di farina
- 250 ml di latte
- 4 uova
- 2 cucchiai di zucchero
- 1 pizzico di sale
- 50 g di uvetta (ammollata in rum o acqua tiepida)
- 20 g di burro
- Zucchero a velo q.b.
- Confettura di mirtilli o composta di mele per accompagnare
Preparazione
- In una ciotola, mescola farina, latte e sale fino a ottenere una pastella liscia.
- Dividi le uova separando albumi e tuorli: monta i tuorli con lo zucchero e aggiungili alla pastella.
- Monta a neve gli albumi e incorporali delicatamente al composto.
- In una padella antiaderente, sciogli il burro e versa la pastella, distribuendo uniformemente le uvette ammollate.
- Cuoci a fuoco medio fino a doratura, quindi girala e sbriciolala con una forchetta.
- Continua a cuocere fino a doratura completa.
Servizio
Servi il Kaiserschmarrn caldo, cospargendolo di zucchero a velo e accompagnandolo con confettura di mirtilli o composta di mele.
Varianti e consigli
Il Kaiserschmarrn può essere arricchito con mandorle tritate o mele a cubetti. Il segreto per un risultato perfetto è la cottura: deve rimanere soffice all’interno e leggermente croccante all’esterno.
Un dolce semplice ma irresistibile, perfetto per colazioni sostanziose o merende golose che conquisteranno tutti!
Società
I rituali del Giovedì Santo, la notte dei Sepolcri tra fede e silenzio
Nel Giovedì che apre il Triduo Pasquale si mescolano liturgia e riti popolari: la celebrazione dell’Eucaristia, la reposizione del Santissimo e la visita agli altari decorati con fiori e germogli. Un momento di raccoglimento che unisce l’Italia credente, tra misticismo e memoria.

Il Giovedì Santo non è solo il giorno che precede la Passione, ma l’inizio del cuore pulsante della Settimana Santa. È la soglia del Triduo Pasquale, il trittico sacro che conduce i fedeli alla celebrazione della Resurrezione. In questa giornata carica di simboli, la Chiesa cattolica ricorda l’Ultima Cena di Gesù con gli apostoli, l’istituzione dell’Eucaristia e del sacerdozio.
La liturgia del Giovedì Santo, la cosiddetta “Messa in Coena Domini”, si celebra nel tardo pomeriggio. Durante la funzione, il rito della lavanda dei piedi rievoca il gesto compiuto da Cristo nel cenacolo: un atto di umiltà, ma anche di rottura rispetto alla logica del potere. Il sacerdote, chinandosi a lavare i piedi a dodici fedeli, ripete un gesto antico, che parla più di mille parole.
Al termine della Messa, il Santissimo Sacramento viene traslato in un luogo separato dall’altare principale: è l’Altare della Reposizione, spesso chiamato anche “Sepolcro”. Qui inizia un tempo sospeso, fatto di silenzio, adorazione e riflessione. La chiesa si spoglia di ogni solennità, l’altare resta nudo, la campane tacciono. È l’inizio della veglia, dell’attesa della croce.
Ma accanto alla liturgia ufficiale, vive e resiste un’antica tradizione popolare: la visita ai Sepolcri. In tutta Italia, ma soprattutto nel Sud, i fedeli si mettono in cammino per visitare più chiese, di solito in numero dispari, sette o nove. È un pellegrinaggio urbano, che unisce spiritualità e senso comunitario. Ogni altare è decorato con cura: fiori bianchi, candele, stoffe damascate e, soprattutto, i germogli di grano coltivati al buio durante la Quaresima, simbolo di morte che si fa promessa di vita.
Nel cuore di Napoli, questo rito prende il nome di “struscio”, per il lento incedere dei fedeli che, tra una chiesa e l’altra, vivono un’esperienza intima ma condivisa. In Sicilia, i germogli diventano “lavureddi”, e accompagnano processioni e riti più scenografici, come le “Vare” di Caltanissetta o le drammatiche rappresentazioni viventi in molti paesi dell’entroterra. Anche al Nord la tradizione è viva, seppur con toni più sobri: la visita silenziosa agli altari addobbati è occasione di meditazione personale, spesso in un clima di penombra e raccoglimento.
Il Giovedì Santo è dunque un giorno di passaggio. Non ha ancora la drammaticità del Venerdì né la gioia esplosiva della Pasqua. È una soglia sottile, dove la fede si fa attesa e il mistero si lascia solo intuire. È il tempo dell’intimità e del servizio, del pane spezzato e del cuore aperto. E forse, proprio per questo, è uno dei momenti più intensi dell’intero calendario liturgico.
Mentre nelle chiese si spengono le luci e i fedeli si ritirano dopo la visita ai Sepolcri, resta nell’aria una sospensione sacra. Come se il mondo, per una notte, trattenesse il fiato. In attesa della croce. E poi, della luce.
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